Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:43

Oasis si riunisce a Tunisi lunedì 18 e martedì 19 giugno: il programma, dal titolo “La religione in una società in transizione. Come la Tunisia interpella l’Occidente”, è costruito per entrare sempre più in profondità nella realtà tunisina, per ascoltare le voci di chi sta vivendo sulla sua pelle, a partire da percorsi diversi, islamisti come anche laici, le sfide poste dalle circostanze di oggi. Circostanze tese, cariche di fermenti e di minacce, misurabili - tanto per offrire solo una delle possibili chiavi di lettura - anche in base alla decisione del governo di martedì scorso di imporre il coprifuoco notturno. Qui alcune questioni che saranno al centro dei lavori di Oasis Chi vincerà in Tunisia e nel resto del Nord-Africa e Medio Oriente? Chi vuole la libertà o chi fa paura ai rivoluzionari e soprattutto ai cristiani in Paesi in cui sono minoranza? Questa è naturalmente la domanda per eccellenza per Oasis, che è nata proprio per aiutare tali minoranze. Riteniamo che sia buona norma partire sempre dai fatti. E i fatti, come dice spesso il nostro Presidente, non chiedono il permesso per accadere. Così oggi in Medio Oriente ci troviamo a fare i conti con un movimento di protesta che sta cancellando uno dopo l’altro i regimi. Aggrapparsi a quanto rimane del passato non è una buona strategia. I cristiani locali perciò non hanno altra scelta che scommettere sul movimento democratico. Occorre tener presente però che esso si mescola con ambizioni egemoniche da parte delle vecchie forze, in particolare degli islamisti. Ecco perché vanno evitate le semplificazioni ingenue, bianco e nero. L’Occidente in tutto questo ha un vantaggio: per una volta può giocare senza riserve la carta dei diritti umani, visto che nessuno chiede privilegi per le minoranze, ma diritti per tutti. Sembra però che le ragioni della realpolitik abbiano già ripreso il sopravvento, imbastendo un tentativo di usare i jihadisti in funzione anti-iraniana. L’Afghanistan tuttavia dovrebbe aver insegnato qualcosa al riguardo. Il rischio: la dittatura laica o una democrazia “islamista” Da che parte stare? Con la democrazia se è associata al rispetto del valore della persona e della sua libertà. No, se la democrazia è ridotta a contabilità e dittatura della maggioranza. Ma bisogna anche considerare che la pratica democratica può far evolvere alcune posizioni. Non c’è da aspettarsi miracoli al riguardo, non nel breve periodo almeno, ma un cambiamento è possibile, soprattutto se dalle elezioni emergono governi di coalizione. La tentazione egemonica allora deve necessariamente lasciar posto al realismo della negoziazione. Islam e democrazia Siamo assolutamente d’accordo: il vero punto oggi è il pluralismo, tanto è vero che abbiamo intitolato uno degli ultimi numeri della nostra rivista: Società arabe, società plurali? Le rivoluzioni hanno frammentato le società, occorre ora che gli orientamenti emersi si riconoscano reciprocamente, individuando alcuni valori che vengono sottratti al gioco dell’alternanza delle maggioranze. Ecco perché seguiamo con tanto interesse l’attuale processo di costituzionalizzazione, che in realtà non coincide esattamente con la geografia delle rivoluzioni. Ci sono infatti Paesi ove esso non si è avviato (Libia) o si è scontrato subito con difficoltà insormontabili o quasi (Egitto), mentre, accanto al positivo esempio della Tunisia, si può citare quello del Marocco, dove non si è avuto un cambio di regime. In ogni caso, la nostra ipotesi di lavoro è che il mondo musulmano possa trarre spunti utili nell’affrontare la questione delle libertà proprio dall’esperienza cristiana (sicuramente più che da un laicismo aggressivo). Chiamiamo questo concetto “rilevanza culturale del Cristianesimo per l’Islam”. Per noi ovviamente questa rilevanza non va intesa come un dato immutabile, ma come un’occasione, una finestra che si è aperta e che potrebbe anche chiudersi. La possibile lezione per l’Occidente Esiste anche una rilevanza culturale dell’Islam per il Cristianesimo. O meglio per i modi in cui i cristiani vivono la loro fede nell’Occidente. Ad esempio, la presenza islamica pone con forza la questione del ruolo pubblico delle religioni: una privatizzazione della fede musulmana appare per il momento un’opzione con scarso seguito.