Meriem Senous

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:11

Jean-Jacques Pérennès , Georges Anawati, un chrétien égyptien devant le mystère de l'islam , Cerf, 2008. Nella sua nuova opera, Georges Anawati , un chrétien égyptien devant le mystère de l'islam , Jean-Jacques Pérennès ci offre il ritratto di un personaggio fuori dal comune, ricco di sfaccettature e di paradossi: egiziano di nascita e francofono per cultura, nato greco-ortodosso e convertito al cattolicesimo, arabo di tradizione ed europeo per educazione, Georges Anawati o Abouna Anawati, consacrò la sua vita di padre domenicano alla costruzione del dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani. Influenzato da maestri della statura di Massignon, si schierò per un dialogo fondato su basi solide e i cui principi essenziali fossero la conoscenza profonda dell'altro e un'amicizia gratuita e sincera. Eppure, le cose sarebbero potute andare diversamente: sembrava votato, dopo i brillanti studi in farmacia, ad una vita borghese già segnata, ma il Destino ed una personalità senza pari gli aprirono un'altra strada: la vocazione religiosa e la passione per l'islam. Ben presto la più grande ambizione del giovane domenicano si esprime in questi termini: «voglio essere un santo» o più modestamente «voglio essere un grande studioso cristiano». Dopo la sua ordinazione sacerdotale nel 1939, Anawati opta senza timore per « l'islam come vocazione » e decide di partire alla conquista dell'Altro. Così, proprio lui, l'orientale impastato di cultura occidentale, parte alla scoperta del suo patrimonio di origine e accumula titoli universitari: brillanti studi in lingua e cultura araba all'Università di Algeri, studi in teologia a Parigi. Quindi si dedica al duro compito di formarsi in quella cultura arabo-islamica che costituisce il suo primo passo nel cammino della riscoperta dell'altro Nel 1948, dopo la pubblicazione, in collaborazione con Louis Gardet, della sua opera principale, Introduction à la théologie musulmane , Anawati si impone in questo campo come un'autorità assoluta. Quest'opera capita nel momento migliore per «capire e comparare» senza compromessi né scappatoie. Il suo obiettivo dichiarato è «aprire nuovi campi di studio», creare degli spazi di dialogo ricco e sincero tra cristiani e musulmani. E quale miglior spazio di dialogo se non l'IDEO, fondato al Cairo nel 1954 con altri confratelli domenicani e la cui ambizione non è niente meno che «lo studio scientifico della civiltà orientali dall'antichità ai giorni nostri nei loro aspetti filosofico e religioso»? O, detto in altri termini, stabilire con il mondo arabo-islamico una relazione di riconoscenza, di rispetto e quindi di fiducia. Nel 1963, durante il Concilio Vaticano II, Abouna Anawati fu attore essenziale e dinamico nella difesa della causa del dialogo islamo-cristiano, oltre che intermediario prezioso e incessantemente dedito alla concretizzazione della volontà della Chiesa cattolica di adottare e promuovere un nuovo approccio verso il grande sconosciuto che era l'islam. Il suo duro lavoro fu coronato da successo e si tradusse concretamente nella dichiarazione finale Nostra Aetate , che valorizza le religioni non cristiane e costituì un passo considerevole verso l'apertura all'islam, dichiarando che «queste religioni rendono culto a Dio attraverso sinceri atti di pietà, e le loro convinzioni stanno alla base della loro vita morale e sociale». Questa vittoria gli valse l'ammirazione e la simpatia di numerose personalità di spessore, sia cristiane sia musulmane. Attraverso le sue numerose opere, la sua traduzione in arabo del De Anima di Aristotele e quelle dall'arabo di Avicenna, Averroè e Al-Ghazali, egli contribuì a rivalorizzare incessantemente il patrimonio letterario e scientifico arabo e a mettere in luce l'apporto della civiltà arabo-islamica alla civiltà occidentale. Fatti che contribuirono a farne una figura emblematica riconosciuta, ammirata e rispettata dai suoi innumerevoli amici cristiani e soprattutto musulmani. Egli dichiara apertamente la sua intenzione di andare «alla conquista dell'islam » grazie ad «uno studio per sé dell'islam » al fine di svelarne «il senso ed il significato», tutto questo attraverso un giudizio obiettivo e senza compromessi. Tanto che ne l'islam à la croisée des chemins , egli non teme di invocare la necessità di un rinnovamento della religione islamica perché si adatti alle esigenze del mondo moderno. Abouna Anawati poté anche vantare una carriera universitaria internazionale prestigiosa: Professore di Storia delle Scienze arabe alla Facoltà di Farmacia di Alessandria, tiene anche un corso di filosofia araba medievale all'Università di Montréal e per dieci anni dispensa un corso sullo stesso tema alla prestigiosa università californiana UCLA, per non citarne che alcune. Durante la sua vita partecipa a tutte le conferenze internazionali che trattano della cultura, della storia della civiltà arabo-islamica, del dialogo interreligioso; allo stesso tempo è membro di prestigiose società di studio a vocazione orientalista. Egli approfitta inoltre dei suoi numerosi viaggi per allargare la sua trama di relazioni professionali e d'amicizia e fare in modo di tessere, far fruttare e arricchire i suoi rapporti umani. Lascia in eredità delle opere di riferimento sulla filosofia araba medievale e sulla storia delle scienze arabe, frutto di un lavoro ostinato e di ricerche appassionate. Tuttavia, il compito di Abouna Anawati non è stato sempre agevole; a macchiare questo quadro idilliaco subentra una delusione che si nutrì tanto di un rifiuto testardo da parte di certi interlocutori musulmani reticenti e resistenti verso qualsiasi apertura, quanto la paura istintiva di certi ambienti cristiani che non smisero di obiettare che il dialogo islamo-cristiano non era nient'altro che una chimera incoraggiata da degli ingenui troppo ottimisti e non realisti. Ma, fedele a se stesso e al suo motto «essere un uomo significa non scoraggiarsi mai e poi mai», Abouna Anawati ha vissuto la sua passione come un sacerdozio: continuamente, fedelmente e sinceramente perché «per conoscere l'altro occorre essere suo ospite», mentre la sua vita e la sua opera hanno contribuito e possono ancora contribuire ad aprire nuove vie verso l'avvicinamento e il dialogo tra le due rive, così da gettare dei ponti che evitino di costruire dei muri. Attraverso la biografia di Abouna Anawati, l'autore traccia anche la storia degli istituti cattolici attraverso il mondo arabo e dipinge un'immagine importante della storia intellettuale e politica dell'Egitto, paradossalmente più aperto a quei tempi di quanto non lo sia oggi. Alla fine del libro, emerge chiaramente che non si tratta di una riesumazione archeologica di un passato lontano, ma al contrario di una esortazione a vivere nel nostro tempo presente lo stesso spirito che animò padre Anawati.