Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 10:49:00

I giornalisti arabi non hanno nascosto il loro compiacimento nel vedere lo Stato ebraico sull’orlo dell’implosione a causa della contestatissima (tanto in patria quanto all’estero) riforma della giustizia. Se approvato, infatti, il disegno di legge proposto su questo tema dalla destra populista di Benjamin “Bibi” Netanyahu causerebbe un grave squilibrio nella ripartizione dei poteri, facendo venir meno la linea di demarcazione tra l’esecutivo e il giudiziario. L’ “unica democrazia del Medio Oriente”, come spesso è definito Israele dai suoi estimatori, rischia dunque di scivolare verso un regime semi-autoritario, e questo pericolo non è ovviamente passato inosservato alla stampa arabofona.   

 

Ad esempio, il giornalista giordano-palestinese Ziyad Barakat passa in rassegna su al-‘Arabi al-Jadid le variegate risposte e letture provenienti dal mondo arabo. Alcune sono piuttosto esagerate: «le risposte dell’élite araba sono oscillate tra la Schadenfreude, (o Dio, accresci la loro disperazione) e le grandi profezie apocalittiche (la distruzione di Israele dall’interno), a cui si aggiungono paragoni arbitrari tra ciò che accade nella “nostra regione araba” e in Israele […]». Non mancano tuttavia analisi più equilibrate: «c’è chi ha sintetizzato le proteste di Tel Aviv soltanto con due parole: “primavera israeliana”, e chi ha instaurato un paragone tra la reazione dei governanti arabi contro le rivoluzioni che scoppiano nei loro Paesi – governanti che perseguitano i propri popoli usando barili esplosivi e uccidendo con ogni mezzo a disposizione – e la risposta del governo Netanyahu alle manifestazioni di Tel Aviv, Haifa e altre città».

 

«Netanyahu è nei guai» titola al-Quds al-‘Arabi: il primo ministro, infatti, «da un lato non può raggiungere un’intesa con l’opposizione perché un accordo simile porterebbe automaticamente alla caduta del suo governo per mano di Ben-Gvir e Smotrich e gli sarebbe molto difficile convincere Gantz e Lapid a entrare nel governo al loro posto. Dall’altro, la mancanza di un accordo significa riproporre i disegni di legge che hanno innescato l’ira degli israeliani, e quindi il ritorno alle manifestazioni, alle proteste e agli scioperi». Anche la strada del voto non sembra percorribile, visto che «la sua popolarità è al minimo» storico. Che fare, dunque? «Netanyahu potrebbe ricorrere a un nuovo trucco per uscire dai guai, ma non è detto che ci riesca. È vero che è una vecchia volpe della politica, anche se, come è stato detto, la volpe è caduta in trappola», stavolta.

 

Per quanto compiaciuti delle di difficoltà israeliane, i commentatori arabi sono tuttavia consapevoli che tutto ciò non gioverà alla causa palestinese. È una posizione che era stata già espressa settimane fa, durante le prime proteste di massa a Tel Aviv che contestavano la destra di Netanyahu, ma non le occupazioni, gli insediamenti illegali e le aggressioni contro i palestinesi che risiedono nello Stato ebraico. Quest’ultimi «percepiscono che queste proteste non cambieranno di una virgola la loro situazione. Ciò che interessa loro è la fine dell’occupazione, la cancellazione del diritto nazionale ebraico e la discriminazione contro i cittadini arabi […]. Ma tutte queste richieste non si applicano alle manifestazioni ebraiche che mirano a proteggere Israele…da Netanyahu», la chiosa finale di Elyas Harfush, giornalista libanese di al-Sharq al-Awsat.     

 

 

L’ora “illegale” di Beirut  

 

Il parziale spostamento di lancette che ha frammentato il fuso orario di Beirut in maniera non troppo dissimile dalle linee politico-settarie ha naturalmente attirato l’attenzione della stampa araba. Al-Sharq al-Awsat si spinge al limite del dileggio descrivendo il Libano come un tempo senza luogo e un luogo senza tempo, un facile sarcasmo per descrivere la realtà di un Paese sull’orlo del fallimento morale prima ancora che politico, affossato da una classe dirigente incapace e corrotta, e dilaniato dai particolarismi confessionali.

 

Di tutt’altro registro stilistico il quotidiano libanese al-Nahar che, con la massima serietà possibile, ha provato a fare il punto della situazione districandosi nella selva oscura di norme e articoli che per un paio di giorni hanno portato al surreale sfasamento temporale.

 

Sintetizzando, la decisione numero 38 del 23 marzo 2023 di posticipare il cambio d’ora è invalida a causa di un «vizio di forma», che non può essere corretto da un decreto del genere. La sua approvazione si fonderebbe infatti sull’accordo straordinario emanato dal presidente del Consiglio dei ministri per la modifica della delibera numero 5 approvata dal Consiglio il 20 agosto 1998 riguardante lo spostamento dell’orario nazionale avanti di un’ora durante il periodo estivo. Tuttavia, il segretario generale del Consiglio ha comunicato il rinvio dell’applicazione della delibera numero 5 alla mezzanotte del 21 aprile 2023. «Da ciò si evince che il presidente del Consiglio dei ministri ha modificato l’emendamento in maniera autonoma dal Consiglio […] A prescindere dalle motivazioni reali che hanno portato al posticipo dell’ora legale, la delibera è priva di fondamento giuridico»: non spetta alla figura del presidente del Consiglio modificare parti del diritto senza un passaggio preliminare dell’assemblea. Il problema, però, è solo la punta di un iceberg più profondo e importante di una semplice differenza di orari: l’intricato e labirintico iter costituzionale previsto dagli accordi di Taif del 1990 che posero fine alla guerra civile libanese, seguiti dai numerosi aggiornamenti della carta costituzionale del Paese che specificano poteri e competenze dei vari organi istituzionali.

 

E quindi, ricapitolando, «il principio giurisprudenziale sancisce che la decisione venga emessa dall’autorità competente; se così non fosse, sarebbe viziata e dunque illegittima e contraria al principio di legalità. E questa è la base del diritto in generale». Purtroppo, però, «non esiste un testo giuridico che definisca l’autorità competente in tema di cambi d’orario. Questa decisione è una delle questioni che afferiscono all’ambito organizzativo, e sono quindi di competenza del potere esecutivo in base a quanto stabilito dal Consiglio dei ministri con la delibera numero 5 del 29 agosto 1998. Spetta solo a quest’ultimo organo modificare o abrogare la delibera numero 5», non lo può fare il Presidente sua sponte, nonostante l’assemblea si sia affrettata a sostenere il rinvio dell’ora legale. Ma si è trattato di una azione a posteriori, non contemplata dal diritto vigente. In definitiva, il testo dell’articolo ricalca, forse volutamente, le difficoltà nell’approcciarsi al diritto mostrando quanto un fatto all’apparenza semplice e banale possa nella realtà impattare sulla vita economica e sociale di un Paese già in seria difficoltà.         

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