Rappresentano circa il 20% della popolazione turca, ma sono sottoposti a gravi discriminazioni e lottano per essere riconosciuti ufficialmente come religione. La loro situazione, da sempre complicata, è peggiorata dopo il tentativo di golpe del 2016

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:04:23

Una Turchia nella Turchia, una presenza spirituale forte, che vuole essere riconosciuta come religione e un Islam ufficiale sempre più fatto politica, che rischia di alimentare conflitti interni in un Paese che ha fatto dell’identità nazionale esasperata una delle sue caratteristiche principali. Un cardine troppo debole, che si è trasformato in uno dei lati più vulnerabili per il popolo turco, certo quello che alimenta le maggiori divisioni.

 

Gli aleviti sono un mondo da conoscere e al tempo stesso un segreto custodito da secoli. Lottano da sempre per vedere riconosciuto il loro culto come una religione alla pari dell’Islam sunnita, ma sono considerati da istituzioni e società civile come un movimento spirituale, nella migliore delle ipotesi, non di rado una setta. Perseguitati per secoli, dopo una lieve apertura nel 2009, negli ultimi anni sono tornati a essere il bersaglio di attacchi, frutto anche del clima politico, che identifica l’Islam sunnita di scuola hanafita se non come religione ufficiale, sicuramente come componente imprescindibile dell’identità nazionale turca.

 

Una religione “segreta”

 

Gli aleviti in Turchia sono fra i 18 e i 23 milioni su una popolazione di circa 85. In realtà, la loro presenza è difficilmente quantificabile perché, a causa delle persecuzioni alle quali sono stati sottoposti per secoli, tendono a dissimulare le loro origini. Una pratica, questa, assunta per motivi di sicurezza e autoconservazione, ma che spesso è stata utilizzata dai loro detrattori per dipingerli come una setta. Vengono definiti come una confraternita eterodossa di derivazione sciita, venerano quindi ‘Ali, il genero del Profeta Maometto e suo figlio Hussein. Hanno però maturato rituali e una tradizione teologica, musicale e culturale proprie. Le differenze rispetto all’Islam sunnita sono parecchie e questo aspetto è alla base dei problemi che gli aleviti hanno sofferto durante tutta la loro storia.

 

Gli aderenti a questo culto si dividono in due grandi famiglie: Kızılbaş e Bektaşi. Il sistema di valori e i rituali rimangono gli stessi. I Kızılbaş sono concentrati nelle aree rurali e tendono a essere più elitari, considerando l’ingresso nella comunità solo attraverso vincoli di parentela. I Bektaşi invece sono più diffusi nelle città e ritengono che l’Alevismo possa essere abbracciato da ogni persona di fede musulmana. Il riconoscimento atteso dalla Turchia, in Albania è già avvenuto e i Bektaşi sono stati riconosciuti come religione a parte accanto a Islam, Cristianesimo ortodosso e Cristianesimo cattolico.

 

Per lungo tempo, gli aderenti a questo culto vivevano nelle aree più remote del Paese, anche per motivi di sicurezza. Dagli anni ’90 del secolo scorso in poi, l’urbanizzazione della Turchia ha determinato il loro spostamento nelle maggiori città della Mezzaluna. Anche in questo caso, però, la nozione di appartenenza al gruppo non è andata persa e li ha portati a risiedere negli stessi quartieri. Questa religione, infine, è praticata sia da turchi, che da curdi. Un particolare importante, perché gli aleviti curdi si trovano spesso a combattere una battaglia doppia contro la discriminazione: quella dal punto di vista etnico e quella dal punto di vista religioso, dove si trovano contrapposti non solo ai turchi, ma anche ai curdi sunniti.

 

Misticismo e musica

 

Gli aleviti, come il resto dei turchi, provengono dall’Asia Centrale. Questo lungo percorso, storico e geografico, ha portato questa confessione ad assorbire molti elementi, dalla cultura turkmena a quella bizantina, sopravvissuta a lungo dopo la conquista ottomana nelle campagne, nonché dai sufi, i mistici dell’Islam.

