Aldo Ferrari, Il Caucaso. Popoli e conflitti di una frontiera europea, Edizioni Lavoro, Roma 2008

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:52

Georgia, Abkhazia, Ossezia, ma anche Cecenia, Armenia, Azerbaigian, Daghestan. Nomi che si rincorrono nelle cronache, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto russo-georgiano, rimandando a una regione che è percepita come caotica e lontana: il Caucaso, l'estremo confine tra Europa e Asia, la terra del Vello d'Oro e del biblico Ararat. Caotico il Caucaso lo è certamente, soprattutto per chi ne ignori la storia più che millenaria, ma lontano assolutamente no: per la regione transitano alcuni tra i più importanti oleodotti e gasdotti che dall'Asia Centrale vanno verso la Turchia e il Mediterraneo. Le tre repubbliche indipendenti (Georgia, Armenia, Azerbaigian) hanno chiesto di entrare a far parte dell'Unione Europea e sono già membri del consiglio d'Europa. Nel frattempo, tra Russia e Stati Uniti si sta giocando una gigantesca partita per il controllo dell'area, strategica nel nuovo Grande Medio Oriente, mentre la questione cecena, poco più a nord, rimane tuttora irrisolta. Ai confini, Turchia e Iran premono per esercitare un'influenza regionale. Tutto questo e molto altro si cela dietro la guerra che ha occupato le cronache dell'estate. Il libro di Aldo Ferrari, responsabile del Programma di ricerca Caucaso - Asia Centrale dell'istituto di studi di politica internazionale (ISPI) di Milano, ripercorre con rapida ma brillante sintesi le vicende della regione, dall'antichità ai giorni nostri e si rivela una guida indispensabile per capire i retroscena delle vicende belliche degli ultimi mesi. Si inizia con la classica distinzione tra Ciscaucasia, la regione più prossima alla Russia, abitata da popolazioni montanare convertitesi gradualmente all'Islam, e Transcaucasia, zona più orientata verso il Medio Oriente in cui fiorirono fin dall'antichità i regni di Georgia e di Armenia. Dopo aver abbracciato già nel IV secolo il Cristianesimo ed essere rimasti isolati per secoli in territorio musulmano, essi rientrarono a far parte del concerto europeo grazie alla progressiva avanzata dell'impero zarista. Le altalenanti politiche russe, ora tendenti a una valorizzazione delle popolazioni locali, ma molto più spesso ispirate a un deciso centralismo, suscitarono malcontenti tra le popolazioni cristiane e alimentarono varie rivolte musulmane in Ciscaucasia, tra cui spiccano quella guidata dal misterioso Mansur (forse il domenicano piemontese Govanni Battista Boetti) nel XVIII secolo e quella ordita dal carismatico Shamil a metà dell'Ottocento. Dopo il brevissimo intervallo delle repubbliche indipendenti agli inizi degli anni Venti, la seconda guerra mondiale lasciò nella regione uno strascico di odio: in particolare Stalin agì con estrema durezza verso alcuni popoli, come i ceceni, accusati di aver collaborato con l'invasore nazista. Dopo le deportazioni forzate seguì una relativa calma, sotto la quale covavano tuttavia le tensioni nazionalistiche che si manifestarono con chiarezza alla fine degli anni '80. Sia nella parte di Caucaso divenuta indipendente sia in quella rimasta sotto il controllo di Mosca le rivalità sono infatti sfociate in guerre aperte, come lo scontro tra Armenia e Azerbaigian per la questione dell'Alto Karabak (che presenta dal punto di vista del diritto internazionale più di un'analogia con il caso del Kosovo), la secessione dell'Ossezia meridionale dalla Georgia e soprattutto il caso ceceno. Mentre l'Armenia mantiene un orientamento filo-russo, i rapporti preferenziali che la Georgia e in maniera minore l'Azerbaigian coltivano con gli Stati Uniti non l'hanno finora messa al riparo dalla reazione russa. Nella conclusione l'autore valuta che «l'inserimento delle tre Repubbliche della Trancaucasia nella Politica di vicinanza da parte di un'Unione europea che non ha mire egemoniche nella regione potrebbe costituire realmente un fattore di rilievo» (p. 114). L'auspicio, espresso prima dell'ultimo conflitto, trova nelle vicende degli ultimi mesi un'ulteriore conferma.