Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:42:27

Gli anni che hanno condotto, nel febbraio del 2008, all’indipendenza del Kosovo hanno suscitato a lungo un vivo interesse per questa regione dei Balcani fino a quel momento pressoché sconosciuta. I media, la comunità internazionale e gli analisti della storia e della politica gli hanno dedicato numerosi articoli e studi. Ma, come sempre avviene, una volta analizzati e sviscerati i fatti, il Kosovo è precipitato di nuovo nell’oblio o quanto meno in un disinteresse quasi generale. Paese di 10 000 km2, il Kosovo aspira ad entrare nell’Unione Europea, ma come costruire e sviluppare l’identità kosovara all’interno di questo progetto? Intendiamo in questa sede offrire qualche riflessione a partire da un angolo visuale, il nostro, che è quello delle comunità cattoliche situate in un contesto in maggioranza musulmano. In Occidente il Kosovo è noto soprattutto come un paese appena uscito da un conflitto armato. Il Kosovo si presenta come una campagna molto vasta, la terra è fertile e il lavoro agricolo costituisce molto spesso l’unica risorsa dei kosovari. La disoccupazione, secondo le stime della Banca mondiale, riguarda il 70% dei giovani e quasi un abitante su due non ha lavoro. La popolazione di questo paese in piena fase di ricostruzione si mostra alla ricerca della propria specifica identità ispirandosi al passato e intende mostrare all’Europa la permanenza del proprio legame con i valori cristiani e più precisamente con i valori cattolici. I rapporti con i pochi serbi, in genere ortodossi o protestanti, sono infatti piuttosto tesi e distanti. Il cattolicesimo costituisce, quanto meno a un primo sguardo, un'importante risorsa sulla quale il Kosovo sembra puntare nella ricostruzione della propria identità. Esso costituisce un riferimento culturale presente sia in mezzo alla popolazione benestante, l’ élite, sia nell’insieme della popolazione. E infatti l’immensa cattedrale in costruzione nella capitale, Pristina, si inserisce perfettamente in questa logica. I tremila cattolici che abitano nella capitale non riusciranno mai a riempire lo spazio previsto per le cerimonie religiose. È stato il primo presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova, a volere la realizzazione di questo progetto gigantesco. Monsignor Dodë Gjergji, Vescovo di Pristina e di tutto il Kosovo, vede nella cattedrale un segno di speranza, il simbolo dell’avvenire. Per i musulmani essa dimostra l’apertura dell’islam autoctono, che riconosce le sue radici storiche nel cattolicesimo e che vuole distinguersi da qualsiasi forma di fondamentalismo. Il retaggio storico e antropologico, e la stessa mentalità della gente, sono profondamente legati al cristianesimo. Quanto all’islam, esso alimenta la vita interiore del musulmano credente, ma non si esteriorizza. In Kosovo, cattolici e musulmani vivono in villaggi separati. Le grandi città e la capitale sono abitate quasi esclusivamente da musulmani. Sono dunque i musulmani ad accedere con facilità alle posizioni chiave nello Stato e nella politica. In un recente passato la Chiesa cattolica ha vissuto la persecuzione e questo le ha consentito un’esperienza religiosa forte e tonificante. I fedeli, costretti a starsene nei loro villaggi, hanno vissuto un’esperienza comunitaria unica. Ed è evidente che la persecuzione inflitta dagli ottomani e quella del periodo comunista sono tutt’ora ben presenti nella memoria della gente. Il cattolicesimo kosovaro si può perciò iscrivere agevolmente in un discorso nazionalista e patriottico, discorso che pervade tutto il paese. Ma la grande sfida per la Chiesa locale sta nel trasformare questa visione culturale della religione in un itinerario spirituale. Essa dovrà saper adottare una pastorale rispondente alle esigenze della nuova evangelizzazione nei confronti di coloro che vogliono lasciare il paese. Dovrà anche adottare una pastorale relativa ai matrimoni misti e infine dovrà rinnovare la sua visione delle cose nei confronti dei convertiti. Una proposta interessante per i giovani è rappresentata dalla Scuola Don Bosco. Gestita da due preti italiani, mira ad offrire ai giovani una solida formazione in diversi settori in modo che, una volta conquistato il diploma, possano lavorare o mettere in piedi una propria impresa in Kosovo. Oltre alla formazione professionale i Padri offrono a coloro che la desiderano una catechesi. La catechesi è iniziata solo quest’anno, dopo dieci anni di vita della scuola. Ma, per dirla con le parole del responsabile don Matteo, il seme dà il suo frutto con la pazienza. Se è vero che la costruzione dell’identità si alimenta di tradizioni del passato, bisogna riconoscere che il ricambio generazionale e l’attuale tendenza generalizzata alla migrazione potrebbero un giorno cancellare dalla memoria storica individuale e collettiva il contributo della fede cattolica al paese, sostituendolo con altri riferimenti. Che valore avrebbe, a quel punto, e quale significato, la grandiosa cattedrale di Pristina?