Il discorso del Grande Imam di al-Azhar all’incontro di Awali “Oriente e Occidente per la convivenza umana”

Ultimo aggiornamento: 15/03/2024 11:55:43

La pace, la misericordia e la benedizione di Dio siano su di voi

 

Inizio il mio intervento esprimendo i miei sentiti ringraziamenti e la mia stima a Lei, Maestà, e al suo nobile popolo, per l’invito a visitare il caro regno del Bahrein e a partecipare a questo grande Forum: “Oriente e dell’Occidente per la convivenza umana”. Si tratta di un incontro storico per la statura dei sapienti, dei saggi, dei pensatori, dei leader politici e dei giornalisti che vi prendono parte da Oriente e da Occidente. È inoltre un incontro su cui è opportuno che la storia si soffermi per registrarne con lettere di luce le parole e le raccomandazioni. È una voce che scaturisce dal Bahrein, antico Paese erede di una lunga tradizione di propensione alla pace, alla tolleranza, alla convivenza e al dialogo tra le civiltà e le culture e capace di trasformare tutto questo in una fonte creativa di energia, convogliandola in direzione della stabilità e di uno sviluppo sociale costruttivo.

 

Non credo di dover ripercorrere le situazioni di conflitto che l’umanità vive oggi in Oriente e in Occidente, né di dover enumerare i frutti amari raccolti dall’uomo del ventunesimo secolo in termini di guerre, spargimento di sangue, distruzione, povertà, e ancora perdita di figli e genitori, mogli e mariti, persecuzioni e timori per un futuro incerto. È però importante segnalare che la causa di queste tragedie è l’assenza della giustizia sociale, che Dio ha posto su questa terra come legge di stabilità delle società e fattore di equilibrio per l’uomo, in quanto corpo e spirito, e senza la quale le società umane si trasformano in qualcosa di simile a una giungla. Per non parlare delle vittime delle guerre prodotte dall’“economia di mercato”, dall’accaparramento delle ricchezze, dall’avidità di possesso e di consumo, dal commercio di armi pesanti e devastatrici e dalla loro esportazione verso i Paesi del Terzo Mondo, con tutto queello che ciò comporta in termini di conflitti settari e confessionali, incitamento al caos e alla destabilizzazione.

 

Come se ciò non bastasse, le politiche che hanno generato tali tragedie sono state intanto sostenute da teorie filosofiche che si sono affermate nella realtà delle società occidentali, plasmando le concezioni dei grandi Paesi nelle loro relazioni con i popoli poveri e in via di sviluppo. Spiccano tra queste la teoria del conflitto (sic) delle civiltà, la teoria della fine della storia, la teoria della globalizzazione. Si tratta di teorie suprematiste che preludono alla nascita di un nuovo ordine mondiale, favorendo un malcelato neo-colonialismo, non così diverso dal colonialismo del passato. Solo qualche giorno fa, abbiamo sentito le dichiarazioni di un importante responsabile occidentale, il quale ha detto che l’Europa è un giardino lussureggiante[1], mentre il mondo che la circonda è una giungla. Se affermazioni sconsiderate come questa sono indicative di qualcosa, lo sono dell’ignoranza evidente nei confronti delle civiltà orientali e della loro storia, le cui radici sono profonde più di cinque millenni, e non soltanto tre o quattro secoli.

 

Benché la maggior parte dei pericoli che assillano oggi lo spirito degli orientali provengano dalla civiltà occidentale, essi preoccupano allo stesso modo un’insigne élite di intellettuali e leader occidentali. Alcuni di loro sono consapevoli che la politica occidentale è ormai incapace di affrontare le crisi mondiali, caratterizzate come sono dalle tensioni che derivano dalla minaccia delle armi di distruzione di massa. Essi hanno suggerito che nelle relazioni internazionali la cultura si sostituisca alla politica, data la sua capacità di comprendere l’uomo e abbracciarne tutte le dimensioni, anima e corpo, ragione e coscienza. Non dobbiamo comunque disperare: è vicino il giorno in cui le relazioni tra Oriente e Occidente torneranno alla loro integrità e alla loro bontà, si ridurranno le distanze e verranno meno i confini, dando vita a un rapporto di complementarietà e cooperazione. Allora Oriente e Occidente non si troveranno più isolati uno dall’altro come invece è avvenuto nel secolo scorso.  

