Elia de Nisibi, Il libro per scacciare la preoccupazione, edizione a cura di Samir Khalil Samir, traduzione e note a cura di Anna Pagnini, Zamorani, Torino 2007.
 

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:52

La serie Patrimonio Culturale Arabo Cristiano, giunta alla sua nona uscita, presenta al pubblico italiano la prima parte di un'importante opera del Vescovo nestoriano Elia di Nisibi (975-1046). Personaggio praticamente sconosciuto in Occidente, questo dotto Vescovo vissuto nell'Alta Mesopotamia e autore di una ventina di opere di teologia, ma anche di filosofia, grammatica e calligrafia, di un dizionario arabo-siriaco e persino di un trattato sui pesi e sulle misure, è, per riprendere le parole di Caspar, Charfi e Samir nella Biblioghraphie du dialogue islamo-chrétien («Islamochristiana» 3, 1977, 255-286), «l'autore più importante per quel che concerne le relazioni con l'Islam, sia per la qualità della sua opera (che ispirò molti altri autori cristiani), che per la sua quantità». Pur essendo profondamente radicato nella propria tradizione culturale, Elia si rende conto che il vocabolario teologico cristiano non risulta comprensibile ai musulmani. Di qui la scelta di innovare coraggiosamente. Osserva ancora Samir al riguardo: «In realtà, si tratta di una vera rivoluzione mentale: [...] egli rompe definitivamente con la mentalità da ghetto, del ghetto cristiano di lingua siriaca, per adottare decisamente il vocabolario dell'altro; e poco importa se questo vocabolario è contrario alle "regole della logica" alle quali è pur così legato o contrario alle tradizioni dei traduttori siriaci dei testi filosofici greci» (Un traité nouveau d'Élie de Nisibe sur le sens des mots et , «Parole de l'Orient» 14, 1987, pp. 129-130). Nel dialogo con i musulmani il Vescovo trova un'importante sponda in Abû l-Qâsim al-Maghribî, alto funzionario del piccolo stato marwanide che controllava allora l'Alta Mesopotamia. L'origine dell'interesse verso i cristiani nel dignitario musulmano, avventurosamente scampato a un'epurazione in seno all'amministrazione dell'Egitto fatimide, risale, come egli stesso confessa, al suo incontro con i monaci di Mâr Mârâ. Se in passato il vizir aveva ritenuto i cristiani miscredenti e politeisti a causa della loro fede nella Trinità, l'attenzione con cui era stato curato dai monaci in occasione della sua malattia e la successiva guarigione, che egli ritiene miracolosa, lo spingono a riesaminare la questione. È questo l'antefatto delle famose sette sessioni [séances] che, dopo la morte del vizir, Elia mette per iscritto a beneficio del fratello e successivamente del segretario patriarcale. Nella quinta di esse si trova una professione di fede monoteistica trinitaria che riscuote la completa approvazione dell'interlocutore musulmano: «credo fermamente - esclama il vizir - che chiunque professa questa opinione e questa dottrina è monoteista e che non c'è differenza tra lui e i musulmani se non per la profezia di Muhammad figlio di 'Abdallah». Il fatto che le sessioni riferiscano dialoghi realmente accaduti e non soltanto immaginati conduce l'autore fuori dalle secche della polemistica e conferisce al testo, pur nella rigorosità del suo argomentare filosofico, un referente concreto. Sempre su richiesta del vizir, oberato da mille impegni, Elia compone anche il Libro per scacciare la preoccupazione, una raccolta di massime il cui fine è ben riassunto nella prefazione dell'autore: «Dato che le tue afflizioni [...] sono numerose, ma le grazie di Dio l'Altissimo nei tuoi confronti sono più numerose è necessario che le tue preoccupazioni siano molte, ma le tue gioie siano maggiori e se le gioie sono maggiori della preoccupazione è necessario che la gratitudine superi il malcontento». L'andamento sillogistico del periodare costituisce solo la struttura portante nella quale Elia inserisce massime attinte alla tradizione araba, greca, persiana e alle Scritture cristiane. L'opera si colloca dunque nel filone della letteratura sapienziale, particolarmente ricco nella letteratura araba e in quelle mediorientali in genere, ma si distingue rispetto alle contemporanee opere musulmane per l'assenza di citazioni coraniche, in parte sostituite da riferimenti all'Antico e Nuovo Testamento. Come osserva Davide Righi nella prefazione, si tratta di una scelta prudenziale da parte dell'autore in quanto sarebbe suonato strano che un cristiano rammentasse a un musulmano i contenuti del suo libro sacro, sollevando così la questione dello statuto del Corano. Nonostante questa limitazione, l'opera del Vescovo di Nisibi rimane uno dei più alti esempi di dialogo teologico effettivo tra credenti musulmani e cristiani nel Medio Evo. L'eccezionale livello culturale dei due personaggi, la condizione di libertà nella quale cresce la loro amicizia e non ultimo il reale interesse a comprendere le posizioni dell'altro rappresentano sicuramente un caso raro nella storia spesso tesa delle relazioni islamo-cristiane. Un motivo in più per apprezzare la coraggiosa scelta editoriale. Il volume, di cui si attende ora la seconda parte, è corredato di un'ampia introduzione e accanto al testo arabo offre la traduzione italiana e le note, dovute entrambe alla mano di Anna Pagnini. Alla giovane studiosa, prematuramente scomparsa prima di portare a termine la sua fatica, è dedicata l'opera.