Intervento di Matteo Renzi alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:07:35

Alessandro Banfi: Ci troviamo di fronte al dilemma fra accogliere, ospitare e garantire la dignità a noi e a quelli che facciamo entrare. È sicuramente una domanda forte quella che si pone a voi della politica, avete una grande responsabilità e un grande peso. Sono felice di avere qui con noi il Presidente Matteo Renzi perché, proprio quando abbiamo lanciato l’appello di Oasis, erano i giorni della strage di Cutro, al Senato e alla Camera ci fu un dibattito molto approfondito sull’onda dell’emozione di quella strage. Il Presidente Renzi fece un intervento in Senato che tutti ricordiamo, ponendo delle questioni e impostando la vicenda in un modo che ci aveva colpito. Presidente Renzi, parto da questo. Siamo dentro a una contraddizione: da un lato l’ospitalità, ma allo stesso tempo la politica deve dare delle regole.

Intanto permettetemi di ringraziare per l’invito. Essere all’Università Cattolica è trovarsi in uno dei luoghi più significativi di questo Paese. E lo è a maggior ragione pensando al ruolo che l’università, l’educazione e la scuola possono avere per affrontare questi temi. Uno dice, sì, sono utili per approfondire gli argomenti. Certo, ma in realtà, per le cose che abbiamo ascoltato dal primo doppio panel e che tenterò umilmente di dire, credo che l’educazione, la scuola e l’università siano cruciali per affrontare il vero tema, che è quello di come costruire una nuova identità, mantenendo i nostri valori e aprendoli al dialogo. Perché penso che il tema dell’immigrazione poi arrivi lì. Il mio saluto è carico di riconoscenza e di stima per il Magnifico Rettore e il Cardinal Scola, che a Venezia ha avuto l’intuizione di capire che questi temi andavano affrontati con Oasis in modo diverso dalla paura. È una grande intuizione quella che ha avuto Scola. Chi ha imparato a conoscerlo quando era vescovo a Grosseto, ne vede lo sguardo, direi profetico, nel senso letterale di quello che dice prima degli altri le cose che poi arrivano tutti a discutere. E naturalmente un ringraziamento va agli ospiti e a tutti per l’invito.

 

Io sono stato molto colpito quando, nell’intervento precedente, monsignor Martinelli ha spiegato la differenza tra pellegrino e vagabondo. È un tema sul quale la politica italiana non discute minimamente. Tu, Alessandro, mi chiedi di entrare nel merito della politica italiana. Io faccio fatica, perché il verbo del decreto di ieri [il decreto del 27 settembre in materia di immigrazione e protezione internazionale, NdR] non è “respingere”, non è “affrontare in via emergenziale”, il verbo di ieri è “apparire”. Sul tema dell’immigrazione questo governo – e mi scuso, ma intanto c’è Maurizio [Lupi], che dopo farà la controparte – ha un unico obiettivo: apparire. Apparire capace di respingere. È il governo che ha parlato di blocco navale e naturalmente, logicamente, fisiologicamente i migranti sono raddoppiati. Se poi volessimo essere seri tra di noi, diremmo che le parole della campagna elettorale di Meloni e Salvini sono parole che non appartengono al linguaggio della dignità della politica. Giorgia Meloni nel 2014 diceva «sì, li lasci affogare» in un dibattito a Ballarò contro l’onorevole Gozi. Questi temi oggi sono stati rimossi e fortunatamente Giorgia Meloni ha cambiato vocabolario, non solo su questo, ma su tante altre questioni. Io però non voglio cadere nel chiacchiericcio del dibattito da una parte e dall’altra. Voglio dire perché l’apparenza è nemica della realtà. Veniva ricordato prima come la realtà sia un altro nome della verità. Mi è piaciuta molto come frase, me la tengo anche per il futuro. Ed è così! La realtà ci dice dei numeri, che nessuno ha il coraggio di affrontare. L’unico blocco navale in questo Paese l’ha fatto la sinistra con il ministro Napolitano e il presidente Prodi. Lo ha fatto con gli albanesi nel 1997. È stato l’unico blocco navale fatto in questo Paese. Ne vogliamo parlare o no? Vogliamo raccontare la verità dei fatti? In questi venticinque anni ci rendiamo conto, ad esempio, che l’immigrazione albanese è totalmente cambiata. Tant’è che l’unica campagna turistica riuscita a questo governo è quella per il turismo albanese, non per il turismo italiano, perché venticinque anni dopo quelle navi cariche di migranti abbiamo oggi una situazione profondamente diversa.

