Una conversazione a tutto campo con uno degli editorialisti di punta della Turchia, Mustafa Akyol, permette di toccare le questioni più brucianti nel Paese: il conflitto tra il partito AKP e il movimento Hizmet, le fatiche di una democrazia in fieri, le specificità dell’Islam turco e il rapporto con la sharî‘a.
Conversazione con Mustafa Akyol, a cura di Martino Diez e Maria Laura Conte.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:12

Martino Diez: una ricerca condotta alcuni anni fa in Turchia da Hakan Yavuz sintetizzava la visione che i turchi hanno della religione nel loro Stato nei termini seguenti: in Turchia l’Islam esiste senza la legge islamica, la sharî‘a. Alcune persone intervistate affermavano che negli altri Stati musulmani potrebbe esistere una sharî‘a senza Islam. Come vede la relazione tra l’Islam e la Legge? Mustafa Akyol: dovremmo riconsiderare la legge islamica. In Turchia la sharî‘a non è applicata perciò a noi non crea particolari problemi. Però è vero che là dove essa è applicata necessiterebbe di una revisione e riforma, soprattutto in materia di libertà. Solo attraverso la libertà si può avere una religiosità genuina e sentita. L’esempio che riporto sempre è l’Arabia Saudita. Quando vado là, tutte le donne sono completamente coperte. Ma quando salgono su un aereo e vengono in Turchia, la metà di queste riduce gli abiti a minigonne ancor prima di lasciare l’aeroporto. L’unica cosa che possiamo fare è proporre l’Islam e condividerlo, ma non possiamo imporre la nostra religione. Se lo imponiamo feriamo le persone, creando ipocrisia e presentando l’Islam come una religione autoritaria. Io ritengo che facciamo un errore se consideriamo la tensione politica tra Medio Oriente e Occidente, tra al-Qa’ida e altri gruppi, come un conflitto tra l’Islam e l’Occidente cristiano. È un movimento politico contro una realtà politica. Gruppi come al-Qa’ida sono esistiti anche sotto il comunismo. Hamas in Palestina è ora un movimento islamico ma prima di questo ne sono esistiti altri, tutti impegnati nella questione politica e territoriale. Ma non dovremmo considerare tutto sotto l’egida della religione, nonostante gli attori possano talvolta ricorrere alla retorica religiosa. È una cosa che contribuisce a disinnescare la tensione tra l’Oriente e l’Occidente. Credo inoltre che vi sia da entrambi le parti la sensazione di essere minacciati. Ho visto diverse pubblicazioni in merito a un attacco da parte islamica alla civiltà occidentale in cui si diceva che “dobbiamo proteggerci da questo attacco”. La cosa curiosa è che in Medio Oriente è diffusa esattamente la stessa idea: l’Occidente ci sta attaccando occupando i nostri Paesi, sostenendo Israele e le dittature. Perciò, la sensazione di assedio e di timore è presente da ambedue le parti. Di conseguenza quando parlo con le due parti dico sempre che non è così semplice come pensiamo. Invito spesso i musulmani a considerare ciò che sta succedendo al Cristianesimo in alcune parti del mondo dove molte persone vengono uccise. Saremmo felici se la situazione fosse ribaltata? Abbiamo dei problemi che dobbiamo riconoscere, ma anche l’Occidente deve riconoscere le sue colpe. Ripongo molta fiducia nel dialogo interreligioso, ma non amo i “discorsi sdolcinati”, del tipo “vogliamoci tutti bene”. Nonostante tutto ciò sia molto bello, dev’esserci anche un dialogo sincero in merito alle questioni politico-religiose, al terrorismo e ad altri temi. Maria Laura Conte: Steven Cook in Foreign Affairs usa il termine “miraggio” per definire la democrazia turca. Individua infatti due grandi ostacoli: la frammentazione dei partiti politici e la mancanza di convergenza tra islamisti e laici. La democrazia in Turchia è davvero un miraggio? Mustafa Akyol: è un work in progress, abbiamo attraversato diverse fasi, ma attualmente viviamo una crisi politica. Negli ultimi decenni abbiamo compiuto progressi in alcuni ambiti, per esempio, nei diritti umani. Il sistema di polizia ha fatto progressi e sia alla comunità curda che ai cristiani sono stati riconosciuti maggiori diritti. Molti di questi miglioramenti hanno avuto luogo grazie al processo di adesione all’Unione Europea. Negli ultimi anni però ci sono stati più motivi di preoccupazione. In primo luogo il Governo ha mostrato più interesse nel consolidamento del proprio potere piuttosto che nelle riforme e alcune di queste sono state realizzate solo in seguito alle tensioni tra l’esercito e l’AKP di Erdoğan. Ma dopo la