Dopo l’assassinio di Hassan Nasrallah e i massicci bombardamenti israeliani, Hezbollah è indebolito? Intervista con Aurélie Daher, esperta del movimento sciita

Ultimo aggiornamento: 20/05/2025 10:18:44

Intervista ad Aurélie Daher, a cura di Chiara Pellegrino

 

Dopo le esplosioni dei cercapersone nel settembre 2024, che hanno ucciso decine di combattenti di Hezbollah e ne hanno feriti centinaia, e dopo l’assassinio del suo leader Hassan Nasrallah e di diversi alti ufficiali da parte di Israele, qual è oggi la capacità militare di Hezbollah?

Fare un bilancio delle capacità militari di Hezbollah è difficile. Come si può immaginare, Hezbollah non ha nessuna intenzione di fornire un resoconto preciso e dettagliato delle proprie capacità militari. Alcune cose però si possono affermare con certezza sulla base di ciò che si osserva sul campo. Durante un’indagine che ho condotto in Libano tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, ho potuto constatare che gli ufficiali e i sottufficiali uccisi o gravemente feriti a causa dell’esplosione dei cercapersone o della guerra condotta da Israele contro il Libano per due mesi sono stati, in linea di massima, tutti rimpiazzati, nella maggior parte dei casi dai loro subordinati: il capitano è diventato comandante, il comandante è diventato generale…

Quanto all’entità dei danni agli armamenti, nessuno è in grado di fare un bilancio attendibile. Per farlo, bisognerebbe avere un’idea chiara delle scorte iniziali di Hezbollah. Le autorità israeliane forniscono delle cifre, ma non ci si può fare completo affidamento. Per una ragione semplice: per stabilire una percentuale di distruzione, bisogna conoscere due cose: l’entità esatta delle distruzioni e lo stato esatto delle scorte prima delle distruzioni. Nessuno, tranne Hezbollah, conosce né l’uno né l’altro. Peraltro, una parte delle scorte di razzi e missili di Hezbollah è stata distrutta dall’esercito libanese, non dagli israeliani. Dal cessate il fuoco (novembre 2024), e soprattutto dall’inizio del 2025, con l’arrivo al potere del presidente Joseph Aoun e del Primo ministro Nawaf Salam, l’esercito libanese sta in un certo senso riorganizzando il Sud del Libano dal punto di vista militare. Sono state trovate molte cose: nascondigli, depositi d’armi e tunnel, alcuni dei quali sono stati interrotti. Hezbollah non nega. Eppure, da quanto ho potuto constatare durante i miei incontri, il partito non sembra essere preoccupato per le proprie capacità militari. E non credo che sia una messa in scena o una facciata.

Hezbollah è in una fase d’investigazione interna. Il partito sta cercando di capire le ragioni della battuta d’arresto subita durante la guerra del 2024, a differenza del 2006, quando i suoi combattenti riportarono una vittoria schiacciante contro l’esercito israeliano. Ciò che lo interessa ora è capire come sia avvenuta l’operazione di infiltrazione israeliana. Sta cercando di determinare in che misura si sia trattato di una questione tecnologica – sorveglianza dei telefoni, triangolazione dei segnali, rilevamento di vuoti sotterranei tramite tecniche ingegneristiche di base… – o di errori umani. L’indagine è ancora in corso. Penso che ne sapremo di più tra tre/sei mesi, quando il partito inizierà a comunicare in modo un po’ più chiaro.

 

In ogni caso, si può parlare di un indebolimento di Hezbollah come milizia?
Tutto dipende da che cosa s’intende con “indebolimento”. Nell’esplosione dei cercapersone sono state colpite circa 3.000 persone, diverse decine delle quali sono morte. È interessante notare che, nonostante l’eliminazione di molti alti esponenti dell’apparato militare, i combattenti sul terreno sono riusciti a contrastare in maniera efficace gli attacchi israeliani, anche una volta interrotte le comunicazioni con il comando centrale.

A mio avviso, i numeri parlano da soli. Nel 2006, durante gli ultimi tre giorni di guerra, Israele lanciò una grande offensiva terrestre contro il Libano. Gli israeliani mobilitarono 40.000 uomini. Contro di loro combattevano tra i 2.500 e i 5.000 combattenti libanesi, al massimo. Nel 2024, gli israeliani hanno mobilitato 70.000 soldati, quasi il doppio rispetto al 2006. Di fronte a loro c’erano tra 2.000 e 2.500 combattenti di Hezbollah. Si è dunque passati a un rapporto di forza di 1 a 4 a sfavore di Hezbollah. Eppure, mentre nel 2006 l’esercito israeliano era riuscito a penetrare per 25 chilometri all’interno del territorio libanese, nel 2024 – con il doppio degli uomini e la metà dei combattenti libanesi – non è riuscito ad avanzare oltre i 2 o 3 chilometri. Quindi, Hezbollah è indebolito? Sul piano militare evidentemente no.