 

Nella liturgia cattolica, mi pare che sia il giorno dell’Epifania quando si annuncia il calendario dell’anno. C’è un’espressione che mi ha sempre colpito fin da piccolo: la signoria del tempo. È il Signore del tempo, più correttamente, il Signore che domina e detta i tempi, che è un’espressione molto bella. Guardiamo i tempi e proviamo a ragionare sull’immigrazione guardando la vicenda negli ultimi venticinque, cinquanta, cento e centocinquant’anni – e poi vengo all’attualità, non vorrei prendere lo spunto per fare voli pindarici, che magari non sono utili all’attualità. Puntiamo il compasso a venticique anni fa. Venticinque anni fa gli albanesi venivano in Italia e c’era un blocco navale. Berlusconi piangeva sulla banchina di Brindisi, la sinistra bloccava le navi d’accordo con un regime, quello albanese, che non era il massimo della democrazia. In questi venticinque anni si è poi creata una condizione: l’Albania si è sviluppata. Molti migranti che sono arrivati hanno trovato qui il loro lavoro. Io sono uno di quelli che dice che l’Albania deve entrare in Europa il prima possibile. È un tema affascinante, in venticinque anni è cambiato tutto.

 

Facciamo un passo indietro. Il compasso è puntato ora a cinquant’anni. Io ho quasi cinquant’anni. Cinquant’anni fa in Italia nascevano un milione e centomila bambini. Oggi ne nascono trecentottantamila. Io apprezzo chi immagina che per fare i bambini bastino le campagne pubblicitarie. È affascinante. Ci sono delle campagne pubblicitarie anche molto simpatiche. Ce n’era una in Danimarca del governo danese, meravigliosa. Ma i bambini non nascono. Ed è un fatto educativo, è un fatto culturale, è un fatto spirituale, è un fatto anche economico. In ogni caso, è un dato di fatto. Quando siamo nati noi – io sono nato un po’ dopo Salvini, un po’ prima della Meloni – negli anni Settanta, nascevano un milione di bambini. Oggi ne nascono quattrocentomila. Questo vuol dire, numeri alla mano, che il tema dell’immigrazione non può non porsi, anche in una prospettiva di sviluppo strategico. Non vorrei che adesso qualche ministro parlasse di «sostituzione etnica», ma il tema cruciale esiste. Cioè, noi eravamo un milione e centomila bambini e oggi siamo quattrocentomila. Non è un declino, è un collasso demografico.

 

Vado avanti rapidissimo, Alessandro. Cento anni fa noi avevamo un mondo. Prima si parlava di Grecia e Turchia, dell’isola di Lesbo. Vi ricordate che cento anni fa la Grecia e la Turchia avevano la stessa popolazione? Voi sapete che tra la Grecia e la Turchia non c’è mai stato questo grande amore, per ragioni storiche importanti, direi sacrosante – se ci sono due Paesi che se le danno di santa ragione da secoli sono la Grecia e la Turchia. Eppure, se volessimo parlare di politica, Grecia e Turchia poco più di un secolo fa avevano la stessa popolazione. Oggi la Turchia è otto volte la Grecia, forse nove. Voi capite che il tema demografico porta alla scomparsa, non di una civiltà, perché la civiltà greca non scomparirà mai, grazie a Dio. Noi siamo tutti debitori della civiltà greca. Io ho discusso durante il Consiglio europeo, quando la Merkel continuava a dire «qui c’è il debito greco». Io dissi che c’è anche un debito europeo verso la Grecia. Lo dissi espressamente perché, se tu sei quello che oggi sei è grazie a questo Paese, quindi cerca di rispettarlo di più. Fu uno scontro abbastanza evidente, dove Francia e Italia furono dalla parte della Grecia, Germania e Olanda dalla parte…della Germania e dell’Olanda. In questo scenario in cento anni è cambiato tutto.

 

E infine, e lo dico perché Oasis è partita a Venezia, allargando il compasso a centocinquant’anni fa, i migranti erano i veneti. La storia dell’immigrazione è una storia di andate e di ritorni, è una storia dove serve uno sguardo profondo. Questo sguardo la politica italiana non ce l’ha, e non ce l’ha perché si ha paura di parlare di questi argomenti. Non ce l’ha perché vince chi gioca sul sentimento della preoccupazione, non ce l’ha perché manca l’unico elemento vero, che è quello – e vado rapidamente a chiudere – del dato educativo e culturale.

 

Mi sarei soffermato a lungo sui numeri, ma non vi disturbo su questo. Mi interesserebbe che ci fosse un’analisi dei lavoratori e dei numeri mancanti oggi all’economia europea. Un Capo di Stato di un Paese arabo mi ha detto, con una certa brutalità e con un tono che io non condivido, ma il concetto è comprensibile, «guarda che è inutile che continuate preoccuparvi dei migranti, tra dieci anni li ricercherete più di quanto cercate le materie prime in Africa». Perché? Perché il tema dell’immigrazione da qui ai prossimi dieci, venti, venticinque anni cambierà totalmente verso, e i numeri lo dimostrano. Lo dimostrano i numeri della sostenibilità previdenziale. Lo dimostrano i numeri dei lavori che mancano. Lo dimostra anche quell’immigrazione che chiamano di qualità, che non viene considerata. A Milano – c’è qui l’Assessore al lavoro Alessia Cappello, che saluto – è totalmente cambiata la popolazione cittadina nel centro storico da quando noi abbiamo fatto una legge, dopo la Brexit, che porta ad attivare e attirare migrazione di altissimo censo. Anche quella è immigrazione, perlopiù extracomunitaria. C’è gente che viene dai Paesi più disparati e paga una flat tax di centomila euro. Dici: «Ma lo Stato ci perde?» No, lo Stato ci guadagna perché quei soldi li pagano qui e non li pagano in Inghilterra, li pagano qui e non li pagano in Pakistan o negli Stati Uniti. Vengono qui, comprano case, sono americani, sono arabi, sono africani, sono indiani e stanno cambiando e rivoluzionando, persino troppo, e lo dico io che ho fatto quella legge, il mercato immobiliare di Milano e l’aspetto economico del centro di Milano. È un’immigrazione anche quella, ma non ne parla nessuno. Le università come la Cattolica, come la Bocconi, come il Politecnico attraggono sempre più migrazione di cervelli. Ma questo tema non lo pone nessuno. Non vi dico i numeri e vado alla conclusione.

