La tradizione cristiana /1. È il mistero di Gesù all’opera nel tempo, visto nella sua totalità, e che si dispiega in diversi luoghi di realizzazione: l’insegnamento, la vita, il culto e l’evangelizzazione. Tutti questi ambiti riguardano l’uomo nella sua evoluzione storica.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:56

In certe epoche più che in altre è arduo affrontare un argomento come tradizione e rinnovamento, nel quale correnti di pensiero diverse sembrano venire a confronto, le une più convinte delle altre di essere nel vero. Non esiste allora per il credente che si vuole teologo e pastore altro atteggiamento che il coraggio di rivisitare le fonti della nostra fede – quindi la tradizione della Chiesa – per discernervi la forza del rinnovamento sempre capace di fecondare la situazione e la vita degli uomini di questo tempo, desiderosi di credere in Cristo seguendolo più da vicino. Questo spiega il nostro piano, che in fondo scaturisce, più di ogni altro argomento, dalla natura specifica dell’oggetto di studio. Sarà bene in un primo tempo vedere cos’è la tradizione in ambito cristiano. In seguito si potrà naturalmente far emergere la sua forza fecondante nel quadro di diverse situazioni di vita dei credenti o nel lavoro dell’inculturazione. Attraverso questa apparente divagazione – che, di fatto, è solo un’applicazione della natura della tradizione alla realtà odierna – vedremo meglio che la tradizione cristiana possiede in sé una forza di discernimento per “organizzare” i rinnovamenti in maniera tale che i credenti restino moralmente e intellettualmente liberi per Gesù Cristo. Così, per la forza della tradizione vivente, il Vangelo viene preservato da tutte le iniziative di fagocitazione culturale attraverso le quali “il mondo” vorrebbe neutralizzarlo. Nel senso forte del termine, la Tradizione, in ambito cristiano, significa il mistero di Cristo all’opera nel tempo, visto nella sua totalità. Intesa in questo modo, la Tradizione si dispiega in diversi luoghi di realizzazione: l’insegnamento, la vita cristiana, il culto e l’evangelizzazione. E, in particolare, si può parlare di Tradizione vivente poiché questi ambiti riguardano l’uomo inscritto nell’evoluzione storica. La Tradizione non perpetua solo la fede e l’insegnamento trasmesso, ma anche tutto ciò che è vissuto nel servizio di Dio e nella vita della Chiesa, un vissuto spesso difficile da tradurre in parole. Questa modalità storico-teologica di considerare la Tradizione può radicarsi nel concetto di storia della salvezza. Si intuisce che in questa definizione della Tradizione considerata come globalità della vita della Chiesa e della sua fede, la Scrittura trova piena collocazione. Grazie all’intervento di diversi Padri del Vaticano II, la Chiesa cattolica comprende oggi meglio che la Scrittura è il criterio di qualsiasi incessante “critica” della Tradizione. Con Dei Verbum, la Chiesa è entrata in una nuova era della teologia. Ma occorre considerare che il Concilio mostra che la Tradizione oggettiva della Scrittura è resa viva e dinamica dalla Tradizione orale e vivente della Comunità della Chiesa. Già a questo livello di riflessione si può cogliere come la Tradizione, in ambito cristiano, non possa mai essere percepita come un fenomeno di pura e semplice ripetizione sterile. La Scrittura da una parte, e soprattutto lo Spirito dall’altra, la cui azione consiste nell’animare la Chiesa, ci permettono di parlare di un periodo iniziale che resta un riferimento per tutti i cristiani. Può sembrare sorprendente che la teologia accordi un’importanza capitale a una sequenza del tempo storico, il periodo iniziale, al punto da renderlo un riferimento per tutte le fasi dello svolgimento della storia della Chiesa. Ora, è esattamente qui che risiede l’espressione dell’originalità della Tradizione-Mistero di Cristo e della sua potenza fecondante. Infatti, dire che la rivelazione ha conosciuto un tempo costitutivo assolutamente insuperabile non significa evidentemente ignorare la dimensione escatologica inscritta nella Rivelazione. Ma