 

E sul piano politico?
Sul piano politico da gennaio 2025 Hezbollah si sta volontariamente facendo da parte. Per due motivi. Innanzitutto, il contesto libanese è segnato da una sorta di tutela americana, con gli israeliani molto presenti dietro le quinte. Lo si è visto durante le prime visite di Morgan Ortagus, vice inviata speciale degli Stati Uniti per la pace in Medio Oriente, che ha dato direttive chiare sulle priorità che attendono il governo libanese. Quest’ultimo è in un certo senso tenuto ad attenersi alle indicazioni. Il ritiro di Hezbollah è anche una decisione strategica: il movimento è impegnato nella riorganizzazione e revisione della propria strategia militare. Pertanto, gli va bene che i riflettori siano puntati sul governo anziché sul partito.

Parallelamente, ciò che ho potuto osservare sul campo, in particolare all’interno della comunità sciita e in un elettorato più ampio non necessariamente affiliato a Hezbollah, fa pensare che la strategia attuale del partito sia anche quella di lasciare che il governo perda credibilità, logorato dalle sue contraddizioni interne. Hezbollah non cerca lo scontro diretto, non alza i toni. La sua logica resta la seguente: è inutile affaticarsi in un duello con un governo che, prima o poi, si scontrerà comunque con la realtà della società libanese.

Per quanto riguarda un disarmo di Hezbollah, i desiderata americani e israeliani sono oggettivamente irrealizzabili. La maggioranza dei libanesi è comunque contraria. Hezbollah sa che il tempo gioca a suo favore, perché Israele continua ad attaccare le zone libanesi, prende di mira i civili, distrugge infrastrutture, abitazioni e negozi anche in aree dove Hezbollah non è presente. E il governo libanese non può fare nulla. L’assenza di pressioni da parte dei Paesi occidentali su Israele finisce per rafforzare la posizione di Hezbollah. Questo scredita il discorso del governo libanese sulla sua capacità di portare un cambiamento vero, difendere la sovranità nazionale e costruire uno Stato forte, e costringe i libanesi a riconoscere che Hezbollah non ha ancora perso d’importanza. Lo Stato libanese è incapace di difendere il territorio – e quindi sottrarre legittimità a Hezbollah – poiché lo stesso Israele si è sempre opposto ai piani americani o francesi per formare e armare adeguatamente l’esercito libanese. Israele coltiva mire annessionistiche sul sud del Libano. Non vuole Hezbollah, ma non vuole neppure un esercito libanese capace di tenergli testa.

 

La situazione è complicata anche in Siria. In che modo gli eventi siriani condizionano il Libano in generale, e che cosa rappresentano per Hezbollah?
I problemi che sta affrontando la nuova Siria non sono affatto cattive notizie per Hezbollah. Innanzitutto, l’espansionismo annessionista di Israele nel sud della Siria ricorda fortemente quanto accaduto in Libano nel 1978: un’occupazione, seguita da un’annessione de facto e dalla creazione di una zona cuscinetto.
Alla fine del 2024 è stata creata una nuova organizzazione paramilitare, il “Fronte della Resistenza islamica in Siria”, un nome che richiama quello della forza armata di Hezbollah, la “Resistenza islamica in Libano”. Le somiglianze non si fermano al nome: i loghi e gli slogan sono pressoché identici, anche se non è stato Hezbollah a fondare questo gruppo. Alla fine, alle stesse azioni corrispondono le stesse reazioni: di fronte a un’occupazione emergono necessariamente dei movimenti di resistenza. In questo caso, la nuova formazione siriana condivide l’ideologia e gli obiettivi di Hezbollah, in particolare l’opposizione a Israele, ciò che la rende un’entità naturalmente vicina al partito libanese.

In un altro contesto, nel nord-ovest della Siria, le zone alawite e cristiane confinano con il nord-est del Libano, abitato anch’esso in gran parte da sciiti e cristiani. Questa continuità geografica e confessionale crea un ambiente naturalmente favorevole all’influenza di Hezbollah. I massacri su larga scala perpetrati alcune settimane fa contro gli alawiti da parte di gruppi armati legati a Damasco hanno portato alla nascita di piccoli gruppi di autodifesa, che intendono limitare in quelle zone la presenza delle forze armate sunnite legate al nuovo regime. Anche questa è una buona notizia per Hezbollah, che constata come questa zona della Siria non gli sia a priori ostile.