 

Qual è la mia tesi? In quel discorso io ho soltanto ricordato alla presidente del Consiglio e alla maggioranza che la storia italiana, visto che parlano di identità, di tradizione e di storia, è una storia che non cambiano loro. Se noi da duemila anni in mare accogliamo tutti e salviamo tutti, io sono orgoglioso di questa tradizione italiana. Questa tradizione risale a Virgilio ma, volendo fare un po’ il provocatore e anche il cittadino serio, ha avuto nella cultura bellica fascista con l’ammiraglio Todaro la sua espressione più alta. L’ammiraglio Todaro non era un pacifista delle ONG, era l’ammiraglio comandante della regia marina fascista del duce e del Re. Nel 1940 Todaro affonda un piroscafo belga perché quelli stavano andando a portare le armi, e poi li salva tutti, tutti. E quando il belga gli dice «ma io non avrei fatto come lei», e quando il nazista gli dice «ma tu come ti permetti di fare queste cose?», lui risponde: «Sa, io sono italiano, ho duemila anni di civiltà alle spalle. Io le persone in mare le salvo». Cioè, le bombarda perché deve affondare quella nave piena di armamenti contro l’Italia, ma poi va a salvarle una per una. Io ho citato questo dopo il dibattito di Cutro. Ma l’elemento chiave, e poi davvero finisco, è che il problema è culturale. Noi siamo cresciuti con l’idea che la parola identità sia una parola di destra, brutta e cattiva. Io ritengo la parola identità la più bella che noi possiamo avere. Io sono orgoglioso, lo dico con un’espressione che appartiene alla cultura di Alessandro e alla cultura del Cardinal Scola. Da giovane ho incontrato un sacerdote che diceva: «La comunità è il luogo dove dire io con verità». Era don Giussani. Dire io con verità significa affermare un’identità. Dire io con verità. L’identità di un popolo è bella, non è di destra e nemmeno di sinistra, è di tutti. Il punto è come l’identità si apre al dialogo con gli altri senza cancellare se stessa, senza mascherare se stessa, senza cancellare la propria cultura. Per far questo serve cultura, educazione e scuola. Quando, nel 2018, la prima cosa che ha fatto Salvini è stata chiudere le scuole per stranieri, gli hanno detto: «Guarda, proprio non hai capito niente». Perché la prima cosa da fare è insegnare la lingua, è integrare dentro una realtà comunitaria che sia un luogo dove tu puoi dire io con verità.

 

Tutto questo dibattito chiama all’attenzione essenzialmente gli agenti educatori, i soggetti educativi. È l’università, è la scuola, è il luogo della cultura quello in cui si salva il futuro del Paese. Ecco perché, anche dopo gli attentati del Bataclan e gli attentati dell’estremismo islamico noi – lo sa Paolo [Alli] perché stava in quella maggioranza, come pure Maurizio [Lupi] – quando eravamo al governo decidemmo di destinare un euro alla cultura e un euro alla sicurezza.

 

Insomma, per farla breve, Avvenire oggi apre sull’immigrazione. Dici, tutti gli altri aprono sulla Nadef. No! Tutti gli altri aprono sulla pesca dell’Esselunga [spot pubblicitario lanciato da Esselunga, che ha come protagonisti una bambina e due genitori separati]. E questo la dice lunga su come si vive di armi di distrazione di massa. Oggi YouTrend dice che il 43% [dei quotidiani] parla di Esselunga e il 39% della Nadef. La Nadef è dove mettono i vostri soldi. Ne parla il 39% contro il 43% dell’Esselunga. Bene Avvenire, che apre sull’immigrazione. Però per fare un discorso di verità sull’immigrazione bisognerebbe avere il coraggio di essere un po’ meno superficiali e un po’ più attenti ai problemi e alle soluzioni. Per me il problema è grande, ma è anche una grande opportunità. La soluzione: l’educazione e la cultura. Il modo con il quale la politica italiana, sia di destra che nella visione irenista di una certa sinistra, sta andando in questa direzione è profondamente superficiale e deficitaria.

 

 

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