A pochi giorni dalla visita di Papa Francesco, il Royal Institute for Inter-Faith Studies e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso hanno riunito ad Amman cristiani e musulmani per parlare di educazione. Intanto a pochi chilometri di distanza infuria il ciclone della guerra siriana.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:06

Non è la prima volta che il Royal Institute for Inter-Faith Studies di Amman e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso s’incontrano per un momento di lavoro. Ma la conferenza di quest’anno, dedicata all’educazione, si è svolta in un momento molto particolare, a pochi giorni dalla visita del Papa. In città iniziano già a comparire i manifesti con la foto di Papa Francesco e di Re ‘Abdullah II, «insieme per costruire la civiltà dell’amore e della concordia»: sullo sfondo la facciata di San Pietro e il sito del Battesimo di Gesù. Ma solo pochi metri più in là una compagnia telefonica pubblicizza una tariffa speciale per la Siria, per «chiamare a casa e tranquillizzare i propri cari». Destinatari il milione e 300mila profughi che secondo le ultime stime si sono riversati nel nord della Giordania mettendo a dura prova il Paese, prima di tutto sul piano delle risorse naturali e dell’acqua in modo speciale. Proprio la drammatica situazione regionale ha dato alla conferenza islamo-cristiana una particolare impronta, favorendo un confronto franco, disposto a chiamare le cose con il loro nome, in un clima cordiale sotto la guida del principe el-Hasan Ibn Talal e di S.Em. il Cardinal Tauran. Ne è uscita non una dichiarazione comune, ma un vero e proprio appello a favore dell’educazione, accompagnato da un decalogo per gli educatori. Il punto di partenza è una constatazione triste: il Medio Oriente esporta oggi le sue migliori risorse umane (ci sono 7000 medici iracheni nella sola Londra), mentre importa estremisti. Visto dalla Giordania, il pericolo del terrorismo e della violenza settaria è tangibile: la Siria, ma anche l’Iraq, il Libano, il mai risolto conflitto israeliano-palestinese... I giordani sembrano spettatori impotenti di un ciclone sempre più vicino: era appena un puntino all’orizzonte (l’Algeria degli anni Novanta), poi si è avvicinato con le due guerre del Golfo, ora infuria proprio sotto casa. Chi ha responsabilità politiche o una posizione economica avverte chiaramente la necessità di allontanare la minaccia e invertire la tendenza. Come? Anche attraverso un’educazione adeguata, che certo non risolve i problemi immediati, ai quali comunque una risposta va data, ma getta le basi per un cambiamento di lungo periodo. Ostacola questo ambizioso progetto il sentimento di essere sotto attacco permanente, una paura alimentata da letture che considerano il conflitto come un elemento strutturale e inevitabile. Non si tratta solo della teoria dello scontro di civiltà, ma anche di un discorso parallelo che presenta l’Islam come perennemente aggredito. Questa percezione oscura la capacità di giudizio – ha osservato il prof. al-Hafi, docente di religioni comparate all’università Al al-Bayt – e non permette di essere obiettivi. Vista la situazione, non è sorprendente che in tutti gli interventi, cattolici e musulmani, sia affiorato il tema della violenza religiosa, considerata da Mons. Lahham, Vicario patriarcale della Giordania, come una delle sfide più grandi nel momento attuale. Da più parti poi l’educazione è stata messa in relazione con la riforma di sé (riforma della ragione e dell’anima, ha riassunto il prof. Al-Kilani dell’università di Giordania) e con il recupero della dimensione sapienziale. Non altrettanta unanimità si è potuta riscontrare invece intorno alla questione della libertà religiosa, sovente confusa con un proselitismo aggressivo. Ma uscendo dal Forum per il pensiero arabo che ha ospitato la conferenza, non si poteva trattenere una domanda: ce la farà la Giordania a non lasciarsi travolgere? Per saperlo, bisognerebbe indagare i sentimenti che nel cittadino medio destano le immagini della vicina Siria: provocano un salutare sgomento o suonano come una chiamata alle armi? L’interesse attorno alla visita e alla persona di Papa Francesco, accolto come ambasciatore di pace, lascia ben sperare, nonostante tutto.