 

Invero l’Occidente ha bisogno della saggezza dell’Oriente, delle sue religioni e dei valori a cui sono educate le sue genti, della sua visione equilibrata dell’uomo, del creato e del Creatore. Ha bisogno della spiritualità dell’Oriente, della profondità della sua visione della realtà delle cose, di trattenere dall’imperitura saggezza che “non è tutto oro quel che luccica”. Ma l’Occidente ha anche bisogno dei mercati dell’Oriente e, nelle sue fabbriche situate in Africa, in Asia e altrove, delle braccia degli orientali. Ha bisogno delle materie prime conservate nelle profondità di questi continenti, senza le quali la sua industria non avrebbe di che produrre. È del tutto iniquo che chi fa il bene sia ricambiato con più povertà, più ignoranza e più malattie. Lo stesso vale per l’Oriente, che ha bisogno di attingere alle scienze occidentali per la propria rinascita tecnica e materiale e d’importare prodotti industriali dai mercati dell’Occidente. Gli orientali devono inoltre guardare all’Occidente con uno sguardo nuovo, fatto di umiltà, benevolenza, sentimenti di buon vicinato, comprensione verso la sua civiltà e i suoi costumi, che sono il prodotto di circostanze e vicende particolari, per le quali gli occidentali hanno pagato un prezzo molto alto nel corso dei secoli.

 

I sapienti dell’Islam non devono stancarsi di mettere in luce gli elevati principi, la fratellanza umana e la cooperazione presenti nella loro religione, oltre agli altri elementi su cui concordano occidentali e orientali, ed essere desiderosi di far conoscere agli occidentali l’Islam nella sua verità.

 

Occorre inoltre accennare al fatto che molti musulmani sono emigrati in Occidente, vi si sono insediati, e sono diventati parte integrante del tessuto dei suoi popoli. Allo stesso tempo, gli stili di vita occidentali sono emigrati tra gli orientali, dominando le loro tradizioni, i loro costumi e i loro comportamenti moderni e contemporanei, influenzando una parte non trascurabile non solo della loro visione del mondo, ma anche dei loro programmi d’insegnamento e del loro modo di pensare.

 

Questo prelude all’avvento di nuove relazioni umane e di una civiltà pacifica in cui siano preservate le culture dei popoli, le loro specificità e le loro differenze, e ci si astenga da egemonie culturali e conflitti. È quanto afferma l’intellettuale francese contemporaneo Tzvetan Todorov nel suo libro La paura dei barbari, nel quale dice: «la civiltà occidentale non può essere considerata l’unica detentrice di una carattere civile o il criterio attraverso il quale si definisce la cultura degli altri». Ogni interferenza nella cultura altrui va considerata un cattivo esercizio del potere, dal momento che non è possibile affermare la libertà e l’uguaglianza attraverso la costrizione, altrimenti non «saremmo diversi da quelli che descriviamo come barbari».

 

Lo ha stabilito con grande chiarezza il Documento per la Fratellanza umana, che ha messo in moto un processo tangibile, in Oriente e in Occidente, e offerto un modello eminente del rispetto e dell’interazione che dovrebbero caratterizzare un dialogo tra religioni e civiltà improntato al riconoscimento reciproco, alla cooperazione, alla fraternità e alla pace. La dichiarazione ha inoltre sottolineato l’importanza della relazione tra l’Oriente e l’Occidente e il modo in cui ognuno dei due può beneficiare dell’altro. Io confido che, a Dio piacendo, il percorso della fratellanza umana, di cui questo storico incontro sulla terra del Bahrein può essere considerato uno degli architravi, possa contribuire a promuovere questo avvicinamento e questo riconoscimento reciproco tra l’Oriente e l’Occidente. La dichiarazione del Regno del Bahrein per la convivenza pacifica[2] ha peraltro rappresentato un passo importante per consolidare la cittadinanza ed innalzare i valori della tolleranza e della comprensione tra le persone.

