L’accordo sul nucleare iraniano avrà delle pesanti ripercussioni nelle relazioni internazionali dell’Iran e nello scenario mediorientale, ma anche all’interno, a livello politico e sociale. Le varie implicazioni si misureranno nel tempo, ma primi movimenti si intravedono già. Intervista a Nasser Hadian, professore di Scienze politiche presso l’Università di Teheran.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:10:12

Come è stato accolto in Iran l’accordo USA-Iran sul nucleare? Per quanto riguarda la popolazione, posso dire che la maggioranza degli iraniani l’ha accolto con favore. O meglio, non tutti erano soddisfatti dei dettagli dell’accordo, ma la maggioranza era favorevole. Quanto all’élite iraniana, è generalmente divisa in quattro gruppi. C’è chi sostanzialmente ha gradito il patto in tutti i suoi aspetti; chi, per quanto critico, l’ha comunque accolto con piacere; chi ha avanzato critiche legittime e l’ha rifiutato; infine chi è molto critico e ritiene che non è nell’interesse dell’Iran avere un accordo sul suo programma nucleare. Come inciderà l’accordo sulle politiche iraniane e sulla società? La società si aspetta la cancellazione delle sanzioni. Ciò inciderà gradualmente su vari aspetti della società e sarà fonte di maggiori investimenti, maggiori possibilità di lavoro e miglioramento degli standard di vita. Questo è il programma presentato dal Presidente Rouhani ed è la ragione per cui ha vinto le elezioni. Gli iraniani si aspettano che mantenga le promesse fatte. Sicuramente l’accordo avrà delle ripercussioni anche sulla politica iraniana. L’élite politica però è divisa essenzialmente in due gruppi: i fautori della linea dura e i riformisti. La percezione è che i fautori della linea dura vogliano limitare gli effetti dell’accordo alle sole questioni nucleari e alla politica estera senza che questo abbia alcun impatto sulla sfera sociale, culturale e politica. E faranno del loro meglio per raggiungere questo obiettivo. Ma il Governo e i riformisti tenteranno di ampliare gli effetti dell’accordo fino a investire altre aree della vita sociale. In altre parole essi sostengono che fintanto che c’erano le sanzioni e l’Iran si trovava sotto la pressione e la minaccia internazionale era ammissibile adottare delle misure straordinarie. La questione della sicurezza infatti era prioritaria e giustificava un maggiore controllo della politica. Ma dal momento che queste minacce non esistono più, non è logico né per il governo né per i riformisti che si continui a esercitare un controllo ferreo sulla sfera politica, arrestando le persone e limitandone la libertà. Ora non c’è più alcuna ragione per continuare con questa politica. Dobbiamo aspettare e vedere quali ripercussioni avrà l’accordo sui vari ambiti della vita sociale. E nello scenario mediorientale quali implicazioni avrà l’accordo? Ora possiamo destinare più risorse per far fronte alle questioni regionali che sono molto critiche. Tutti i Paesi a noi limitrofi sono instabili: l’Iraq, la Siria, il Libano, lo Yemen e l’Afghanistan. Dobbiamo stare molto attenti alla nostra sicurezza e, secondo le mie previsioni, per i prossimi dieci-quindici anni l’Iran svolgerà un ruolo importante nello stabilizzare la regione. Del ritorno dell’Iran sulla scena politica ed economica internazionale potrebbero beneficiare attori legati a questo Paese come la Siria di Asad, il governo iracheno di al-Abadi e Hezbollah? Potrebbe significare più aiuti per combattere lo Stato Islamico e le altre organizzazioni jihadiste? Non possiamo negare che se avremo più risorse aiuteremo anche i nostri amici. Ma l’Iraq non ha bisogno del nostro aiuto finanziario. L’Iran proverà a coinvolgere due importanti attori regionali, l’Arabia Saudita e la Turchia, e due attori internazionali, la Russia e l’America, per stabilizzare la situazione siriana e isolare ISIS. Su un punto siamo stati molto chiari: per contenere e sconfiggere ISIS è importante collaborare e coordinare le attività con gli attori regionali e internazionali. Anche noi collaboreremo e ora abbiamo maggiori risorse, non solo finanziarie, da destinare a questo scopo. Se Iran e Turchia collaboreranno, ci saranno maggiori possibilità di sconfiggere ISIS in Siria. Le monarchie del Golfo si sono mostrate ostili ai negoziati USA-Iran. In particolare, l’Arabia Saudita minaccia di intraprendere un programma di armamento atomico in collaborazione col Pakistan. È ipotesi verosimile? No. Certamente i sauditi hanno diritto ad avere un programma pacifico di energia nucleare sotto l’egida del Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Se vogliono un programma nucleare possono averlo. Ma non capisco perché dovrebbero legarlo al nostro. Non devono chiedere il permesso a nessuno, né agli Stati Uniti, né all’Iran. Con il Trattato di Non Proliferazione, se lo vogliono, hanno diritto a un buon programma nucleare. Ma dubito che ci riusciranno perché un programma nucleare richiede molte infrastrutture che l’Arabia Saudita non possiede e il cui sviluppo richiede anni. Ma se volessero produrre delle armi nucleari, non possono. È illegale per tutti, per l’Iran, per l’Arabia Saudita, per tutti. Dobbiamo aspettarci una corsa al riarmo o ritiene possibile un accordo tra gli attori mediorientali che consenta di riorganizzare la regione? Sono speranzoso. Nei prossimi mesi il ministro degli Esteri iraniano prenderà contatto con gli attori regionali e sub-regionali per appianare le tensioni e aprire la strada a un potenziale dialogo inclusivo sulla sicurezza. Israele teme che l’accordo costituisca una minaccia per la sua sicurezza. Sono timori giustificati? Assolutamente no. Gli americani sono grandi amici di Israele e l’accordo che è stato negoziato non nuoce agli interessi di Israele. I leader israeliani non sono preoccupati per l’accordo, sanno che gli americani non avrebbero negoziato un accordo a loro svantaggio, e sanno anche che gli iraniani non cercano armi nucleari. Non ho dubbi sul fatto che gli israeliani lo sappiano. Ciò che vuole Israele non c’entra con il nostro programma nucleare. Ciò che vuole veramente è tenere l’Iran isolato distogliendo l’attenzione da altre questioni. Vuole che l’Iran sia il sospettato numero 1 per la questione nucleare e che l’attenzione internazionale sia focalizzata su questa questione e sui conflitti e sul caos regionale. Non vuole parlare dei diritti dei palestinesi. Gli israeliani temono che la fine della minaccia iraniana dirotti l’attenzione su di loro e temono di dover fornire delle spiegazioni riguardo al loro programma nucleare. Si parla sempre del programma iraniano di arricchimento dell’uranio, ma Israele ha più di 200 testate nucleari che non sono controllate da nessun ente internazionale.