 

Quindi questa nuova forza nata in Siria è sciita?
Per il momento, il Fronte della Resistenza islamica in Siria (FRIS) si presenta come una coalizione eterogenea unita da un obiettivo comune: la lotta contro l’occupazione israeliana. È interessante che la Guida della Rivoluzione Ali Khamenei abbia dato la sua benedizione al FRIS subito dopo la sua creazione. Eppure, il sud della Siria, dove questo movimento è emerso, non è un bastione sciita, lì la popolazione è in maggioranza sunnita e drusa. È quindi probabile che la composizione di questa forza sia mista. Al momento, mancano dettagli concreti: non si conoscono né i nomi dei leader, né la struttura precisa dell’organizzazione. Si sa soltanto che è stata rilasciata una dichiarazione ufficiale lo scorso 4 marzo.

 

Che ruolo gioca attualmente l’Iran in Libano e fino a che punto si estende la sua influenza negli equilibri interni del Paese?
Contrariamente a quanto si legge in certi media, l’Iran non è mai stato interessato alla politica interna libanese. L’idea di un intervento diretto iraniano negli affari interni del Libano è esagerata, se non addirittura un mito. In 25 anni solo due dichiarazioni ufficiali di ambasciatori iraniani hanno toccato la politica libanese in modo tale da poter essere interpretate come un’ingerenza (nel 2006 e nel 2023). In entrambe le occasioni, le autorità libanesi hanno risposto immediatamente, riaffermando la sovranità nazionale. Teheran ha fatto sistematicamente marcia indietro. Gli iraniani non sono mai intervenuti nella politica interna libanese per una ragione molto semplice: il Libano non ha nulla da offrire loro. A loro interessa soltanto Hezbollah in quanto attore militare della loro strategia regionale. Hezbollah funge da modello, formatore e talvolta braccio armato in altre zone di conflitto, come l’Iraq o lo Yemen. Ma l’Iran non s’interessa né della sua dimensione civile, né del suo ruolo nella politica interna. Di conseguenza, nella politica libanese Hezbollah agisce secondo la propria agenda.

 

L’Asse della Resistenza esiste ancora o si è frammentato di fronte ai cambiamenti regionali?
Va anzitutto chiarito che l’Asse della Resistenza non è un’alleanza istituzionalizzata, con una struttura rigida come può essere, ad esempio, la NATO. È molto più flessibile. La guerra del 2023-2024 ha mostrato chiaramente come ogni membro dell’Asse vi partecipi secondo modalità proprie, in base ai suoi interessi e con un livello di impegno variabile. Un esempio evidente è la Siria di Bashar al-Assad. Il suo contributo all’Asse della Resistenza è stato semplicemente nullo. Gli iraniani e Hezbollah hanno rimesso in piedi il regime consentendogli di sopravvivere per quasi quindici anni. Eppure, nonostante tutti gli investimenti dell’Asse, Assad non ha restituito il favore.

Altra constatazione: far parte dell’Asse non implica anteporre gli interessi di quest’ultimo alle priorità nazionali. Ad esempio, per più di un anno Hezbollah ha sostenuto i palestinesi, ma ha scelto di non oltrepassare determinate linee rosse, per evitare di trascinare il Libano in una guerra totale. La decisione dell’escalation massiccia è stata presa da Israele, non da Hezbollah.

Infine, nulla è definitivo. Oggi la situazione è particolare: c’è stato l’8 ottobre 2023, Donald Trump è di nuovo presidente, ma tra quattro anni non sappiamo dove saranno il Libano e il Medio Oriente. Come mi ha detto un pasdaran che ho incontrato a Beirut, citando un proverbio arabo: «C’è un giorno per te e un giorno per il tuo nemico». Ciò significa che la vita è fatta di alti e bassi. A volte si vince, a volte bisogna lasciare all’altro il suo momento di gloria. L’Asse della Resistenza pensa e agisce nel lungo periodo. Il contesto attuale è quello che è, ma chi può dire che tra cinque, dieci o quindici anni non sarà completamente diverso?

 

Hezbollah gode ancora di un ampio sostegno popolare tra la popolazione libanese?
Se me lo avessi chiesto tre mesi fa, ti avrei detto che Hezbollah stava affrontando alcune difficoltà, anche all’interno della propria comunità. Ma oggi non è più così. Non bisogna dimenticare che la comunità sciita rappresenta tra il 50 e il 60% della popolazione libanese, quindi più della metà. E questo senza contare il sostegno – tutt’altro che marginale – di cui gode anche presso altre comunità.