 

Onorata Assemblea,

 

Oggi noi possediamo una teoria orientale islamica alternativa alla teoria del “conflitto delle civiltà”, nota come teoria della “conoscenza reciproca delle civiltà”, che negli ultimi tempi ha goduto dell’interesse di eminenti pensatori e ricercatori, i quali l’hanno presentata come risposta alla teoria del conflitto di civiltà. Essa implica l’apertura all’altro e il riconoscimento reciproco in un quadro di cooperazione, vantaggi reciproci e abilitazione dell’uomo ad assumere la responsabilità che Dio gli ha affidato. Essa consiste nel popolare la terra, preservarla e non portarvi in alcun modo la corruzione. Questa teoria si fonda sul termine “conoscenza reciproca”, menzionato nel Corano e, all’interno di questo quadro complessivo, su tre principi coranici:

 

Primo: l’Altissimo ha creato gli uomini diversi per razza, colore, lingua, religione e altre caratteristiche. Essi rimarranno diversi fino all’ultimo momento della loro vita su questa terra: «Se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe fatto di tutti gli uomini una sola nazione; ma essi continueranno nelle loro differenze» (Cor. 11,118).

 

Secondo: dal momento che li ha creati diversi, è necessario che li abbia anche creati liberi in ciò che credono, altrimenti non si darebbe la differenza che Egli ha stabilito come legge della sua creazione. Sul diritto alla libertà di convinzione leggiamo la parola dell’Altissimo: «Non vi sia costrizione nella Fede: la retta via ben si distingue dall’errore» (2,256) e quella rivolta al Suo profeta: «Ma potresti tu costringere gli uomini a essere credenti a loro dispetto?» (10,99), e ancora quella che dice: «Non sei stato nominato loro sovrano!» (88,22).

 

Terzo: Se il Nobile Corano ha stabilito questi due diritti, la differenza tra le persone e la garanzia della loro libertà di credenza, quale tipo di relazione stabilisce tra di essi la filosofia coranica? L’unica via per questa relazione è la conoscenza reciproca, che Dio ha delineato come quadro per i rapporti tra le persone. È quanto leggiamo chiaramente nel nobile Corano: «O uomini, in verità Noi v’abbiam creato da un maschio e da una femmina e abbiam fatto di voi popoli vari e tribù a che vi conosceste a vicenda, ma il più nobile fra di voi è colui che più teme Iddio. In verità Dio è sapiente e conosce». (49,13). Sì! Il terzo principio è ricavato logicamente dai due principi precedenti. Lo si può formulare in una norma che afferma: nel Corano, la relazione legittima tra le persone è soltanto quella della conoscenza reciproca e della pace.

 

Da qui risultano logicamente le leggi coraniche che regolano le relazioni umane e non c’è spazio per la loro interpretazione o la loro alterazione: la differenza è un requisito della libertà di convinzione, che implica a sua volta una relazione pacifica tra le persone.

 

Da questi testi fondanti dell’Islam emerge con chiarezza che esso è una religione di pace, che afferma il diritto alla differenza di credo e di opinione. Non è dunque vero quel che a volte si dice e si propaganda, e cioè che la miscredenza dell’altro è una ragione legittima per combatterlo. È una bugia pura e semplice sull’Islam e sulla vita del suo profeta, per quanto questa calunnia sia sta fatta propria da alcuni appartenenti a questa religione, che pure si fonda su prove irrefutabili e non sul dubbio e sulla menzogna.

