Edward W. Said, Humanism and democratic criticism, Il Saggiatore, Milan, 2007

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:24

Il primo libro postumo di Edward Said si propone quale sorta di testamento spirituale. Said assume il compito di rilanciare la figura dell’intellettuale umanista, identificando il campo, il fine e il medesimo ruolo che questi deve svolgere nell’epoca attuale. Per Said, “nel cuore dell’umanesimo si trova la convinzione, laica, che il mondo storico è fatto dagli uomini e dalle donne, e non da Dio, e che può essere compreso razionalmente secondo i principi formulati da Vico”. L’umanista è chiamato ad utilizzare la filologia, quale strumento rigoroso con cui contribuire all’unico sapere disponibile: “sapere equivale a sapere come una cosa è fatta”. Said propone un intellettuale che si opponga all’unica superpotenza economica, politica, mediatica e militare rimasta. “Il ruolo dell’intellettuale è un ruolo dialettico, oppositivo, capace di mettere a nudo” il potere economico imperante, “di sfidare e sconfiggere […] il silenzio imposto e la calma normalizzata di un potere invisibile”. Si tratta di “presentare narrazioni alternative e prospettive diverse sulla storia rispetto a quelle offerte da chi si schiera a fianco della memoria ufficiale”. Scorrendo le pagine del libro, tuttavia, si ha l’impressione che Said riconosca il carattere tragico, e pertanto sterile, dell’azione intellettuale. Egli oppone, ma non riesce a proporre nulla. Sulla causa che gli sta maggiormente a cuore, quella palestinese, ammette ad esempio che “Per quanto abbia cercato uno sbocco a questa impasse, non sono stato in grado di trovarne”. Pare che la filologia non giovi, da sola, al perdono e alla riconciliazione.