Un convegno tenutosi ad Algeri ha affrontato la questione della conversione di musulmani al Cristianesimo. Le riflessioni di Mons. Tessier, Arcivescovo emerito di Algeri.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:43:08

Forse per la prima volta nella storia del mondo arabo contemporaneo un’istituzione ufficiale di un Paese a maggioranza musulmana ha organizzato un convegno sulla libertà religiosa affrontando pubblicamente il problema delle conversioni di musulmani al cristianesimo. L’evento è accaduto in Algeria e vale la pena soffermarsi sul contesto in cui tale iniziativa si è sviluppata e svolta. Negli ultimi vent’anni in Algeria sono nati gruppi di convertiti dall’Islam, soprattutto nella regione berbera della Kabilia, per iniziativa di comunità evangeliche anglosassoni. Questi nuovi convertiti, fatto raro nei paesi arabo-musulmani, hanno reso pubblica la loro conversione. La stampa algerina, soprattutto quella arabofona, ha pubblicato molti articoli ostili, che rimproveravano allo stato algerino di permettere la diffusione di questi gruppi di fatto contro la stessa Costituzione algerina, che riconosce l’Islam come religione di Stato e lo pone sotto la protezione dei poteri pubblici. Per disciplinare il problema, dunque, le autorità algerine si sono viste come costrette a ricorrere a misure legali ad hoc: il 28 febbraio 2006 hanno adottato un decreto che, garantendo la libertà di culto, condanna tuttavia a severe pene detentive o pecuniarie le persone o i gruppi che incoraggino dei musulmani ad abbracciare un’altra religione. Sulla base di questo decreto e delle successive misure di applicazione (maggio 2007), alcune chiese aperte senza autorizzazione amministrativa sono state chiuse e diversi cristiani evangelici sono stati condannati a pena detentive per essere stati sorpresi con delle Bibbie o a riunire dei catecumeni. Queste condanne sono attualmente in appello. Anche un sacerdote cattolico è stato coinvolto per essere stato sorpreso a pregare con alcuni immigrati camerunesi clandestini che si riunivano in una foresta per sfuggire ai controlli della polizia. Tali provvedimenti sono stati ripresi da alcuni organi di stampa internazionale e stigmatizzati, in particolare dal rapporto annuale degli Stati Uniti sulla libertà religiosa. In tale contesto Ghoulamallah, Ministro algerino degli Affari Religiosi, ha organizzato il 10 e 11 febbraio scorso il convegno sul tema “L’esercizio del culto: un diritto garantito dalla religione e dalla legge”. Presso la Maison de l’Imam di Algeri, struttura dipendente dal Ministero degli Affari religiosi, i lavori si sono svolti sotto la presidenza del Ministro degli Affari religiosi e alla presenza del Presidente dell’Alto consiglio islamico, oltre che di una decina di Direttori di dipartimento degli Affari religiosi. A una ventina di professori di università musulmane interessate (giuristi, sociologi, storici, islamologi) sono stati affidati gli interventi di apertura, cui è seguito un ampio dibattito. Infatti sono stati invitati a portare un loro contributo i rappresentanti dei culti cristiani che contano attualmente delle comunità di fedeli in Algeria: i vescovi cattolici, il rappresentante della nunziatura, il vescovo anglicano del Cairo responsabile per il Maghreb, il presidente della Federazione delle Chiese Protestanti di Francia, il sovrintendente metodista residente in Svizzera, il pastore avventista di Algeri, i due rappresentanti algerini degli evangelici e un’autorità evangelica degli Stati Uniti. Tra costoro anche il cardinal Barbarin, arcivescovo di Lione, e alcuni rappresentanti degli Affari esteri di Germania, Francia, Stati Uniti e Palestina, incaricati di descrivere la situazione della libertà religiosa nel loro paese. Sulla libertà religiosa si sono alternati interventi sia in relazione agli strumenti giuridici internazionali che la disciplinano, sia a partire dalla storia dell’Islam o della legislazione algerina. L’arcivescovo di Algeri, Mons. Ghaleb Bader, ha presentato con decisione tutti i rilievi della Chiesa Cattolica circa le conseguenze del decreto del 2006 per la libertà dei culti diversi dall’Islam in Algeria. Il vescovo di Costantina ha richiamato pubblicamente la questione della libertà di coscienza dei musulmani che chiedono di diventare cristiani. Il pastore Baty, presidente della Federazione delle Chiese protestanti di Francia, ha chiesto che il dialogo interreligioso si apra al riconoscimento dell’impossibilità di imporre all’altro la propria religione. I responsabili evangelici o avventisti hanno parlato del diritto all’esistenza delle loro comunità senza tuttavia sottolineare esplicitamente che i loro fedeli erano convertiti venuti dall’Islam. Da segnalare che nel corso del convegno le relazioni interpersonali sono state improntate alla cortesia ed è stato lasciato uno spazio piuttosto ampio all’espressione dei non-musulmani presenti. Nelle comunicazioni presentate dai partecipanti musulmani, alcuni hanno esplicitamente richiamato il problema delle conversioni. Il professore Tahar Eddine Amar l’ha fatto presentando gli strumenti giuridici internazionali sulla libertà religiosa, in particolare commentando il testo dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che afferma che «il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione […] include la libertà di cambiare religione o credo». Il professor Mustapha Cherif, di Algeri, ha trattato esplicitamente il tema del proselitismo, ma soprattutto per definirne i limiti in una società islamica come la società algerina. Il professor Amar Rezki, direttore degli Affari giuridici del Ministero ha presentato l’insieme delle disposizioni giuridiche riguardanti i non-musulmani d’Algeria. Non si è arrivati a produrre un documento conclusivo alla fine del convegno, ma il ministro degli Affari religiosi ha avuto occasione, nel corso della settimana successiva, di presentare alla televisione algerina la posizione espressa dalle autorità musulmane presenti all’appuntamento. L’Islam e la legge algerina – ha dichiarato – riconoscono il diritto alla libertà di coscienza e di conseguenza alla libertà di scelta personale sul piano religioso. Ma lo stato algerino, che deve proteggere l’Islam, rifiuta che azioni organizzate di proselitismo siano messe in atto da parte di persone o gruppi sul territorio algerino. Sono state poche le riprese del convegno da parte della stampa algerina o internazionale. Da un lato in linea di principio il diritto per gli individui di abbracciare la religione che vogliono è stata affermato, dall’altro è stato ribadita la necessità che le autorità pubbliche algerine controllino e regolamentino le azioni di culto dei gruppi religiosi, musulmani o non musulmani. Il proselitismo dei gruppi religiosi non musulmani, cioè, resta vietato e punito per legge. Ma malgrado queste limitazioni resta degno di nota il fatto che davanti alle istanze ufficiali di una società islamica araba si sia potuto affrontare la questione della conversione, in presenza tra l’altro di responsabili evangelici algerini o di origine musulmana, ai quali tuttavia non è stata data la parola. In sintesi dunque questo convegno ha segnato un passo importante verso il riconoscimento, da parte delle autorità competenti, del diritto dei musulmani, in quanto individui, alla libertà di coscienza, in un paese in cui l’Islam è religione di Stato.