Autore: Alberto Fabio Ambrosio
Titolo: Vie d'un derviche tourneur. Doctrines et rituels du soufisme au XVIIe siècle
Editore: CNRS Éditions, Paris 2010

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:01

A differenza di altri lavori di ordine generale, questo libro ripercorre la storia della confraternita mevlevi nella capitale ottomana in un’epoca in cui le pratiche sufi diventano il bersaglio dei difensori dell’ortodossia musulmana e dei predicatori. Si tratta infatti di definire meglio l’esistenza che conducevano i membri di questa confraternita, di esporre le loro pratiche e le loro dottrine che «non erano elaborate al di fuori della vita concreta degli uomini e della società». La prima parte è consacrata a questo spazio-tempo – Istanbul, fine XVI-XVII secolo – quando i primi segni di declino dell’Impero ottomano innescano riforme sociali e religiose. I rappresentanti del puritanesimo socio-religioso attaccano le confraternite sufi e alcune loro pratiche, tentando in questo modo di ottenere l’appoggio delle più alte sfere del potere. Misure repressive colpiscono i luoghi di socialità più importanti, i khavehaneler, le case in cui si beve il caffè, chiuse perché associate alla degradazione dei costumi, e le tekke, i conventi dei dervisci. Le loro pratiche e i rituali come il zikr, la ripetizione del nome di Dio, e in misura ancora maggiore il sema, la danza sacra, sono irrisi e poi vietati. Il capitolo successivo ripercorre brevemente la storia dell’ordine mevlevi dall’epoca del suo ispiratore, Mevlana Celaleddin Rumi, e del suo fondatore, Sultan Veled, alla situazione in cui versa nella capitale ottomana nel XVII secolo. Per comprendere le ragioni per le quali l’ordine è oggetto di critica viene posto l’accento sulle sue specificità: l’attaccamento all’espressione poetica e alla calligrafia, che non costituirebbe un grave problema se non fosse che la “lingua madre” della confraternita è il persiano, ciò che può condurre ad accuse di sciismo. Ancora più delicato è l’insegnamento a valore iniziatico e spirituale della musica e della danza sacra. Il personaggio centrale del libro è Ismail Rüsuhi Ankaravi, shaykh del convento di Galata dal 1610 fino alla morte, nel 1631. Questo dignitario mevlevi, autore di numerosi testi eruditi e mistici, ha scritto un manuale per i sufi in cui sono esposti i principi e le consuetudini che regolano la vita di un derviscio mevlevi: sottomissione a un maestro spirituale, abbigliamento (con il simbolo della hirka, il mantello iniziatico), vita comunitaria, spirito di gruppo, peregrinazioni, pellegrinaggi, alimentazione. Il documento, alcuni estratti del quale sono tradotti e lungamente commentati, è tanto più prezioso in quanto è l’unico manuale completo dei dervisci rotanti ad oggi conosciuto. Due capitoli del volume sono consacrati alla danza sacra nella spiritualità mevlevi. L’autore, che per lungo tempo ha lavorato sulla storia di questa famosa danza, è particolarmente indicato a trattare nel dettaglio il tema. Lo shaykh di Galata, impegnato a non distinguere la Via sufi (tarikat) dalla Legge (sharî‘a), offre della danza sacra un’interpretazione simbolica: viaggio iniziatico, esteriorizzazione del flusso creatore, amore divino che provoca la tensione dell’universo verso l’Origine. Le istruzioni ai discepoli sono inequivocabili: se il derviscio non ha raggiunto l’estasi non deve muoversi e in nessun caso entrare nella danza. Quanto agli strumenti musicali, vengono trattati il ney, flauto di canna, e il kudüm, percussione a forma di doppio tamburo, mentre sono tralasciati gli strumenti a corda come il rebab i cui suoni lascivi si prestano alla critica. La lettura di queste codificazioni permette di misurare le tappe percorse rispetto a Rumi che, secondo gli agiografi, entrava in estasi in presenza di qualsiasi tipo di suono e musicalità. Ancora più lontani siamo dai racconti degli occidentali che, due secoli dopo, in questo stesso convento di Galata, in pieno cuore europeo di Istanbul, assisteranno allo “spettacolo” dei dervisci rotanti.