questa comoda espressione mostra che la Rivelazione – il Verbo di Dio – è entrato nelle forme di trasmissione lasciategli dalla storia. Vi è dunque un periodo preciso in cui la Rivelazione diventa Tradizione per restare accessibile nello svolgimento della storia. C’è quindi un’analogia naturale tra l’Incarnazione del Verbo nel seno della Santissima Vergine Maria e il passaggio o l’entrata della Rivelazione nella matrice della Tradizione. È per questa ragione che la fede cristiana rende tale onore alla dignità della storia e alla categoria della storicità. Ora, ammettere che un periodo iniziale rimanga assolutamente referenziale ha un doppio significato, a prima vista paradossale. Da una parte, il testo materiale della Scrittura è la norma alla quale non ci si potrà mai sottrarre. È la tradizione apostolica messa per iscritto. Vi è dunque una necessità intrinseca di accogliere la testimonianza di coloro che hanno creduto prima di noi in ragione della natura del legame tra lo Spirito Santo e Cristo. Tutte le azioni di Cristo nel corso della sua storia sono significative per coloro che restano attualmente nello Spirito. D’altra parte, il ruolo insostituibile dello Spirito in relazione alla Tradizione rende possibili rinnovamenti da passare appunto al vaglio della Rivelazione così come essa si è manifestata nelle Scritture. Detto altrimenti, il riconoscimento di un periodo iniziale di riferimento significa anche che ogni situazione umana è suscettibile di essere coinvolta nell’annuncio del Vangelo, poiché lo Spirito Santo ha posto gli eschata nella storia. Possiamo dunque affermare che il legame che la Chiesa intrattiene con il suo passato non è innanzitutto di natura storica, ma “teologica” – altrimenti non potrebbe esserci una “missione” in grado di assumere le situazioni inedite. Questo ruolo è stato spesso descritto come capace di aprire un futuro alla Chiesa. Con il titolo di realismo missionario, esso stesso fondato sulla fede nell’azione dello Spirito Santo e sulla natura del suo legame con Cristo, le nozioni di esperienza, di situazione, trovano diritto di cittadinanza nel pensiero e nell’azione della Chiesa. Potenza Fecondante Non è necessario spendere troppo tempo a esplicitare la nozione chiave di interpretazione, dal momento che la teologia della Tradizione così come l’abbiamo rapidamente tratteggiata mostra che la teologia vive sempre di un’anteriorità che è quella della storia del cristianesimo. È per questo che essa è un’ermeneutica. È chiaro che approfondendo l’azione della Tradizione come interpretazione la si percepisce meglio nella sua azione dinamica di rinnovamento: la Tradizione-interpretazione produce un senso che entra naturalmente nella futura vita ermeneutica della comunità credente. E, evidentemente, la questione della Chiesa e dei suoi organi di trasmissione risulta rinnovata da una tale visione della Tradizione. Il magistero, inserito in una comunità credente, è il testimone privilegiato della Parola che si incarna in ogni situazione data. Il ruolo del magistero, visto come agente nella storia della comunità confessante, appare l’organo deputato a far entrare ogni data situazione storica dei credenti – per ragioni teologiche di fondo – nell’atto interpretativo che vuole raccogliere le risonanze della Parola hic et nunc. Si percepisce facilmente che il ruolo insostituibile del magistero si basa sull’incessante lavoro della Tradizione sulla Tradizione, che continuamente si inscrive nelle nuove situazioni o nelle nuove culture. La necessità di un magistero di vigilanza si spiega dunque per il fatto che è proprio la Rivelazione a essere diventata, durante il periodo referenziale, Tradizione. Per dirlo in altro modo, è la dimensione escatologica che spiega la necessità di un tale magistero, del tutto proprio alla Chiesa cattolica. Ma precisamente la necessità teologica forte che spiega la ragion d’essere di questo magistero di vigilanza escatologica è anche ciò che fonda i diversi rinnovamenti dell’espressione della Tradizione o la sua potenza fecondante di ogni cultura o