Rassegna stampa ragionata sul Medio Oriente e sul mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:03:47

Oggi è cominciato lo storico viaggio di Papa Francesco in Iraq. Abbiamo realizzato uno speciale per capire meglio il contesto sociopolitico, ecclesiale e interreligioso in cui avviene la visita, mentre sabato 6 e domenica 7 marzo alle 21, Oasis copromuove si terranno due incontri online con diversi ospiti per seguire e commentare la visita del pontefice. Tutte le info qui.

 

Il viaggio avviene in un momento complicato: i casi di Covid-19 sono in aumento in tutto l’Iraq, e mercoledì sono stati lanciati alcuni razzi contro la base aerea americana di Al-Asad che ospita la coalizione anti-ISIS ancora presente nel Paese. Come fa notare Riccardo Cristiano, la visita di Francesco non è solo storica, ma anche rivoluzionaria: il suo messaggio, «Siete tutti fratelli», sfida le visioni «imperialiste» che si scontrano in questa regione: da una parte quelle islamiste, nelle sue «varianti» sunnita (l’ISIS) e sciita (le milizie filo-iraniane), dall’altra le potenze esterne, Russia, Turchia e Cina. Questo viaggio non guarda quindi solo alla comunità cristiana, decimata anche a causa di ISIS, di cui scrive Lorenzo Cremonesi. Secondo i dati raccolti da L’orient-Le Jour, nel 2003 c’erano un milione e mezzo di cristiani in Iraq, mentre ora non sono più di 400.000. La ricostruzione di chiese e conventi è stata accelerata, e c’è grande attesa anche da parte dei musulmani sunniti per la visita di Francesco a Mosul. Lo storico Omar Muhammad, conosciuto per il suo blog Mosul Eye, racconta in un video la speranza di ricostruzione che porta con sé l’arrivo del Papa.

 

Orient XXI sottolinea che quello del pontefice è anche un pellegrinaggio politico, soprattutto tenendo conto dell’incontro con il Grande Ayatollah ‘Ali al-Sistani a Najaf, «un contatto senza precedenti a questo livello tra cattolici e sciiti» e che può essere letto in chiave anti-iraniana e anti-settaria: «La Chiesa caldea si è schierata con i manifestanti [scesi in piazza a ottobre 2019, ndr]. Il patriarca Louis-Raphaël Sako ha visitato pubblicamente i giovani riuniti in Piazza della Liberazione a Baghdad. Una posizione implicitamente avallata da Papa Francesco, quando di recente ha nominato il patriarca cardinale della Chiesa romana».

 

Foreign Policy insiste invece sulla missione pacificatrice del Papa: «Che il chierico sciita Sayyid ‘Ali Al-Husayni Al-Sistani firmi o meno il documento sulla “Fratellanza Umana”, come è stato ipotizzato, resta da vedere, ma il fatto che lui e Francesco abbiano in programma un incontro è visto come un significativo e importante progresso sia per le relazioni tra sciiti e sunniti che per quelle tra musulmani e cristiani del Paese».

 

Di altro tenore è invece l’opinione del Washington Institute, secondo cui l’Occidente deve rassegnarsi a un certo fallimento sul lungo termine quando si tratta di dialogo con le autorità religiose musulmane: «I maggiori leader musulmani non si assumono sufficiente responsabilità per ciò che accade nelle loro comunità, quindi difficilmente ci si può aspettare che tengano in gran conto le iniziative interreligiose e il rischio politico che richiedono».

 

Non manca chi non vede di buon occhio l’arrivo di Papa Francesco in Iraq. Uno dei leader di Kataeb Hezbollah ha infatti messo in guardia suoi seguaci su Telegram da “quello che si sta tramando a Ur con il pretesto del dialogo interreligioso”.

 

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Il rapporto Khashoggi e le rilazioni tra Riyad e Washington

 

Come promesso, l’amministrazione Biden ha desecretato il rapporto della CIA sull’uccisione di Jamal Khashoggi. Secondo quanto riportato nel dossier, l’omicidio del giornalista del Washington Post è stato approvato dal principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salman (MbS), contro il quale però non sono state imposte sanzioni, a differenza di altre personalità minori che fanno parte del suo entourage.

 

Una rottura solo a metà? Secondo Middle East Eye, i consiglieri di Biden (in primis Brett McGurk), legati per diverse ragioni all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, hanno fortemente influenzato il presidente nelle sue decisioni. Biden vorrebbe «separare la relazione degli Stati Uniti con il Regno da quella con il principe ereditario», scrive Richard Haass, ma è una operazione insostenibile, perché gli Stati Uniti non sono nella posizione di impedire l’ascesa al trono di MbS, con il quale, al contrario, avranno sicuramente a che fare dopo la morte del padre, re Salman. Per questo Biden potrebbe pentirsi di aver desecretato il report, commenta Karen Elliott House.

