Pubblichiamo l'intervista che il Card. Angelo Scola, presidente di Oasis, ha rilasciato a Radio Vaticana sulla scia degli attacchi di Parigi e del dibattito che stanno suscitando circa i limiti della libertà di espressione.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:26

Dopo i fatti che hanno insanguinato Parigi, domenica scorsa, inizio della Settimana per l’Unità dei Cristiani, l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha chiesto ai sacerdoti e alle comunità cristiane della diocesi di pregare in modo particolare per la pace durante le celebrazioni della messa. Si è pregato per la Nigeria, i cento bambini trucidati in Pakistan, i drammatici scontri in Ucraina, la violenza in Terra Santa, il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq, i tanti conflitti che interessano l’Africa. Nella Diocesi di Milano, la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani si concluderà sabato prossimo, con il conferimento presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, della laurea honoris causa al teologo ortodosso Ioannis Zizioulas, Metropolita di Pergamo, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: una nuova tappa del percorso intrapreso dal cardinale Scola con una serie di viaggi, incontri col mondo ortodosso e scambi tra scuole di riflessione teologica. Sul terrorismo di matrice fondamentalista, ascoltiamo il cardinale Angelo Scola al microfono di Luca Collodi (qui l'audio): R. – Abbiamo deciso di rispondere alla tragedia di Parigi, che non va sconnessa da altre tragedie per certi versi ancor più terribili che sono presenti nel mondo, con quell’atteggiamento della preghiera che noi riteniamo il più importante, il più prezioso, il più immediato. Come diceva San Bernardo, di fronte al mistero di iniquità, bisogna avere il coraggio di porlo dentro le ferite di Cristo. Noi abbiamo voluto fare questo, perciò abbiamo preparato un testo in cui abbiamo elencato il più possibile attentamente tutti i luoghi di prova tragica, soprattutto di persecuzione per i cristiani, per gli uomini delle religioni e gli uomini di buona volontà. D. – I cittadini europei cosa possono fare per combattere la violenza nel mondo? R. – Anzitutto, partirei proprio da ciò che abbiamo fatto con il gesto di preghiera. E’ illusorio, cioè, pensare che ci sia un cambiamento che non incominci da ciascuno di noi ed è illusorio pensare che ci sia un cambiamento se questo cambiamento non è da subito, ma viene rinviato a domani, al dopo. D. – Intanto, card. Scola, l’Occidente pubblica vignette mentre in Africa gruppi islamisti bruciano le chiese: c’è un limite alla libertà di satira? R. – Senza volere in nessun modo sminuire l’atrocità inaccettabile di ciò che è successo a Parigi, tuttavia dobbiamo legare in termini costruttivi la libertà espressiva, da una parte, alla libertà di coscienza, ma dall’altra parte anche al bisogno della vita buona che oggi non può non essere intesa in termini globalizzati. Quindi, l’invito, secondo me molto preciso, alla prudenza che ha fatto il Santo Padre è importante, dove la prudenza non va intesa come uno “stare indietro” ma, come diceva San Tommaso, come il cocchiere di tutte le altre virtù. Bisogna sempre avere l’intelligenza di misurare il rischio di violare il diritto altrui e mi pare che il diritto al rispetto del proprio credo non possa essere sottovalutato. D. – Oltre alla satira contro Maometto, spesso troviamo satira molto dura anche con i cristiani: nel giornale satirico francese Charlie Hebdo troviamo vignette con scene sessuali sulla Trinità. I cristiani, però, stanno zitti: perché? R. – Questo è un problema di fondamentale importanza, che la questione della satira mette in evidenza come la punta di un iceberg, ma è un problema che riguarda tutto il cristianesimo in Europa. Non a caso, già da tempo in molti diciamo che siamo, come cittadini europei, stanchi, affaticati. Ma lo siamo anche come cristiani. Il problema è quello di ripartire dalla testimonianza intesa in senso integrale: non solo come buon esempio, ma come modo di conoscenza della realtà e quindi come modo di comunicazione della verità. Bisogna che il cristiano, le famiglie cristiane, le associazioni, i movimenti laicali, le parrocchie, le nostre Chiese europee, le diocesi, mobilitino tutti a raccontare, a narrare con spontaneità la bellezza e la verità e la bontà della sequela di Cristo. Poi, evidentemente, in una società plurale abbiamo anche il dovere di dire come certe grandi istituzioni dovrebbero essere concepite per una vita buona. Per esempio, abbiamo una certa idea della famiglia ed è giusto, in una società in cui ci sono visioni diverse, esporla anche pubblicamente, con i mezzi appropriati, tendendo al massimo riconoscimento possibile, in modo che il legislatore sia aiutato a rispettare realmente le intenzioni profonde del popolo. D. – Card. Scola, sul piano più umano come si può perdonare una fede quando mi offende come cristiano? R. – Dobbiamo intenderci sulla parola “perdono”: il perdono è un lavoro che lascia operare la misericordia di Dio nel nostro cuore e nella nostra mente e nella nostra azione. In concreto, credo che di fronte al grande cambiamento che è in atto nell’islam – come ogni giorno posso imparare dal Centro Studi “Oasis” a cui, con amici di tutto il mondo, abbiamo dato vita 11 anni fa, questi grandi cambiamenti hanno bisogno di conoscenza. Sono molto colpito dal fatto che fino a poco tempo fa non c’era in Occidente un desiderio di conoscenza dell’islam. Mancava forse la premessa per una comprensione di questi fenomeni e per una conseguente azione. D. – Sul fronte sociale, però, il laicato cattolico in Italia, ma anche in Europa, sembra in difficoltà, addirittura scomparso dal dibattito culturale e politico della dottrina sociale… R. – Effettivamente, con la crisi, per stare all’Italia, del cosiddetto “cattolicesimo politico” – crisi che non possiamo ovviamente qui analizzare – realmente si è aperta una gravissima lacuna e questo deve mettere in moto un processo di educazione integrale, di tutti i fedeli, in particolar modo dei fedeli laici, perché assumano tutte le loro responsabilità all’interno di quel quotidiano che una volta si chiamava “il secolo” e oggi si può chiamare “la storia”. I cristiani intendono condividere l’esperienza che l’incontro con Gesù e la vita con Lui nella comunità cristiana rende possibile un modo "conveniente" di amare e generare, di lavorare e di riposare, di educare, di condividere gioie e dolori, di assumere la storia, di accompagnare e prendersi cura della fragilità, di promuovere la libertà e la giustizia. L'intervista è tratta da Radio Vaticana