Le dichiarazioni di alcuni membri del governo, provenienti in particolare dalle Forze Libanesi, ricordano gli errori commessi da quello stesso schieramento e, più in generale, dalla coalizione del 14 marzo, nel 2005, 2006 e 2007: discorsi di rifiuto, condiscendenza confessionale e perfino razzismo. All’epoca, questi atteggiamenti hanno avuto come effetto quello di suscitare il risentimento degli sciiti e rafforzare i loro legami con Hezbollah.
Ogni volta che uno sciita pensa di prendere le distanze da Hezbollah per avvicinarsi allo Stato, si scontra con un’accoglienza intrisa di ostilità da parte di certi rappresentanti non sciiti di quello stesso Stato. Allora gli sciiti si dicono: «Grazie, se questo è il vostro Stato, preferisco Hezbollah».

 

Si può dire che i funerali di Hassan Nasrallah, celebrati lo scorso 23 febbraio, abbiano rappresentato un banco di prova per misurare il sostegno di cui gode ancora Hezbollah?
I funerali sono stati, indirettamente, un giorno di voto. Lo hanno detto gli stessi sciiti. I libanesi erano là per rendere omaggio a Hassan Nasrallah, certo, ma per una parte di loro era anche un’occasione per mandare un messaggio politico. Sono venuti per dire: «Esistiamo anche noi». Ho sentito più volte questa frase: «Bisogna che gli altri capiscano che esistiamo anche noi, che non possono ignorarci, non possono cancellarci dalla mappa, non possono fare come se non esistessimo, non possono calpestarci».

Alcuni quotidiani anti-Hezbollah, a cominciare da L’Orient-Le Jour, si sono distinti – e questo va detto – per il loro atteggiamento negazionista. Prima dei funerali questi media annunciavano che alle esequie avrebbero partecipato solo «alcune decine di migliaia di persone». In Libano ci sono almeno due milioni e mezzo o tre milioni di sciiti, e almeno la metà ha dichiarato apertamente che sarebbe stato presente alla cerimonia. Dire che ci sarebbero state solo qualche decina di migliaia di persone è negare la realtà. Ed è anche un rivelatore freudiano del fatto che certi gruppi politici libanesi sono rimasti in una logica di esclusione degli sciiti dalla società libanese.

Seguo il Libano da decenni e credo che non si sia mai raggiunto un tale livello di miopia da parte dei non sciiti. Alcuni movimenti vorrebbero riportare il Libano agli anni ’60, quando dominava un maronitismo politico di destra dura e gli sciiti erano ai margini della vita sociopolitica del Paese: confinati nelle campagne, assenti dalle istituzioni e dai processi decisionali. Ma il Libano del 2025 non è il Libano del 1960. Oggi gli sciiti sono la componente più numerosa, sono istruiti, politicamente attivi, e vogliono partecipare alla vita economica, sociale e culturale del Paese. Non si può fare finta che non esistano.

Ai funerali di Nasrallah erano presenti 1,8 milioni di persone al mattino. Un po’ meno nel pomeriggio: faceva freddo, la cerimonia è iniziata tardi, molte persone erano in piedi dalle 5 o dalle 6 del mattino. Alle 2 del pomeriggio alcuni se ne sono andati dopo la prima parte dei funerali, mentre altri hanno seguito il corteo fino al mausoleo. E là ci saranno state all’incirca 1,4 milioni di persone. Il giorno dopo, in un silenzio assordante, nessun giornale anti-sciita ha menzionato il numero di partecipanti alla cerimonia.

 

Quale ruolo giocherà Hezbollah nel futuro del Libano?
Rimarrà là, non c’è alcuna ragione per cui debba scomparire.

 

Alla luce dei tuoi incontri sul campo, quale immagine hanno i militanti di Hezbollah del nuovo segretario generale del movimento, Naim Qassem?
Ci sono state molte discussioni a Beirut all’annuncio dell’elezione di Naim Qassem. Alcuni gli hanno giurato immediatamente fedeltà, altri gli hanno rimproverato una mancanza di carisma. A sua discolpa va riconosciuto che chiunque fosse succeduto a Nasrallah non avrebbe potuto uguagliarne il carisma! Qassem ha un profilo diverso da quello di Nasrallah. Non è un militare, è coinvolto maggiormente nella dimensione civile dell’organizzazione, in particolare in ambito religioso. Ha scritto una quindicina di libri sulla religione nella vita quotidiana, è piuttosto un intellettuale. Ha anche una certa età. Non è da escludere che presto emergano figure nuove, promosse dal partito, in previsione di una successione nei prossimi anni.

 

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