Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:10:05
Nazareth - Lo sciopero è durato quattro settimane e si è concluso soltanto con il raggiungimento di un'intesa. All’apice di un acceso dibattito in Israele tra governo e scuole cristiane, le parti hanno trovato un accordo che ha permesso agli studenti di tornare sui banchi il 29 settembre: è una piccola vittoria per gli istituti cristiani, impegnati da mesi in una battaglia per essere considerarti alla pari di altre scuole in Israele sulla questione dei tagli al bilancio.
La riapertura dell'anno scolastico ha coinciso con
uno sciopero indetto dagli istituti cristiani, che hanno accusato il governo di destra di discriminazione nei loro confronti. In Israele, le scuole private religiose, di qualsiasi confessione, sono inserite nel sistema educativo come “scuole riconosciute, non ufficiali”. Il ministero dell’Istruzione ha, per legge, l’obbligo di destinare fondi agli istituti di ispirazione religiosa, sia cristiani sia ebraici ortodossi. Tuttavia, le scuole ebraiche ortodosse ricevono il 100 per cento della quota a loro destinata, la stessa che il ministero versa agli istituti pubblici, e godono degli stessi diritti, mentre
quelle cristiane hanno finora ricevuto soltanto il 75 per cento della cifra, senza l’assicurazione dei diritti riservati alle altre scuole. Inoltre, dal 2009 al 2013, Gideon Saar, allora ministro dell’istruzione,
ha ridotto gradualmente i fondi destinati alle strutture scolastiche cristiane, facendoli scendere fino al 29 per cento della quota di partenza, e ha aumentato le tasse per ciascun iscritto. Le scuole cristiane si sono quindi trovate in difficoltà economica e molte hanno chiuso. Oltre all’aspetto economico, c’è anche quello formativo. Occorre infatti ricordare che le scuole ebraiche ortodosse sono religiose a tutti gli effetti, pertanto seguono il loro programma educativo, diverso da quello ministeriale, adottato invece dalle scuole cristiane.
Un ruolo di formazione dell'identità
La tradizione educativa delle scuole cristiane risale a prima della creazione dello Stato di Israele e ha da 150 anni un ruolo importante nella comunità palestinese. Le porte di questi istituti, infatti, sono sempre state aperte a tutti (cristiani, musulmani, drusi) e gli studenti sono educati all’accoglienza. Queste scuole però hanno iniziato a sentirsi discriminate. Sono 33.000 gli studenti rimasti a casa a settembre, nell’attesa di essere equiparati agli altri 1,7 milioni di alunni israeliani.
Si sono svolte manifestazioni in molte città e villaggi israeliani e a Gerusalemme. Le proteste hanno cercato di richiamare l’attenzione del premier Benjamin Netanyahu, rimasto in silenzio sulla vicenda. Il primo ministro ripete spesso che i cristiani in Israele vivono liberi, senza discriminazioni e problemi, rispetto al resto del Medio Oriente. Anche i media israeliani hanno taciuto, accennando appena alle manifestazioni.
È da notare che lo stesso Gideon Saar, quand’era ministro dell'Interno, aveva favorito la creazione della nazionalità aramaica per i cristiani, come alternativa a quella araba.
La protesta tra diverse confessioni
Il governo israeliano ha proposto in un primo momento di assumersi la gestione delle scuole cristiane, trasformandole in scuole pubbliche. Le autorità ecclesiali hanno rifiutato, temendo per le sorti della specificità cristiana di questi istituti, che permette alle comunità palestinesi in Israele di esprimersi liberamente e mantenere la memoria della propria storia in un clima aperto e accogliente.
Non va dimenticato inoltre che queste scuole hanno l’importante missione di educare alla pace, alla giustizia e all’amore, alla convivenza e al rispetto dell’altro e del diverso. Inoltre, se le comunità cristiane perdessero le loro scuole, non ci sarebbe un altro posto dove gli arabi palestinesi potrebbero essere educati all’amore per la propria terra e patria, alla pace e alla giustizia. Il fatto che lo sciopero abbia coinvolto individui appartenenti a diverse confessioni è già di per sé un segno che la missione degli istituti cristiani ha successo.