Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:16

C’è un islam “pericoloso”, ed è il fondamentalismo, ma c’è anche un islam “in pericolo”. Penso ai giovani, figli di immigrati, che sono nati e cresciuti qui, in Occidente, e che quindi sono già il prodotto di un “meticciato” che è un fenomeno, un processo, che nessuno ha programmato, ma di cui siamo testimoni. Anche per l’Italia è giunta questa fase delicata: una nuova generazione sta crescendo, è arrivata alle medie superiori, all’università, desidera portare il suo contributo, ma chiede che le vengano forniti gli strumenti per prendere consapevolezza di sé e del ruolo particolare e decisivo che potrebbe giocare. Sono ragazzi ancora immaturi, spesso con una scarsissima preparazione dal punto di vista islamico stesso, prevalentemente studenti di facoltà tecnico-scientifiche, sognano di diventare medici e ingegneri, e proprio per questo sono estremamente vulnerabili rispetto ad imam “paracadutati” qui dai paesi d’origine delle loro famiglie, che parlano l’arabo meglio di loro senza per questo tuttavia avere una preparazione specifica, relitti di qualche naufragio ideologico pesantemente segnato dalla drammatica involuzione del mondo musulmano prodottasi dagli anni ’70 in qua. Penso che la presenza di questi giovani debba indurci a riflettere, affinché evitiamo di commettere un grave peccato di omissione nei loro confronti. Di fronte a loro ci scopriamo troppo inerti, non abbiamo quasi neanche la presunzione di avere qualche cosa da offrire ai nuovi arrivati che ci mettono di fronte alla nostra pochezza. Troppo spesso alla fine ci riduciamo a contare i centimetri di quanto gli immigrati e i loro figli si possano spingere in qua o in là nel pretendere e nel volere, come se noi dovessimo avere un ruolo solamente passivo o di controllo. Vedo questi ragazzi di seconda generazione, musulmani più o meno convinti, praticanti e non praticanti, ragazze velate e non, che frequentano centri islamici come quello di Brescia dove si incontrano 74 nazionalità diverse: paradossalmente i musulmani scoprono qui quanto è plurale la loro civiltà. So che alcune moschee sono luoghi d’indottrinamento, ma sono anche garage e seminterrati dove non è dignitoso che si debba ridursi a incontrarsi e a pregare… Di fronte a questi numeri ed evidenze è inevitabile augurarsi che non ci accada di strappare, insieme all’erba cattiva, anche i germolgi di buon grano. Questi ragazzi hanno potenzialità che chiedono non solo implicitamente di essere valorizzate perché emerga e si esprima la parte positiva dell’islam. Queste nuove generazioni potrebbero diventare, qui, in mezzo a noi, la prima barriera contro la diffusione del fondamentalismo. Perciò siamo chiamati a dare visibilità a questo “meticciato positivo” che già esiste, che è in elaborazione e che cerca solo l’ambiente adatto per poter portare buoni frutti. L’alternativa è il rischio di spingere questi ragazzi verso posizioni estreme, poco importa che siano quelle della radicalizzazione religiosa o del dissolversi nel consumismo frivolo ed effimero dell’Occidente. Li avremmo persi in entrambi i casi.