Nel Paese è in corso uno scontro tra élite che potrebbe portare a nuove manifestazioni di piazza

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:57

Dopo aver superato indenni il taglio delle candidature operate dal Consiglio dei Guardiani, il primo problema che i – pochi – candidati riformisti rimasti in gara hanno dovuto affrontare, aiutati dal duo Rohani-Rafsanjani, è stato convincere gli elettori a non disertare le urne, il 26 febbraio. Storicamente infatti la scarsa affluenza, motivata dal desiderio di delegittimare il regime degli ayatollah, ha favorito la parte più radicale del panorama politico iraniano. Questa volta, però, le elezioni per il rinnovo del Majlis e dell’Assemblea degli Esperti, hanno visto la partecipazione di oltre trenta milioni di iraniani, pari al 62 per cento degli aventi diritto. Il dato è di poco inferiore a quello delle elezioni parlamentari del 2012 (63 per cento) ma superiore al 55 per cento del 2008, come riportano i dati di Iran Data Portal. L’affermazione della “Lista della speranza” La cosiddetta “Lista della speranza”, una coalizione che riunisce moderati, conservatori pragmatici e qualche riformista, capeggiata dal presidente della Repubblica Hassan Rohani e dall’ex presidente Hashemi Rafsanjani, ha ottenuto un buon risultato, in particolare nel distretto di Teheran, dove ha conquistato 15 dei 16 seggi in palio per l’Assemblea degli Esperti. I risultati sono stati meno positivi nelle aree periferiche del Paese, anche se “la differenza di orientamento elettorale tra zone urbane e rurali è meno marcata rispetto agli anni precedenti”, dice a Oasis Pejman Abdolmohammadi, ricercatore alla London School of Economics. L’attuale composizione dell’Assemblea degli Esperti A sorpresa, nella nuova Assemblea degli Esperti, l’organo con il potere di rimuovere ed eleggere la Guida Suprema, non saranno presenti il presidente uscente Mohammad Yazdi e Mohammad Taghi Mesbah Yazdi, tra i più importanti sponsor dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. La Guida Suprema in persona, ricorda Abdolmohammadi, ha espresso la sua amarezza per l’esclusione di questi due ayatollah, esponenti di spicco del fronte ultraconservatore. Sarebbe tuttavia azzardato sostenere che le elezioni abbiano segnato una vittoria dei riformisti: in primo luogo perché la maggior parte di essi non ha potuto partecipare alla competizione elettorale, e inoltre perché “molti ayatollah ultraconservatori meno noti sono riusciti a ottenere un seggio”. La stessa “lista della speranza”, che alcuni media occidentali hanno etichettato come “moderata e riformista”, vede al suo interno candidati che hanno poco da spartire con il movimento politico riformista guidato dall’ex presidente Mohammad Khatami. Questo dimostra quanto sia necessario non leggere i risultati delle recenti elezioni attraverso i canoni della competizione politica del mondo occidentale, dove gli schieramenti sono ben definiti e aggregati intorno a partiti politici con, almeno in teoria, un chiaro orientamento. Al contrario, in Iran le distinzioni sono più sfumate, spesso sono importanti legami di tipo familiare e i politici possono passare da uno schieramento all’altro (esemplificativo il percorso dell’ex presidente Rafsanjani, che ha attraversato le diverse fasi politiche della Repubblica islamica riuscendo sempre a occupare posizioni di rilievo). La difesa del clero tradizionale sciita Pur prendendo i risultati elettorali con la dovuta cautela, secondo Abdolmohammadi “queste elezioni, che si sono svolte senza particolari brogli, hanno confermato la tendenza dell’elettorato iraniano a votare per il ‘meno peggio’, spostandosi verso il centro dell’arena politica”. Inoltre, il recente risultato elettorale mostra la scelta della Repubblica islamica di assumere “un orientamento politico complessivo più razionale e pragmatico”, che passa attraverso un “tentativo, seppur un po’ ritardatario, del clero tradizionale sciita di opporsi allo strapotere dei settori legati ai pasdaran (Guardiani della rivoluzione)”. Al tempo stesso però il risultato delle elezioni, sia parlamentari sia per l’Assemblea degli Esperti e al netto delle esclusioni illustri di cui si è detto, non può essere considerato una sconfitta per Khamenei. In primo luogo, la Guida suprema ha accolto il 62 per cento di affluenza come una rilegittimazione del regime e secondariamente, come ci dice Abdolmohammadi, questi risultati gli permettono di affermare che anche le elezioni del 2009 e del 2005 erano “pulite”, accusando esclusivamente il comportamento degli sconfitti di allora, come si può osservare anche dal tweet che segue. La nomina di Ebrahim Raeisi Il “sistema ibrido iraniano crea costantemente dei sosia”, dice Abdolmohammadi, e permette alla Guida suprema e all’establishment conservatore di controbilanciare la débâcle elettorale di alcuni suoi esponenti. È esemplificativa a questo proposito la nomina di Ebrahim Raeisi, vicino a Khamenei, alla guida della potentissima e ricchissima fondazione Astan Quds Razavi che gestisce il santuario dedicato all’Imam Reza a Mashhad, città natale dell’attuale Guida. Secondo Abdolmohammadi, la nomina di Raeisi al posto del defunto Vaez-Tabasi, vicino ai pragmatisti, va letta come il tentativo di Khamenei di portare la fondazione dalla parte di quel settore del clero legata strettamente ai Guardiani della rivoluzione. In grado di influire sulla scelta della prossima Guida, la nomina mostra “che i giochi per la successione di Khamenei, per cui c’è un’attesa a dire il vero esagerata, vanno ben oltre l’elezione dell’Assemblea degli Esperti”, dice Abdolmohammadi. Lo spazio per nuove proteste Quello che è sicuro è che “più i pragmatici e i moderati forzeranno la mano nel tentativo di riforma del sistema, più i pasdaran saranno aggressivi”, continuando a mostrare quell’alternanza tra cicli di apertura e chiusura che caratterizza la vita politica iraniana. In Iran è in atto “uno scontro tra élite che”, secondo Abolmohammadi, “potrebbe ricreare nel giro di almeno cinque anni lo spazio necessario per nuove manifestazioni di piazza”. 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