 

L’amore e il rispetto per il prossimo e la tolleranza nei confronti delle altre culture sono i cardini principali di questa religione, insieme al rispetto per i lavoratori e per le donne. Il cammino spirituale degli aleviti si chiama yol, che in turco significa “strada” ed è l’equivalente dell’arabo tarīqa, strada appunto, ma anche confraternita sufi. E come nella tradizione sufi, la strada alevita è composta da quattro momenti. Il primo è la Shari‘at, ossia l’esperienza della legge religiosa e dell’obbedienza a Dio, il secondo è quello della tarikat, ossia la fratellanza spirituale, il terzo è ma‘rifat, ossia la comprensione mistica di Dio e in ultimo la hakkikat, l’esperienza mistica della realtà divina. A guidare gli aleviti nel loro cammino di fede, ci sono le figure dei santi Haci Bektash Veli (XIII secolo) e Pir Sultan Abdal (XVI secolo). Di particolare fascino sono i rituali di questa religione, che solitamente si svolgono nelle cem evi e dove la musica ricopre un ruolo fondamentale. Le cerimonie sono caratterizzate da una serie di danze (semah) con passi e posizioni ben precisi che simboleggiano il moto dei pianeti attorno al sole o l’abbandono a Dio. A queste partecipano sia uomini sia donne. Le figure spirituali di riferimento sono i dede, ossia letteralmente “nonno”. A loro spetta non solo la guida nel cammino mistico di avvicinamento a Dio, ma anche il ruolo di arbitro in caso di dispute fra componenti della comunità.

 

L’Alevismo si differenzia dall’Islam sunnita sotto alcuni importanti aspetti. Gli aleviti non si inginocchiano al momento della preghiera e non osservano il digiuno nel mese sacro del Ramadan. Si astengono da cibo e acqua per 10 giorni durante il mese di Muharram, in cui si commemora il martirio di Hussein. Non hanno moschee, non versano la zakat, ossia la carità obbligatoria, praticano la monogamia e le donne non hanno l’obbligo di portare il velo.

 

Vittime dell’odio

 

La quotidianità per gli aleviti non è mai stata facile. In epoca ottomana hanno subito persecuzioni a più riprese, soprattutto da parte di alcuni sultani particolarmente conservatori. L’avvento della Repubblica e la campagna di laicizzazione di Mustafa Kemal Atatürk ha portato parte degli aleviti, quelli non di etnia curda, a simpatizzare per l’azione politica del Padre della Patria. Purtroppo, questo non ha portato alla serenità sperata. Il primo grande atto di violenza della Turchia moderna contro la comunità alevita è infatti datato 1935. Si consumò a Dersim, nella Turchia orientale. Le vittime furono centinaia, la verità storica non è mai stata appurata, ma alcuni studiosi ritengono che si trattò di uno sterminio premeditato, una vera e propria pulizia non su base etnica, ma su base religiosa. Dagli anni ’70, poi, la tensione è aumentata in modo irreversibile. La nascita dell’Islam politico in Turchia ha portato a una spaccatura all’interno della società, che ha visto contrapporsi la destra islamica più eversiva e gruppi di sinistra, a cui spesso e volentieri prendevano parte anche frange di aleviti. Una “guerra fra bande”, molte volte alimentata anche dalla polizia, tradizionalmente schierata con gli ambienti islamo-nazionalisti, e da quei partiti politici per i quali l’adesione all’Islam sunnita era un presupposto di connotazione nazionale. Le persecuzioni hanno preso la forma di attacchi contro singole famiglie, come di intere comunità. Nel 1978 a Kahramanmaraş, nella Turchia meridionale, 118 aleviti furono massacrati in una notte da una formazione di estrema destra. Non destò minore orrore la strage di Sivas, nel luglio 1993, quando 63 aleviti furono uccisi brutalmente dopo essere stati tenuti in ostaggio per ore. Nel 1995, oltre 20 aleviti furono uccisi in un quartiere di Istanbul in seguito a un mai chiarito scontro con le forze dell’ordine. «Il nostro modo di praticare l’Islam si basa su un messaggio di pace e fratellanza universale, soprattutto con i musulmani sunniti. Molto spesso non sentiamo questi sentimenti ricambiati» spiega Suha Uyar, giornalista alevita, sottolineando che questa impostazione è sempre stata presente nella società turca, ben prima dell’avvento di Erdoğan.

 

Anche nei tempi più recenti, la situazione non è molto migliorata. Attacchi a componenti delle comunità alevite si ripetono ciclicamente, oltre ad altri, inquietanti, gesti intimidatori. L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto il mese scorso nella provincia di Tokat, nell’Anatolia centrale, dove su una mappa in possesso delle autorità sanitarie locali, i villaggi abitati da aleviti erano marcati con una croce rossa. In più occasioni, nelle principali città turche, sono state segnate nello stesso modo le case abitate da membri della comunità.

