Estratto del discorso del Professor Brague

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:25

Un confronto con l’ultimo tentativo di ridare vita al programma umanista, ovvero il progetto di un “terzo umanesimo”, consente di delineare la situazione antecedente a quella che viviamo oggi. L’espressione fu proposta nel 1921 dal filosofo Eduard Spranger che l’utilizza en passant. Tuttavia il rappresentante più noto del movimento designato con tale espressione fu senza dubbio Werner Jaeger. L’idea principale del filologo tedesco era che il classicismo, identificandosi con l’ellenismo, poteva essere una fonte ancora viva e capace di irrorare la civiltà occidentale, la quale vi attingerebbe come a una fontana della giovinezza. Doveva poter fornire le indicazioni utili per ridare ordine all’Occidente, in seguito alla catastrofe della Grande Guerra e ai problemi dell’immediato dopo-guerra. Jaeger considerava la sua impresa, per usare un’immagine platonica, come una “terza ondata” dopo il Rinascimento italiano e il classicismo di Weimar.

Oggi, a distanza di anni, possiamo sorridere discretamente dell’ingenuità di una tale impresa, che tuttavia non mancava di grandezza. Per quanto mi riguarda, non ci si può aspettare che lanci un attacco contro il valore dell’insegnamento delle lingue classiche anzi, vale il contrario. Comunque sia, Jaeger presupponeva che la formazione classica potesse aiutare l’uomo a raggiungere uno sviluppo più compiuto della propria umanità. Tale formazione è stata considerata per molto tempo il contenuto dell’humanitas, da quando Aulio Gellio aveva riconosciuto in questa parola la traduzione latina del greco paideia. È questa la ragione per la quale i professori di lettere classiche a partire dal XV secolo si sono denominati humanistae. Così abbiamo giustamente preso l’abitudine di chiamare “umanesimo” lo studio e la cura dell’eredità dell’Antichità. Sembra che ciò sia avvenuto per la prima volta nel 1841 con lo storico Karl Heinrich Wilhelm Hagen, vicino all’hegeliano di sinistra Arnold Ruge. Nel 1859 la nozione diventa il titolo di un libro dello storico tedesco Georg Voigt. Dall’anno successivo un autore molto più noto, lo svizzero Jacob Burckhardt, ne seguì le orme nel suo libro pioniere sulla civiltà del Rinascimento italiano.

Tutto ciò si basava su un presupposto: occorreva affermare l’uomo o, più esattamente, l’umano. Da sempre, e più che mai da dopo due guerre mondiali e alcuni orrori particolarmente spettacolari, siamo coscienti del fatto che gli uomini realmente esistenti non sono sempre, o lo sono solo raramente, all’altezza della loro umanità. L’umano è sempre stato un criterio piuttosto che una costatazione - dell’ordine della norma piuttosto che della descrizione. Ma nessuno dubitava del valore dell’umano, che andava promosso. Ancora oggi, ogni cittadino benintenzionato ha la tentazione di proporre un quarto o un ennesimo umanesimo. E chi non vorrebbe difenderlo? A sembrare attualmente minacciato è il primo umanesimo, quello che fonda e giustifica le “umanità”. La questione dell’umanesimo ha preso un accento nuovo, più profondo e più radicale. Fino a quel momento ci si domandava come si potesse promuovere un umanesimo.

Significava difenderlo contro tutte le figure dell’inumano. Oggi la domanda è piuttosto se occorra veramente promuovere un umanesimo. Lo stesso umanesimo è nel collimatore. Oggi non si fa altro che difenderlo dagli avversari. Conosciamo il celebre discorso con cui Schopenhauer apriva il suo saggio sulla morale: “Predicare la morale è facile, difficile è fondarla”. Potremmo adattarla dicendo: “Predicare l’umanesimo è facile, difficile è fondarlo”. Da parte mia aggiungerei: è più facile tuonare contro i nemici dell’umanesimo di quanto sia effettivamente reale il pericolo, esagerato o inventato a mo’ di spauracchio. Mi si permetta d’illustrare il mio discorso con una frase che prendo a prestito da un libro del filosofo e sociologo britannico John N. Gray.

Non ho molto in comune con questo autore, ma mi sembra che abbia scritto ciò che può far luce sulla nostra situazione. La sua frase riguarda solo indirettamente l’idea umanista e direttamente il progetto dei Lumi, che sappiamo essere legato alla prima. Gray scrive: “Nel periodo della tarda modernità in cui viviamo affermiamo il progetto dei Lumi soprattutto per il timore delle conseguenze del suo abbandono. […] Le nostre culture sono culture dei Lumi non per convinzione bensì per difetto”. Dico perciò, a mo’ di tesi, e in una forma volontariamente lapidaria: ciò che noi oggi comprendiamo col termine “umanesimo” non è un’affermazione, bensì la negazione di una possibile negazione. Il nostro umanesimo, in fondo, non è che un anti-umanesimo.