 

Inoltre, come ribadito da più parti, il report non rivela niente di nuovo, nessuna «smoking gun». Quindi è più probabile che il rapporto vada letto avendo in mente più in generale la repressione del dissenso in atto in Arabia Saudita, dice Kristen Ulrichsen. «Le iniziative del Dipartimento di Stato hanno messo in guardia i sauditi, e altri, sul fatto che se continuano con questo comportamento, ci saranno delle conseguenze». A seguito della pubblicazione del rapporto, in Germania, davanti a un pubblico ministero tedesco, l’ONG Reporters without borders ha accusato MbS e altri funzionari di crimini contro l’umanità per la repressione «diffusa e sistematica» dei giornalisti.

 

L’Arabia Saudita ha negato qualunque tipo di coinvolgimento del principe ereditario nell’assassinio, e le altre potenze del Golfo, spiega Axios, hanno fatto fronte comune a sostegno del governo saudita per tutelare l’integrità regionale, mentre su Twitter dei falsi account sauditi hanno dato avvio a una campagna in difesa del principe ereditario.

 

Controllo delle nascite in Egitto?

 

Per il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il controllo delle nascite è una «questione di sicurezza nazionale». In un discorso inaugurale di metà febbraio, al-Sisi ha detto che i disordini politici del Paese sono collegati al tasso di crescita della popolazione, e che le risorse economiche dell’Egitto non possono soddisfare una crescita così elevata. Il giorno successivo la Dar al-Ifta, una delle più importanti istituzioni religiose del Paese, ha lanciato un hashtag a favore del controllo delle nascite. «Nessun testo religioso proibisce il controllo delle nascite se questo si dimostra necessario al fine di un miglioramento» della situazione generale, si legge in un post su Facebook pubblicato sulla pagina della Dar al-Ifta. Tuttavia, evidenzia Al Monitor, la maggior parte degli egiziani crede che l’Islam proibisca i metodi contraccettivi.

 

 

Pochi giorni dopo il presidente egiziano ha sollevato un altro vespaio dicendo che i versetti del Corano e degli hadith dovrebbero essere rimossi dai libri di testo scolastici perché potrebbero portare a una radicalizzazione dei giovani. La moschea-università di al-Azhar si è opposta alla proposta e sta lottando contro le direttive del governo per cambiare lo status dell’Islam nel Paese, scrive Haaretz. Riguardo alla postura di al-Sisi il quotidiano israeliano spiega che egli: «Sta cercando di distinguere tra la religione e la fede in generale e i movimenti dell’Islam politico. Ma è riuscito, in misura molto maggiore rispetto ai suoi predecessori, a dipingere la religione come terrore, al punto che i libri di geografia e di lingua [araba] sono sospettati di contenere messaggi segreti a sostegno dei Fratelli Musulmani, definiti come un gruppo terroristico».

 

Libano: Hezbollah si oppone all'iniziativa del Patriarca Rai

 

La crisi del Libano è sempre più profonda. La lira libanese ha raggiunto un altro minimo storico: martedì un dollaro veniva scambiato con 10.000 lire libanesi sul mercato nero. Questo vuol dire che uno stipendio minimo di 675.000 lire oggi vale solo 67 dollari. Come conseguenza della crisi finanziaria, si verificano continui tagli all’elettricità, racconta The National, e il Paese dei cedri si avvia verso un «blackout totale». Lo stesso giorno i libanesi sono scesi nuovamente in piazza, insofferenti anche per i continui lockdown imposti per fronteggiare la pandemia.

 

Sabato scorso, durante un discorso a Bkerké, il patriarca maronita Beshara Rai ha lanciato un appello a favore di una conferenza internazionale patrocinata dalle Nazioni Unite per risolvere le diverse crisi del Paese. La proposta è stata respinta da Hezbollah, che dice di temere «interferenze straniere» o addirittura «un’occupazione», riporta La Croix. Gli altri gruppi politici e sociali del Libano invece appoggiano il cardinale Rai, ma la presenza sabato scorso di slogan contro Hezbollah, considerato un gruppo terrorista manovrato dall’Iran, rischia di aumentare ancor più le divisioni del Paese, commenta L’Orient-Le Jour. Da Bkerké si rifiuta la polarizzazione, e il portavoce del patriarca ha detto che, in questo momento «la sofferenza dei libanesi, compresi gli sciiti, è la stessa». Ma vista la storia recente del Libano, e considerato appunto gli slogan anti-Hezbollah scanditi dai simpatizzanti delle Forze libanesi, non sarà semplice evitare un’escalation, conclude il quotidiano libanese.

 

In breve

 

Secondo un’indagine delle Nazioni Unite, il Primo ministro della Libia Abdul Hamid Dbeibah, è stato eletto grazie a delle mazzette (Guardian).

 

Le 279 studentesse nigeriane rapite venerdì scorso sono state liberate (Ansa), ma l’allerta nel Sahel resta alta, perché i rapimenti e la richiesta di riscatto sono la fonte di reddito primaria per gruppi terroristici e criminali. A Maiduguri sono aumentati gli attacchi di Boko Haram (HumAngle).

 

La Turchia non è più un posto sicuro per gli uiguri a causa della dipendenza economica di Ankara da Pechino (Foreign Policy). Un'inchiesta lunga e interattiva del New Yorker racconta la vita nei campi di rieducazione dello Xinjiang.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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