 

Una lotta continua

 

L’avvento al potere di Recep Tayyip Erdoğan è stato accolto con sospetto dagli aleviti, la sua virata autoritaria con crescente preoccupazione. La madre di tutte le battaglie è il riconoscimento dell’Alevismo come religione e non come confraternita o associazione culturale. In questo modo, la comunità alevita avrebbe diritto a percepire i fondi per mantenere i propri ambienti religiosi e stipendiare le gerarchie della comunità, cosa che al momento avviene solo tramite donazioni da parte dei membri della comunità più facoltosi. La Diyanet, l’Autorità per gli Affari Religiosi, i cui organi dirigenti sono di nomina governativa, ha dichiarato in passato che l’Alevismo non può essere considerato una religione. Lo Stato turco, dal canto suo, ha ignorato due sentenze, la prima della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 2014, la seconda della Danistay, il Consiglio di Stato turco, del 2018, secondo le quali le cem evi degli aleviti devono essere riconosciute come luoghi di culto a tutti gli effetti.

 

Oltre alla battaglia legale, c’è anche quella per la sopravvivenza vera e propria, in una Turchia sempre più affascinata dall’omologazione sia dal punto di vista etnico, sia da quello religioso. Da quando ha preso il potere per la prima volta, nel 2002, Recep Tayyip Erdoğan ha fatto costruire circa 13.000 moschee. Molte di queste sono sorte in villaggi o zone a forte presenza alevita. Anche l’istruzione scolastica rappresenta una minaccia per questa confessione. Con la riforma del 2011, il presidente turco ha ottenuto l’equiparazione delle İmam Hatip, scuole dedicate alla formazione di imam, agli altri indirizzi di studio. Questo ha comportato una moltiplicazione di questi istituti nel Paese, con altre scuole che sono state convertite in İmam Hatip praticamente dal giorno alla notte. Il dato importante è che, mentre ebrei, armeni e cristiani, minoranze religiose riconosciute dalla legge turca, possono saltare le ore di educazione religiosa, gli aleviti, non venendo considerati una religione, sono costretti a seguirle. Una pratica che, sul lungo tempo, secondo i responsabili della comunità, potrebbe portare alla scomparsa di questa confessione e all’omologazione all’Islam sunnita.

 

Onder Aydin, vicepresidente di una delle associazioni alevite più importanti di Ankara, ha spiegato che il problema non ruota solo attorno alla crisi della laicità dello Stato. «In Turchia – dice Onder – ci sono due evidenti problemi, il primo è quello della tenuta democratica. Lui (Erdoğan, NdR) poi si ostina a pensare che il Paese sia interamente assimilabile al mondo arabo».

 

Le preoccupazioni sono molte, e, soprattutto dopo il fallito golpe del 2016, quando il Paese ha cambiato faccia e visto accelerare una virata autoritaria da parte del Presidente Erdoğan, si sono aggiunte anche quelle per la sicurezza. Le purghe successive al colpo di Stato hanno avuto come bersaglio tutti i potenziali oppositori, politici e no. Fra questi ci sono anche gli aleviti. Sulla minoranza si è abbattuta la censura post golpe, con molti giornalisti e media vicini all’Alevismo che sono finiti in carcere o che hanno chiuso i battenti. Vi è poi da considerare il particolare clima politico che si è venuto a creare nel Paese. A partire dal 2018, la politica turca è stata dominata dalla Cumhur İttifakı, l’Alleanza per la Repubblica, una coalizione elettorale formata dal partito del presidente Erdoğan, l’Akp, e dal Mhp, il Partito Nazionalista, tristemente noto per essere stato nel passato il punto di riferimento di molte organizzazioni che hanno ordito attacchi o intimidazioni ai danni degli aleviti. Il problema è che, dopo anni di relativo silenzio, ma di mai cessata attività, queste organizzazioni stanno riacquistando peso negli equilibri interni del Paese, tanto che lo stesso Erdoğan rischia di trovarsi in difficoltà nella loro gestione, soprattutto se il Mhp alle prossime elezioni dovesse rivelarsi determinante. Il rischio è quello di una Turchia sempre più chiusa, intollerante, dove gli aleviti, rispetto alle altre minoranze religiose hanno la “colpa” di essere musulmani non ortodossi. «Se continua così – conclude Aydin – noi aleviti torneremo a nasconderci come abbiamo fatto tante volte nel nostro passato. Ma la Turchia ha tante anime e a furia di ascoltarne solo alcune, c’è una parte importante del Paese che si sente esclusa e preoccupata per futuro».

 

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