Autore: Malek Chebel
Titolo: L'Islam et la Raison
Editore: Stock, Paris, 2006

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:55

Malek Chebel si è fatto conoscere per alcuni studi sul simbolismo e sull'erotismo nell'Islam. Il suo recente saggio, L'Islam et la Raison, appartiene contemporaneamente alla filosofia, al pensiero politico e alle scienze religiose, forse anche alla religione. La sua impostazione, pratica e sintetica, farebbe escludere che possa trattarsi di un'opera di erudizione. Di fatto il testo propriamente detto conta centocinquanta pagine. Ma la forza dei libri non si misura a seconda del loro peso. Le tesi dell'autore sono le seguenti: 1. Occorre una riforma dell'Islam; 2. Una tale riforma non sarebbe né una rivoluzione, né un tradimento perché essa ricondurrebbe l'Islam alle sue fonti e lascerebbe esprimersi certe potenzialità, fino ad ora bloccate; 3. Questa riforma è possibile perché si sono già viste nella storia due brevi realizzazioni e le potenzialità di riforma si sono già espresse nella realtà, anche se in modo marginale. Questo Islam riformato, realizzabile in quanto in parte realizzato, resta sempre possibile. Il libro di Chebel vuole contribuire a una tale riforma riconducendo l'Islam alla sua «epoca d'oro» dell'undicesimo secolo e, anche, verso «il pensiero luminoso degli inizi» (p. 17). I diversi capitoli mirano dunque a far conoscere al lettore gli elementi e gli avvenimenti della storia della civiltà musulmana portatori di un alto potenziale riformatore: la scuola mu'tazilita (cap. 2), la controversia teologica (cap. 3), i Fratelli della Purità (Ikhwan as-Safa, cap. 4), la politica della tolleranza cordovana (cap. 5), la mistica del Sufismo (cap. 6), la fioritura di sapienti nei primi secoli (cap. 8). Questa interessante galleria dà su due sale più profonde, dove l'autore propone dei ritratti dell'homo islamicus tradizionale (cap. 7) o contemporaneo (cap. 9 e conclusione). Fin dall'inizio, e non solamente al giorno d'oggi, svariate direzioni teologiche e politiche erano possibili. Il ragionamento dell'autore, implicito ma costante, è che il dispotismo e la violenza hanno considerevolmente influito sulla formazione dell'identità politica e teologica dell'Islam. L'intero divenire teologico si trova relativizzato. L'Islam genuino è forse ancora da inventare, o da reinventare, tenuto conto della legittimità religiosa di altre opinioni, più liberali, che sarebbero state scartate solo con la forza. L'autore insiste talmente nella sua critica da far sorgere dei dubbi circa la sua impresa e numerose domande. Non verrebbe da pensare che la riforma che egli invoca sarebbe in realtà una rivoluzione, che darebbe il potere a tutti quelli che la tradizione ha scartato, senza tanti riguardi, da mille anni a questa parte? Una tradizione così stabilmente radicata può forse non esprimere una struttura spirituale tanto profonda quanto forte? Si può forse lasciarla da parte e pretendere poi di conservare l'identità sostanziale di questa religione? Che significa ritornare alle fonti? La tesi secondo la quale il Corano creato è la copia conforme del Corano increato costituisce per l'autore il chiavistello teologico fondamentale che esclude ogni specie di studio storico del Corano, di archeologia, epigrafia, paleografia, ricerca delle fonti, critica del testo, etc. La difficoltà, di cui però non si parla, è che la tesi del Corano increato si trova nel Corano stesso (sura 35, 31). Il punto di vista del dialogo islamo-cristiano, o del dialogo giudeo-islamico, è poco presente in questo saggio, concentrato soprattutto sul tentativo, richiesto a priori, di far collimare l'Islam con il liberalismo dei lumi. Il dialogo interreligioso non è per l'autore il punto essenziale della questione; tuttavia gioverebbe a porre più chiaramente la questione della verità, prendendo con la massima serietà il carattere propriamente religioso del problema, perché, dopo tutto, l'unica buona ragione per riformare l'Islam, se riforma dovesse esserci, non potrebbe essere una ragione esclusivamente economica o politica.