Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:48

Non si era mai visto niente di simile da quando la Tunisia è la Tunisia, e la Libia è la Libia. La Tunisia non si era ancora ripresa dal suo tsunami politico e sociale quando la vicina Libia è precipitata in una rivolta armata che nessuno aveva previsto. Ed essendo presenti nel paese milioni (si parla di tre milioni) di stranieri che lavorano in tutti i settori, si è verificato un esodo di massa verso la Tunisia e l’Egitto. Tra le 250.000 e le 300.000 persone hanno attraversato la frontiera libico-tunisina. Erano di tutte le nazionalità: egiziani, tunisini, africani subsahariani, bengalesi, pachistani, eritrei, somali, cinesi, indiani. I paesi meno poveri hanno potuto organizzare il rimpatrio dei loro cittadini, altri aspettano da tre mesi: sono soprattutto nigeriani, somali ed eritrei. Abbiamo assistito a scene grandiose di solidarietà e di accoglienza. All’inizio l’accoglienza era spontanea: gli abitanti dei villaggi vicini alla frontiera portavano da bere e da mangiare.In seguito sono arrivate le ONG, e tra queste la Caritas della Tunisia, della Francia, del Canada, del Libano. Si sono aggiunte la Croce Rossa e la Mezzaluna rossa della Tunisia, del Qatar e degli emirati e alla fine ci sono state tende per tutti e la frontiera libico-tunisina è diventata luogo di transito per coloro che rientrano nel proprio paese e luogo di residenza per coloro che attendono che la tempesta passi per tornare a lavorare in Libia come prima. La Chiesa di Tunisia ha inviato già nei primi giorni un prete e tre suore per aiutare i rifugiati. Capitava che le suore preparassero, con altre volontarie, i pasti per 10 000 persone ogni giorno. Nella diocesi abbiamo un prete nigeriano che visita regolarmente i campi, ha anche celebrato la messa di Pasqua in una grande tenda che gli eritrei avevano trasformato in cappella. Più di 150 persone hanno assistito alla messa. Caritas Tunisia ha presentato un progetto d’urgenza alla Caritas italiana e alla CEI. Sono arrivati dei sussidi e questo ci permette di fare fronte alle spese necessarie per il prete e le suore. Resta il problema principale: quanto durerà tutto ciò? La situazione militare si è impantanata, lo scontro tra i ribelli e le truppe di Gheddafi continua, i bombardamenti della Nato non riescono a chiudere la partita. Si vive nell’incertezza più assoluta. Alla frontiera la situazione, secondo quanto riferiscono le suore sul posto, si presenta come segue: una massa tra i 4000 e i 5000 rifugiati africani o asiatici aspettano giorni migliori per ritornare nei paesi d’origine o in Libia. Ma ci sono anche migliaia di libici fuggiti dalla guerra. Questi libici sono di tre tipi: gente benestante che ha attraversato la frontiera e ha raggiunto l’Europa attraverso l’aeroporto di Djerba; libici che hanno parenti nel sud tunisino che li hanno accolti nelle loro case e infine un terzo gruppo (si parla già di 50.000 persone) che è alloggiato nei campi, o nelle sistemazioni che la città di Tatauine ha offerto gratuitamente, o nelle tende. Il Ministero dell’istruzione ha ordinato alle scuole del sud tunisino di integrare i bambini libici nelle scuole dei vari governatorati. Tutto questo avveniva mentre alcune migliaia di tunisini arrivavano a Lampedusa, con tutti i problemi da ciò derivanti. Non parlo degli aspetti giuridici o politici del fenomeno, non è di mia competenza. Parlo della dimensione umana. Sono giovani disoccupati (la disoccupazione prima della rivoluzione toccava il 19%. Il turismo dava lavoro a 450 000 giovani che si sono ritrovati da un giorno all’altro disoccupati, il controllo alle frontiere si era indebolito a causa della situazione politica e dei problemi di sicurezza delle grandi città. Provo a ragionare come farebbe un tunisino: 20 000 tunisini sono arrivati in un’Europa forse in crisi, ma lo stesso ricca, e vengono accolti con fastidio mentre più di 200 000 stranieri (dieci volte tanto) sono arrivati in una Tunisia non ricca quanto l’Europa, ma soprattutto appena uscita da una grave crisi politica, e i tunisini li hanno ricevuti a braccia aperte, hanno offerto le loro case, le loro scuole, e hanno diviso con loro il pane quotidiano. Il che, visto dalla sponda meridionale del Mediterraneo, dove l’ospitalità è un valore e un dovere, è incomprensibile…. semplicemente.