Rassegna stampa ragionata sul Medio Oriente e sul mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:03:26

Questa settimana la stampa internazionale ha dedicato ampio spazio al decennale della rivoluzione egiziana del 2011 e alla Primavera araba in generale. Il Washington Post e Al Jazeera hanno elaborato dei contenuti interattivi, mentre Le Monde ha intervistato due scrittori di generazioni diverse, il libanese Elias Khoury e l’egiziano Ahmed Naji per esplorare il dibattito sull’eredità delle rivolte a dieci anni di distanza.

 

L’Egitto del 2011 era carico di speranza. Il 71% della popolazione si dichiarava ottimista, ricorda ISPI, e addirittura il 90% pensava che la situazione sarebbe nettamente migliorata dopo la rivoluzione. Oggi si osservano percentuali simili ma in senso diametralmente opposto. La maggior parte degli egiziani direbbe quindi che nel proprio Paese la Primavera araba è fallita.

 

L’esercito continua ad avere un ruolo di primo piano. Al Jazeera, emittente qatarina fortemente ostile al presidente al-Sisi, ritiene però che le cose potrebbero cambiare in futuro, perché il presidente-generale «ha compiuto significative azioni negli ultimi anni per aumentare il proprio potere e limitare l’indipendenza dei militari».

 

Tragica resta comunque la situazione dei diritti umani. Amnesty International ha denunciato le condizioni dei prigionieri in carcere, dove «detenuti di tutti i tipi rischiano di morire in custodia a causa della profonda mancanza di cure di base da parte delle autorità».

 

Anche il Carnegie Endowment for International Peace ha pubblicato un’analisi su come il regime autoritario di al-Sisi stia usando la macchina della repressione per perpetuare lo status quo: «La feroce repressione dell’opposizione da parte del regime e il suo rifiuto di condividere il potere con i civili nella forma di un partito di governo o di un attore politico credibile, lo espone alla rabbia popolare alla quale può rispondere solo con la repressione».

 

Come mostra questa infografica, i nodi che hanno portato allo scoppio della Primavera Araba non sono risolti. L’afflato rivoluzionario non è spento, ma solo soffocato dalla mancanza di libertà, e trova una parziale manifestazione nelle arti e nella cultura popolare che sfuggono alla censura. Anche il cinema egiziano, l’“Hollywood del mondo arabo” lotta per la propria liberà di espressione, e L’Orient-Le Jour ne racconta le vicissitudini. Le rivendicazioni dei giovani egiziani passano anche attraverso la musica, che è il tema di una nuova rubrica di Oasis.

 

Il testo continua dopo l'infografica

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Siria: gli attacchi dello Stato islamico, l’inflazione e i disagi per la popolazione

 

La settimana scorsa ci eravamo soffermati sul doppio attentato suicida a Baghdad, in Iraq, ma anche in Siria nelle ultime settimane c’è stata un’escalation di violenza da parte dello Stato islamico, soprattutto nei pressi di Badia, il deserto che si estende dalla città di Homs alla Valle dell’Eufrate, spiega Le Monde. Dal 30 dicembre 2020 al 24 gennaio 2021 si sono verificati almeno tre attacchi contro le truppe siriane e le milizie filo-iraniane che sostengono il regime di Bashar al-Assad insieme alla Russia.

 

Tuttavia questo doppio sostegno a Bashar non implica un’alleanza anche tra Mosca e Teheran. Al contrario, Al Monitor spiega che le milizie iraniane si sono parzialmente ritirate dalla provincia di Deir ez-Zor, nella Siria orientale, e la Russia potrebbe prenderne il controllo, attirata dalla posizione strategica di confine con l’Iraq e dalla ricchezza del sottosuolo.

 

A tal proposito Al-‘arabi al-jadid parla di una «fuga di notizie» riguardo un possibile accordo di normalizzazione tra Israele e la Siria finalizzato a contrastare la presenza iraniana in Siria. L’accordo godrebbe del beneplacito della Russia e infatti è stato oggetto di discussione tra il ministro degli Esteri siriano Faisal al-Miqdad, e quello russo, Sergej Lavrov, che si sono recentemente incontrati a Mosca.

 

Le milizie sono mal sopportate dalla popolazione, spiega L’Orient Le-Jour, ed è proprio su questo che cercano di fare leva i jihadisti rivolgendosi alla popolazione sunnita. Anche le Forze democratiche siriane a prevalenza curda, che controllano Raqqa e Deir ez-Zor, non sono ben viste. Se si prende in considerazione il vuoto strategico lasciato dalle forze americane che erano a capo della coalizione contro l’ISIS, si intuisce che potrebbe verificarsi un ritorno dello Stato islamico.

 

Situazione diversa nella Siria nord-occidentale, dove Hayat Tharir al-Sham (designato come gruppo terroristico dagli Stati Uniti e dal Consiglio di sicurezza dell’ONU) sembra aver preso il controllo di Idlib e dintorni non solo a livello territoriale, ma anche amministrativo. Forte dei propri successi, HTS sta cercando di espandere la propria presenza nell’area di Aleppo mentre le potenze straniere e la stessa Damasco sono impegnate a combattere contro un ramo ancora più radicale di HTS, Haras al-Din.