situazione e il potere di assimilazione della Tradizione. Le situazioni di vita della comunità confessante, le nuove culture in cui il Vangelo annunciato penetra, gli apporti estetici, emotivi e intellettuali, le obiezioni scientifiche e le tensioni politico-economiche sono altrettanti eventi della storicità che, più che frenare la Tradizione vivente, la stimolano e mettono in opera, attraverso l’azione dello Spirito, il criterio della Tradizione apostolica messo per iscritto e vissuto e interpretato dalla comunità credente, con i suoi modi e organi. Occorre trattenere che la nozione così stupefacente di esperienza cristiana implica proprio il rinnovamento (della vita cristiana) come inscritto costitutivamente nella realtà della Tradizione. Infatti, la nozione di esperienza cristiana implica che la Tradizione non sia solo pura ripetizione di ciò che è già stato insegnato. Ogni volta che la realtà umana degli ascoltatori nella loro situazione di vita non è presa in considerazione, la Tradizione viene di fatto abbandonata, anche se le parole confessanti sono pronunciate esteriormente. Detto altrimenti, nessuno può determinare esattamente il messaggio evangelico se mette tra parentesi la situazione attuale del credente e delle comunità nella quale l’uomo fa esperienza del senso della vita e che possiede uno statuto interpretativo per la fede. Filo di Arianna Citiamo infine la nozione così ricca di inculturazione che, malgrado il carattere recente del termine, è tanto antica quanto il cristianesimo stesso. L’inculturazione è coestensiva alla storia della salvezza: essa è questa storia della salvezza in atto. Una volta di più, l’analogia con l’incarnazione del Verbo è manifesta: la libertà del Verbo si inscrive in una successione storica di culture. Senza entrare in una riflessione approfondita, precisiamo che in ragione dell’incarnazione del Verbo come paradigma dell’inculturazione, quest’ultima non è né un angelismo né una disumanizzazione. Ma, al contrario, essa ha un rapporto costitutivo con l’umanizzazione dell’uomo, al punto che quest’ultima diventa il criterio del buon funzionamento della prima. In sintesi, l’Incarnazione del Verbo increato mostra che Dio ha scelto di liberare e di amare l’uomo attraverso la contingenza umana assunta dal suo Verbo. È quindi nelle determinazioni umane sempre limitate ma sempre nuove che Dio continua a operare. Il Figlio di Dio non ha voluto fare il gioco del Tentatore che gli proponeva di negare la sua umanità in nome della sua filiazione divina assoluta. I rinnovamenti sono dunque non soltanto possibili, ma costituiscono anzi la grammatica abituale attraverso cui si esprime il codice genetico della Chiesa nella storia degli uomini, all’interno della quale si dispiega il Mistero del Cristo. Questa grammatica, che non potrà mai affrancarsi dalla scrittura letta all’interno della Chiesa, è il filo di Arianna che rende possibile la progressione nella percezione dell’intelligenza del mistero di Cristo. I rinnovamenti sono perciò anche di natura dogmatica. È questa l’originalità della Chiesa cattolica. Il cristianesimo, che purtroppo in alcuni momenti è percepito come una figura del passato, è tuttavia l’espressione religiosa per la quale la novità sempre nuova di Cristo risorto non smette di far nascere nuove esperienze ed espressioni di fede vissuta senza peraltro sprofondare nel “delirio” dei fantasmi religiosi. Attraverso la vigilanza della Tradizione apostolica all’opera in tutti i periodi storici, là dove la dimensione escatologica del Vangelo è condotta a manifestarsi sposando l’esperienza di senso della vita di quanti se ne fanno ascoltatori, i rinnovamenti restano al riparo dalle manipolazioni e dalle fagocitazioni che il Tentatore non smette di suggerire alla comunità confessante e sono “verificati” e purificati secondo il metro della Scrittura. La storia cristiana, incapace di essere una pura ripetizione del passato, continuerà a suscitare lo stupore di coloro che ascoltano l’annuncio del Vangelo. 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