Il ruolo della Turchia nell’attuale crisi del Medio Oriente potrebbe riavvicinare il Paese ai valori democratici e liberali

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:28

Se nel 2002 la Turchia sembrava introdurre, per la prima volta nella sua storia e in quella della regione, una sperata sintesi islamo-democratica, oggi quest’idea si è persa. Negli ultimi tredici anni, il partito Giustizia e Sviluppo (Akp) è sempre rimasto al potere, nonostante aver perso alle elezioni di giugno la maggioranza assoluta, riguadagnata a novembre. La sua linea politica, però, non è sempre stata costante. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan è, secondo molti, la causa principale della deriva autoritaria del governo. Membro fondatore dell’Akp, Erdoğan si era fin dall’inizio distinto per le sue capacità di leader con l’obiettivo di includere l’Islam nella linea politica del partito nascente. Ha preso forma allora un movimento d’ispirazione islamista, il cui manifesto è intitolato Muhafazakar Demokrasi [democrazia conservatrice] 1. Nel corso degli anni, e in modo particolare dopo il 2011, all’interno dell’Akp si sono delineate due correnti: una più fedele allo slancio liberale e democratico iniziale, il cui esponente più rappresentativo è l’ex presidente Abdullah Gül, e una che ha virato verso l’autoritarismo, seguendo la leadership di Erdoğan. Osteggiato dall’attuale presidente, Gül, difensore di valori liberali come la libertà di stampa e d’espressione, non ha potuto ripresentarsi sulla scena politica nel 2015. Erdoğan ha infatti allontanato le diverse forme d’opposizione politica, a partire dai suoi vecchi alleati. Negli anni, il suo autoritarismo ha ostacolato chiunque confrontasse la sua leadership, e ha portato Ankara verso una democrazia illiberale, secondo una deriva difficilmente reversibile per la mancanza di un’alternativa, sia all’interno dell’Akp sia in altri schieramenti. Una svolta politica potrebbe attuarsi se emergesse qualcuno nel partito in grado di fronteggiare il presidente. Altri auspicano invece la formazione di una coalizione di forze di opposizione, anche se questo tentativo è già risultato fallimentare al voto di novembre. La variabile regionale Con Gül fuori dai giochi, molti guardano al primo ministro Ahmet Davutoğlu come possibile rivale di Erdoğan. Se esiste un contraltare all’interno dell’Akp, però, è ancora timido e silenzioso, e non manca chi ammette che, al seguito di Erdoğan, la vittoria è stata finora sempre assicurata. Quello della democrazia autoritaria e illiberale è un dilemma che si complica se inserito nello scenario regionale. Il rapporto con l’occidente è uno degli aspetti più fluttuanti della politica turca. Nella prima fase del governo dell’Akp, la Turchia voleva entrare con forza nell’Unione Europea. Nonostante il dossier turco fosse uno dei più lenti a procedere, il Paese era interessato a tutti gli aspetti del processo di integrazione. Tra il 2010 e il 2012 il governo turco si è allontanato dalle richieste europee soprattutto in materia di diritti umani con la censura della stampa, l’introduzione di leggi restrittive sulla vendita di alcolici, l’eclatante repressione armata delle manifestazioni di Gezi Park nel maggio 2013. Allo stesso tempo, è mancato l’impegno nella risoluzione di conflitti interni come richiesto dall’Ue: è per esempio crollato il processo di pacificazione con i curdi. Tuttavia, a causa dell’aggravarsi della guerra in Iraq e Siria, dell’avanzamento dello Stato islamico e del sempre più importante ruolo della Turchia nella crisi dei profughi (quasi due milioni nel Paese), le relazioni con l’Europa sono recentemente migliorate. Oggi, Ankara è un alleato europeo imprescindibile su due fronti: l’immigrazione e la guerra in Siria e Iraq. Senza dubbio si ha a che fare con un governo autoritario, ma non tutto ciò che il presidente fa è per forza sbagliato. A volte, ciò che è trasmesso dai media risulta offuscato: governo e opposizione hanno entrambi la loro propaganda, ma il quadro non è mai o bianco o nero. Ad esempio, sul piano della politica internazionale turca, alcune prese di posizione interne non sono criticabili. Inizialmente, la Turchia aveva cercato per esempio di mediare tra il presidente siriano Bashar al-Assad e i ribelli. Una volta falliti i negoziati, però, Ankara ha fatto l’errore di sostenere indistintamente l’opposizione. Nonostante ciò, sarebbe ingiusto accusare Erdoğan di finanziare Isis o, come sostiene la Russia, di comprare il suo petrolio. Il contrasto con Mosca A complicare la situazione, i rapporti tra Ankara e Mosca si sono incrinati. L’abbattimento dell’aereo russo da parte dei militari turchi a fine novembre ha suscitato un dibattito in Turchia e all’estero sulle possibili motivazioni di un tale gesto. Una risposta chiara non è ancora arrivata, ma la diplomazia di Ankara si è subito adoperata per cercare di contenere il crescere della tensione tra i due Paesi. Ora tutto dipende dalla strategia che Mosca deciderà di adottare. Il taglio delle forniture di gas dalla Russia alla Turchia, minacciato dal presidente russo Vladimir Putin, è un rischio reale. Per questo, il governo turco lavora in queste settimane a nuove relazioni economico-energetiche con Paesi come il Qatar. Il ruolo della Turchia nell’attuale crisi in Medio Oriente potrebbe aiutare il Paese a riappropriarsi dei valori democratici e liberali. Sarebbe un vantaggio sia per Ankara sia per Bruxelles, perché da un lato il Paese potrebbe riavvicinarsi all’Europa, anche grazie all’aiuto economico, dall’altra l’Islam turco moderato potrebbe favorire un rapporto fra mondo occidentale e il ramo non fondamentalista dell’Islam. Testo raccolto da Francesca Miglio 1Emad Y. Kaddorah, The Turkish model: acceptability and apprehension, «Insight Turkey» vol. 12iv (2010), 113-129