Il primo viaggio all’estero del Vescovo di Roma ha confermato le grandi direttrici del suo pontificato e indicato una prospettiva molto significativa

Ultimo aggiornamento: 10/12/2025 17:11:34

Più che un’indicazione degli orientamenti di questo pontificato, il viaggio di Leone XIV in Turchia e in Libano è stato una conferma dei suoi assi portanti. Non era stato l’attuale pontefice a pensare queste due destinazioni, volute entrambe dal suo predecessore: la prima di fatto già pianificata per celebrare i 1700 anni dal Concilio di Nicea, la seconda molto desiderata, più volte annunciata, ma sempre rimandata durante il pontificato di Francesco. Eppure, difficilmente due Paesi avrebbero potuto esprimere in maniera più calzante la vena profonda di un magistero che, a pochi mesi dal suo avvio, si sta già delineando con chiarezza. Unità (e dunque ecumenismo) e pace, i temi sviluppati rispettivamente in Turchia e in Libano, sono infatti le parole con cui il primo papa nordamericano della storia si è presentato al mondo sin dalla sua apparizione sulla loggia di Piazza San Pietro e dal motto che campeggia sul suo stemma (in illo uno unum).

 

Più curiosità c’era forse sullo stile che avrebbe adottato il pontefice e sulle implicazioni politiche dei suoi discorsi e dei suoi gesti. In entrambi i casi Leone ha confermato il suo approccio allo stesso tempo mite e deciso, lontano da qualsiasi tipo di spettacolarizzazione ma caratterizzato da una notevole profondità.

 

Sarà forse stato deluso chi, sbagliando, aveva per l’ennesima volta interpretato anche questo viaggio papale come un’azione taumaturgica capace da sola di ribaltare, in particolare nel caso del Libano, decenni di crisi e malgoverno. Nel Paese dei Cedri il Papa ha sicuramente portato conforto, come hanno testimoniato le tante persone che lo hanno accolto festanti, ma si è astenuto da prese di posizione che avrebbero generato inevitabili strumentalizzazioni. È stato lo stesso Leone a lasciare intendere che determinate questioni, dalle responsabilità della classe politica al disarmo di Hezbollah, vanno discusse dietro le quinte. Nell’incontro coi giovani nel piazzale davanti al Patriarcato di Maroniti, a chi gli chiedeva «dove trovare il punto fermo per perseverare nell’impegno per la pace», ha risposto andando alla radice della fede più che prospettando strategie politiche: «Il vero principio di vita nuova è la speranza che viene dall’alto: è Cristo! Gesù è morto e risorto per la salvezza di tutti. Egli, il Vivente, è il fondamento della nostra fiducia; Egli è il testimone della misericordia che redime il mondo da ogni male». E nell’omelia della Messa celebrata al Waterfront di Beirut, uno dei momenti più intensi della sua tappa libanese, ha invitato i fedeli a «trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte».

 

Una certa attesa c’era anche per l’atteggiamento che Leone avrebbe manifestato nei confronti del dialogo interreligioso, dopo che Francesco ne aveva fatto una priorità del proprio pontificato. L’attenzione dei media è stata quasi interamente catalizzata dalla visita di Papa Prevost alla Moschea Blu d’Istanbul e dalle parole cortesi ma ferme – «it’s okay» – con cui egli ha declinato l’invito a raccogliersi in preghiera, frettolosamente interpretate come un’inversione a U rispetto a Francesco e anche a Benedetto, che nello stesso luogo avevano sostato silenziosamente per qualche minuto. Anche in Libano, terra d’elezione delle relazioni islamo-cristiane, ma dove il dialogo rischia di essere ridotto a esercizio retorico e protocollare, Leone ha evitato proclami solenni in materia.

 

Tuttavia, solo un mese prima di partire per il suo primo viaggio internazionale, commemorando il 60° anniversario della Nostra Aetate, la dichiarazione conciliare dedicata al rapporto tra il Cristianesimo e le altre religioni, il Papa aveva invitato a proseguire il cammino aperto dal Concilio Vaticano II. E durante la Messa celebrata alla Volkswagen Arena di Istanbul, appena qualche ora dopo la visita in moschea, prendendo spunto dall’immagine dei tre ponti che, attraverso il Bosforo, uniscono Europa e Asia, si è soffermato sui tre livelli dell’unità che i cristiani sono chiamati a perseguire: «dentro la comunità, nei rapporti ecumenici con i membri delle altre Confessioni cristiane e nell’incontro con i fratelli e le sorelle appartenenti ad altre religioni». Ma è nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Libano che il Vescovo di Roma si è sbilanciato più nettamente a sostegno del dialogo interreligioso, e in particolare di quello islamo-cristiano. Alla domanda sulle prossime mete dei suoi viaggi ha risposto senza esitazione di voler «andare in Algeria per visitare i luoghi della vita di Sant’Agostino, ma anche per continuare il discorso di dialogo, di costruzione di ponti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano».

 

Com’era prevedibile, con Leone non è venuta meno l’opzione di fondo della Chiesa cattolica a favore del dialogo interreligioso, ma è cambiato lo stile con cui questa viene portata avanti. Uno stile che peraltro non manca né di coraggio né di visione. Per convincersene basta pensare alla vastità della proposta lanciata dallo stesso pontefice in un incontro a porte chiuse alla chiesa di Sant’Efrem a Istanbul: prevedere, in occasione del Giubileo straordinario del 2033, un appuntamento ecumenico a Gerusalemme, la città dove le linee direttrici di questo pontificato – unità, pace e dialogo – potrebbero convergere in maniera del tutto singolare.

 

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