Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:22
La cosiddetta “questione palestinese” ha sempre avuto un carattere prevalentemente politico più che religioso, trattandosi di una questione di tensione irrisolta tra due, se così si può dire, nazioni. Tuttavia in Israele nel 1971 fu fondato dallo shaykh ʻAbd Allah Nimr Darwîsh un partito politico-religioso chiamato il “movimento musulmano” che dal 1989 riesce ad avere alcuni rappresentanti nei comuni di alcuni villaggi e città arabe, e dal 1996 elegge dei deputati alla Knesset di Israele. Nonostante si riscontrino diverse correnti dentro lo stesso partito, che hanno portato anche a divisioni (oggi ci sono tre correnti con tre differenti leader), questo movimento conferisce alla questione palestinese un aspetto e un carattere religioso.
Il movimento musulmano in Israele ha rapporti diretti con Hamas e, probabilmente indiretti, con la Fratellanza musulmana. Questo si nota dalle posizioni recentemente assunte da parte di alcuni imam su ciò che è accaduto al governo di Morsi in Egitto e sul
trattamento riservato ai Fratelli musulmani. Inoltre nelle loro predicazioni del venerdì torna costantemente la sottolineatura di quanto sia perfetta la soluzione musulmana a tutti i problemi:
sociali, economici e politici. Il contenuto dei loro sermoni è carico di inviti alla pazienza perché la vittoria dell’Islam arriverà, nonostante i cristiani e gli ebrei – a loro dire – oggi vogliano distruggere l’Islam. Questi interventi vengono ascoltati anche da molti giovani e universitari – il partito è attivo nel mondo universitario in Israele – e concorrono a diffondere il sospetto e la tensione tra arabi cristiani e musulmani che vivono in Israele, che al contrario potrebbero collaborare sulla questione palestinese che li accoumuna.
L’annuncio dell’autoproclamatosi Stato Islamico e il ritorno del cosiddetto Califfato musulmano ha avuto una ricaduta influente anche su alcuni musulmani in Palestina e in Israele. Dai centri nei quali è forte la presenza del movimento musulmano alcuni giovani sono partiti per la Turchia e di là sono entrati in Siria e Iraq
per raggiungere le fila di ISIS. Inoltre gli imam del movimento musulmano caricano i loro interventi di espressioni di odio verso l’Occidente, mettendo l’accento su tutto ciò che farebbe
contro l’Islam e i musulmani. Ovviamente non si dichiarano mai apertamente favorevoli a ISIS e alla sua prassi, ma sono sempre sicuri che gli occidentali, spesso chiamati anche “i nuovi crociati”, vogliano distruggere l’Islam, e che la guerra contro ISIS e gli altri gruppi fondamentalisti è il principio di questo.
Certamente in un paese non musulmano come Israele non si può chiamare al jihad armato. Ma ogni volta che ci sono problemi intorno alla moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, si sente apertamente la chiamata contro gli israeliani e anche contro il silenzio della
umma musulmana e dei suoi governanti. Recentemente, inoltre,
si è sentita una frase come «Gerusalemme non sarà solo la capitale di Palestina ma la capitale del califfato musulmano
râshidî che sta arrivando». Tutti i partiti politici arabi di Israele hanno reagito con forza a tali appelli: per loro è ormai chiaro che il movimento musulmano vuol trasformare la questione palestinese in un problema di carattere religioso che esclude tutti i non musulmani.
Altri hanno inteso questa frase come un invito rivolto a ISIS ad entrare in Israele. Inoltre va riscontrato che se alcuni non condannano ISIS e condividono le sue opinioni sull’islamizzazione del mondo e il ritorno del califfato musulmano, vi sono altri in Israele, e precisamente a Nazareth, che hanno osato esporre la bandiera di ISIS in un posto molto significativo: la piazza da cui si sale verso la chiesa latina dell’annunciazione. Nonostante si sia tentato di eliminare tale bandiera e altri simboli che rimandano a ISIS, oggi in tanti villaggi e città musulmane o miste ci sono soprattutto dei giovani che dichiarano apertamente il loro sostegno a ISIS. Questo comporta da una parte un sentimento di insicurezza per i cristiani e dall’altra a problemi di livello politico e di convivenza. Problemi che tanti cercano di superare per tornare a un’atmosfera di pace e collaborazione.