 

Nelle precedenti newsletter abbiamo parlato della direzione che potrebbe assumere la politica estera americana in Medio Oriente, soprattutto nei confronti dei Paesi del Golfo. Finora l’amministrazione Biden ha svelato poco o nulla riguardo la propria politica nei confronti della Siria, ma è probabile che con il nuovo presidente gli Stati Uniti torneranno all’azione diplomatica, scrive Arab News.

 

Anche secondo altri analisti Biden potrebbe cercare di far sedere le varie potenze coinvolte nel conflitto al tavolo negoziale dell’ONU, finora rimasto in secondo piano rispetto alle trattative tra Russia, Iran e Turchia. Quest’ultima, in particolare, ha occupato la regione nord-orientale della Siria, dopo l’annuncio di Trump, a ottobre 2019, di voler ritirare le truppe americane (azione che era stata criticata da Biden al tempo) e nella stessa zona si registrano quotidianamente scontri tra le Forze democratiche siriane e l’Esercito nazionale siriano, che gode dell’appoggio di Ankara.

 

La situazione economica e sociale, nel frattempo, si è completamente deteriorata. L’iperinflazione ha costretto la Banca centrale siriana a stampare una nuova banconota da 5.000 lire. Ad oggi un dollaro americano corrisponde a circa 3.000 lire siriane ma la valuta è in costante caduta. Infine, a Idlib e Aleppo delle forti piogge hanno ridotto i campi profughi a dei laghi e le tende di diverse famiglie sono state distrutte o danneggiate.

 

Ancora proteste in Tunisia

 

Continuano le proteste in Tunisia. Arianna Poletti racconta le ultime vicende da Tunisi: da sabato scorso i giovani sono nuovamente in piazza, nonostante una serie di arresti arbitrari da parte della polizia, mentre il governo non riesce a produrre un’azione che sia in qualche modo incisiva.

 

Il Parlamento ha approvato un rimpasto di governo, ma i manifestanti vogliono di più: pane, libertà, dignità e la caduta del regime. Le stesse richieste del 2011. Secondo un rapporto della BBC Arabic, negli ultimi dieci anni ci sono stati miglioramenti in termini di libertà democratiche, ma non a livello socio-economico.

 

La disoccupazione giovanile, per esempio, è passata dal 13% del 2010 al 16.2% del 2020, mentre il debito pubblico ora si avvicina al 90% del PIL. Secondo un sondaggio pubblicato dal Guardian, il 27% dei tunisini ritiene migliorata la propria condizione rispetto a prima della rivoluzione. Il 50%, invece, sostiene che a causa dell’economia stagnante e degli alti livelli di disoccupazione (elementi che sono andati peggiorando con la pandemia da covid-19) la loro situazione sia in realtà peggiorata.

 

Secondo gli osservatori, a giocare un ruolo importante nell’arresto dello sviluppo economico è stato anche «il continuo conflitto tra i partiti politici» del Paese. Martedì sera un Parlamento barricato ha votato la fiducia al nuovo governo (11 ministri su 25 sono stati sostituiti), mentre all’esterno i manifestanti hanno continuato a marciare in protesta e si sono scontrati con la polizia.

 

Il rimpasto ha ampliato il divario tra il primo ministro Hichem Mechichi e il presidente Kais Saied, mentre, sempre martedì, Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda e a capo del Parlamento, ha ribadito il diritto dei giovani a protestare, ma in modo pacifico. Ghannouchi ha poi definito «vittime del fallimento del sistema educativo e sociale» i ragazzi che hanno preso parte alle manifestazioni .

 

La situazione resta tesa. Lunedì (la notizia è stata confermata però solo due giorni dopo) il presidente della Repubblica aveva ricevuto una busta con all’interno della «polvere sospetta». Nadia Akacha, capo del personale di Saied, è stata portata in ospedale e delle indagini sono in corso per determinare l’esatto contenuto della busta.

 

In un paragrafo

Libano

 

Anche in Libano da giorni si continua a protestare. A Tripoli centinaia di persone hanno manifestato per la mancanza di aiuti economici, in un contesto in cui  un nuovo lockdown nazionale obbliga i commercianti a tenere i negozi completamente chiusi. Negli scontri di mercoledì diversi manifestanti sono stati feriti dalle forze di sicurezza. Inoltre la disoccupazione, la svalutazione della moneta e l’inflazione, rendono insostenibile la vita in Libano. Di conseguenza, Hezbollah ha preso il posto delle istituzioni di credito libanesi e si sta dimostrando «un’ancora di salvezza» per le persone che hanno bisogno di liquidità. L’organizzazione sciita eroga infatti piccoli prestiti senza interessi, permettendo alla popolazione non solo di ottenere liquidità ma anche di aprire conti di risparmio.

 

In una frase

 

Durante la sua visita in Iraq, il Papa incontrerà anche il Grande Ayatollah ‘Ali al-Sistani (Asia News).

 

Dopo gli attentati suicidi a Baghdad, il primo ministro iracheno Mustapha al-Kadhimi ha detto che le forze di sicurezza hanno ucciso uno dei comandanti dello Stato islamico (Middle East Eye).

 

Tra il 25 gennaio e il 7 febbraio La Croix pubblicherà una serie di contenuti sull’Islam contemporaneo in Francia.

 

Anche Egitto e Qatar potrebbero riallacciare i rapporti diplomatici (Responsible Statecraft).

 

I media francesi (Le Monde) hanno riferito dell’uccisione di un centinaio di jihadisti in Mali, ma secondo la popolazione locale la coalizione franco-maliana ha bombardato un matrimonio (Washington Post).

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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