 

Conclusione

 

Avendo ben presenti le circostanze difficili che il nostro mondo contemporaneo sta attraversando, così come le minacce all’esistenza umana e alla preservazione dei popoli cui esso deve far fronte, saluto coloro che hanno scelto come titolo di questo storico incontro “Oriente e Occidente per la convivenza umana”. Permettetemi di usare questo palco per fare due appelli. Uno agli uomini di religione, agli intellettuali e ai giornalisti affinché intensifichino i loro sforzi per educare le giovani generazioni secondo i valori comuni alle varie religioni, traducendoli in programmi educativi e di conoscenza, in modo che ai giovani venga insegnato quanto affermato dalla filosofia delle religioni, è cioè che la vita è apertura al diverso per religione, razza, colore e lingua e che la diversità di culture è un arricchimento alla civiltà umana e contribuisce a costruire la pace perduta.

 

L’altro appello è rivolto agli uomini di religione musulmani in ogni parte del mondo, a prescindere dalle loro differenze di confessione o di scuola, affinché si adoperino per instaurare un serio dialogo “islamico-islamico”, volto a stabilire l’unità, il riavvicinamento e la conoscenza reciproca, un dialogo orientato alla fratellanza religiosa e umana e dal quale siano rimosse le cause di divisione,  di discordia, e di conflitto settario e ci si concentri invece sui punti di contatto e di incontro. Le decisioni di questo dialogo dovrebbero essere improntate a una regola d’oro: perdonarsi a vicenda per le cose su cui si diverge e cessare i discorsi d’odio, le provocazioni e le scomuniche, affermando invece la necessità di superare le dispute del passato e del presente, con tutto il loro carico di negatività. È un invito che rivolgo ai nostri fratelli sciiti: sono pronto, insieme al Consiglio degli ulema di al-Azhar e al Consiglio dei Saggi musulmani, a organizzare con cuore aperto e mano tesa un incontro simile a questo e a discutere intorno a un unico tavolo, in modo da voltare pagina e promuovere con realismo e in conformità con gli obiettivi dell’Islam e della sua sharī‘a l’unità della causa islamica, impedendo ai musulmani di prestare ascolto alle sirene della divisione e della disunione e mettendoli in guardia dal cadere nella trappola di chi vuole giocare con la stabilità dei Paesi e sfruttare la religione per incitare allo sciovinismo e al settarismo o per intromettersi negli affari degli Stati, usurpandone la sovranità e i territori.

 

In quest’occasione e da questo Forum dedicato al dialogo tra Oriente e Occidente per la convivenza umana, unisco la mia voce a quella di coloro che amano il bene e invitano alla pace e alla fine della guerra tra Russia e Ucraina, dello spargimento del sangue degli innocenti che non hanno nulla a che fare con questa tragedia, a issare la bandiera della pace al posto dello stendardo della vittoria, a sedersi al tavolo del dialogo e del negoziato. Invito inoltre a cessare i combattimenti in corso in varie regioni del mondo per ricostruire ponti di dialogo e di comprensione e fiducia e riportare la pace in un mondo ricoperto di piaghe, affinché non aumentino le sofferenze dei popoli poveri e le conseguenze nefaste per l’Oriente e l’Occidente.

 

*Testo pronunciato il 4 novembre 2022. Traduzione dall’arabo di Michele Brignone

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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[1] Il riferimento è al discorso tenuto da Josep Borrel, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in occasione dell’inaugurazione dell’Accademia diplomatica europea il 13 ottobre 2022 (NdT). Si veda https://www.eeas.europa.eu/eeas/european-diplomatic-academy-opening-remarks-high-representative-josep-borrell-inauguration_en

[2] Si tratta di un documento redatto nel 2017 per affermare i valoro del dialogo e della pace (NdT), http://bahrainsociety.uk/wp-content/uploads/2018/05/BAHRAIN_DECLARATION.pdf

 

 

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