sconfitta dell’esercito, l’AKP ha iniziato a mostrare sempre meno interesse per il programma di riforme, tendendo all’autoritarismo di Stato. Erdoğan ha fatto ricorso a un linguaggio politico che ha creato dissenso e ha intimidito gli oppositori politici. Ha accusato le persone di tradire il Paese, ciò che ha reso l’opposizione sempre più timorosa e arrabbiata. In un certo senso siamo una democrazia, ma quando si tratta di certezza del diritto, di diritto civile e di libertà dei media abbiamo ancora molte difficoltà. L’AKP di Erdoğan in passato è stato capace di migliorare la situazione, ma ora non lo è più. Ha fatto un buon lavoro, poi è stato intossicato dal potere. Analogamente anche il movimento di Gülen merita alcune critiche perché si è troppo politicizzato. È un movimento religioso che insegna la tolleranza e la moralità. In Turchia, dopo essere stato un grande sostenitore di Erdoğan, ne è diventato un acerrimo rivale. Io ritengo che questo suo impegno politico sia negativo per il movimento Gülen che possiede un’ottima rete di scuole, ONG ed enti caritativi in tutto il mondo. Se fino a oggi ci sono state delle tensioni tra il pensiero laico e conservatore, ora abbiamo due campi entrambi conservatori che si combattono l’un l’altro attraverso i media e i social network. Questo è un conflitto molto particolare, nel quale ritengo sia sbagliato prendere una delle parti. Dobbiamo guardarlo con obiettività. È una situazione molto negativa per la Turchia perché uccide la fiducia nelle istituzioni dello Stato. Maria Laura Conte: pensa che Erdoğan abbia buone possibilità di vincere le prossime elezioni presidenziali? Qual è il suo nuovo progetto politico? Mustafa Akyol: nessuno sa che cosa accadrà. Potrebbe candidarsi alla presidenza nell’estate. Se dovesse vincere la presidenza, noi ci troveremmo davanti a due opzioni. La prima è che Abdullah Gül diventi Primo Ministro, la seconda è che Erdoğan diventi più potente e una volta alla presidenza scelga come Primo Ministro una persona fedele. Nel caso in cui Erdoğan non sia sicuro di vincere le elezioni presidenziali potrebbe decidere di mantenere la carica di Primo Ministro senza candidarsi alla presidenza. Il progetto di Erdoğan è governare la Turchia fino almeno al 2024. Se la prossima estate dovesse essere eletto presidente, potrebbe essere rieletto per due mandati, 5 anni più 5, cosa che gli consentirebbe di restare in carica appunto fino al 2024. Quanto più aumenta il potere di Erdoğan, tanto più forte è la reazione contro di lui. L’ala laica sta reagendo – e Gezi Park lo ha dimostrato – e trai conservatori anche il movimento Gülen sta protestando. Qual è la reazione di Erdoğan? Accusa il mondo esterno, l’Occidente, e chiama in causa la teoria della cospirazione per spiegare la ragione di questa feroce opposizione. Tutto ciò sta innescando una forte reazione, cosa che rende Erdoğan sempre più arrabbiato, mentre i gruppi di opposizione diventano sempre più nemici giurati nei suoi confronti. Questa polarizzazione non è sana. Ciò che noi come turchi dovremmo capire è che la democrazia non funziona solo quando ci sono le elezioni, ma quando c’è una cultura del consenso, una cultura del dialogo piuttosto che dispute e discussioni continue. È necessaria una cultura del soft power, ma è molto difficile da ottenere. In questo momento Erdoğan è concentrato sulla vittoria elettorale. Vinte le elezioni può fare ciò che vuole. Tutto ciò ha innescato una serie di reazioni che hanno un impatto terribile sull’economia, per esempio sul turismo. Quanto sta accadendo oggi è molto nocivo perché rischia di trasformarsi in una guerra intra-statale dal momento che i pubblici ministeri vogliono arrestare il figlio di Erdoğan. Erdoğan crede che i pubblici ministeri siano spie. Come possono i cittadini scegliere in chi riporre la loro fiducia – nel Primo Ministro o nella magistratura – se entrambi accusano l’altra parte di essere il diavolo? Maria Laura Conte: in questa situazione quale ruolo svolgono i media? Mustafa Akyol: la stampa non è molto d’aiuto perché è divisa tra quanti sostengono incondizionatamente Erdoğan e quanti sostengono incondizionatamente Gülen. Hürriyet è il gruppo di Doğan, la corrente laica. Nel 2008, in seguito a una disputa con Erdoğan, è stato sottoposto a un controllo fiscale e ha ricevuto una multa di 3 miliardi. Il fatto è che la stampa è di proprietà di uomini d’affari. Ciò significa che se fai arrabbiare Erdoğan, lui può interferire nei tuoi affari. Per esempio, potresti vederti rifiutare un contratto statale che in condizioni normali avresti ottenuto, o potresti subire dei controlli da parte dei commissari. Perciò i capi cercano di andare d’accordo con Erdoğan. Vi sono naturalmente alcuni capi schierati apertamente contro Erdoğan. I giornalisti in prigione non sono contro Erdoğan, ma sono stati arrestati per aver offerto il loro sostegno al PKK. Buona parte di questi sono curdi o marxisti-leninisti. Non finisci in prigione per aver criticato il governo, ma potresti perdere il lavoro, a meno che non lavori per un piccolo sito o un blog. Questo crea timore, ma Zaman non si lascia intimorire. Vi sono aree di influenza. Se ti trovi in un’area sotto l’influenza dell’AKP devi stare attento. Se invece scrivi su Sozcu, giornale che critica apertamente Erdoğan, non hai bisogno di prestare attenzione. Martino Diez: c’è stato qualche avvenimento in particolare che ha provocato un cambiamento nella politica di Erdoğan e nel suo atteggiamento politico? Mustafa Akyol: è accaduto lentamente, lui ha sempre avuto una personalità autoritaria. Quando è arrivato al potere ha dovuto trovare un equilibrio tra tutti gli aspetti di cui si occupava: il potere militare, il bisogno di dar prova di sé al mondo, le riforme per l’Unione Europea. Quanto più aveva successo e acquisiva fiducia in se stesso, tanto meno si faceva scrupoli, il suo linguaggio autoritario diventava sempre più evidente, e l’opposizione diventava sempre più dura. Erdoğan dal canto suo ha acquisito una sempre maggiore retorica autoritaria, e non bisogna dimenticare che molti lo amano proprio per questo. C’è uno slogan famoso dedicato a Erdoğan che dice: “Rimani forte, non arretrare di un passo”. È anche una questione di cultura politica, che ama questi leader forti e minacciosi. Purtroppo fa parte della nostra cultura politica. Maria Laura Conte: un partito islamico in carica può riuscire a incidere al punto da cambiare una società o trasformare il senso religioso delle persone? Mustafa Akyol: il problema di Erdoğan è il suo carattere autoritario e sprezzante, non il fatto di essere musulmano. L’AKP svolge un ruolo effettivo nel rendere la società più islamica anche se questo non è l’unica fonte di tensione. Erdoğan mira a imporre alla società turca degli standard conservativi, costruendo moschee ovunque e imponendo la sharî‘a in Turchia, cosa che è inammissibile. Pensa di riuscire a cambiare l’atteggiamento della gente verso la religione introducendo più Corano nelle scuole e insegnando la vita del profeta Muhammad. Ma questo non accadrà. È vero che le persone religiose stanno acquisendo sempre più potere e questo crea un’ondata di secolarizzazione. La parte religiosa della società si sta modernizzando, si vedono per esempio ragazze che indossano il velo e allo stesso tempo jeans alla moda, e molti uomini d’affari. Dall’altro lato i laici stanno opponendo resistenza a Erdoğan e diventano sempre più laici perché disprezzano il religioso. Non mi aspetto che la Turchia diventi come l’Iran. Spero solo che non diventeremo come la Russia, con una leadership politica super-autoritaria. Il vero problema è la lotta per il potere. Martino Diez: in Arabia Saudita si vedono grandi centri commerciali come in Occidente, ma all’interno si sente ancora la chiamata alla preghiera. Crede che questo sia un segno di una vera e propria forma di religione? Mustafa Akyol: l’Islam non ha problemi con il consumismo. Il criterio etico a cui fanno riferimento la maggior parte delle persone è stabilire che cosa è islamico e che cosa non lo è, che cosa è lecito e che cosa non lo è. In Arabia Saudita e negli Emirati c’è molto Islam e molto consumismo. Nonostante tra gli intellettuali musulmani siano piuttosto diffuse le riflessioni sul consumismo, essi tendono a guardarlo attraverso la lente dell’halâl/harâm, lecito/proibito. Invece i musulmani, i cristiani e gli ebrei dovrebbero criticare dal punto di vista etico il consumismo. Non dimentichiamo che le società islamiche sono per lo più società povere. Vedono la ricchezza e ne sono affascinate, ma c’è anche un nuovo tipo di ricchezza. Io sono favorevole al progresso economico e alla ricchezza, ma credo anche che dovremmo pensare a come dovrebbe essere distribuita. La Turchia dovrebbe pensarci e stanno effettivamente emergendo molte critiche del consumismo islamico. Ma al momento la questione più importante è la tensione politica ed è su questa che dobbiamo concentrare la nostra attenzione.