Intervista a S.E. Mons. Maroun Lahham, Arcivescovo di Tunisi, a cura di Maria Laura Conte

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:44

«Non posso che confermare quanto già rilevato dagli osservatori internazionali: le elezioni si sono svolte molto bene, in modo corretto, libero e trasparente. Condivido l’entusiasmo che tanta parte del popolo tunisino ‒ e dei media che hanno seguito i fatti ‒ ha manifestato con l’alta partecipazione a questo appuntamento con il voto e continua ad esprimere ora in questa fase costituente». 
Così mons. Lahham sintetizza il suo giudizio sull’appuntamento del 23 ottobre scorso, le prime elezioni dopo la caduta del regime di Ben Ali, che hanno visto il 90% dell’elettorato recarsi ai seggi e hanno registrato il successo del partito islamico Al-Nahda. 


Resta il dubbio che i disordini scoppiati pochi giorni dopo la notizia dei risultati elettorali ‒ quando sono state escluse le liste del partito PPJD di Hechmi Haamadi – abbiamo gettato un’ombra su questo entusiasmo… 

No, le manifestazioni in difesa di Hamedi si sono subito spente, il coprifuoco imposto è durato solo un giorno, la situazione è presto tornata alla normalità. Haamadi è un ricco imprenditore che vive a Londra e da lì, grazie alla sua televisione, ha gestito una campagna elettorale spinta, senza mai mettere piede in Tunisia, una campagna carica di promesse elettorali, soprattutto di beni materiali, stipendi e soldi ai tanti disoccupati. La gente più povera l’ha seguito. L’esclusione delle sue liste è stato dovuto a vari fattori, non ultimo il mancato rispetto di alcune delle regole della campagna elettorale e la vicinanza sua e di alcuni dei suoi al passato regime. In Tunisia se sei nell’ombra di Ben Ali, oggi sei scomunicato.

Quindi cosa si aspetta ora l’arcivescovo di Tunisi?

Sono ottimista, le cose sono andate bene e ora bisogna rispettare la volontà espressa dal popolo: lasciar governare quelli che hanno vinto e verificare che seguano il loro programma. Non è più il tempo di avanzare obiezioni, ma di lasciare che nell’anno che hanno di fronte fino al prossimo appuntamento elettorale, i vincitori possano lavorare. Poi si vedrà come il popolo valuterà il loro operato. Troppo facile stare sempre all’opposizione.

Cosa ha favorito questo successo di Al-Nahda secondo lei?

I 90 seggi ottenuti in Parlamento sono stati una sorpresa prima di tutto per gli stessi vincitori. Hanno vinto perché hanno usato un linguaggio moderato, hanno saputo far leva sull’Islam in modo intelligente. Ma erano senz’altro il partito più strutturato e con una storia alle spalle. Compresa anche una storia di persecuzione da parte del regime precedente, aspetto che ora è diventato un punto di onore, un vantaggio sui concorrenti. Molti, me compreso, temevano che gli esponenti di questa forza politica usassero un linguaggio doppio, fossero ambigui, mostrassero una posizione moderata, puntando invece ad altro. Ma ora non è più il tempo di recriminare a questo livello. Ci chiedono di dar loro una possibilità: hanno ottenuto l’approvazione degli elettori e questa va rispettata. Alla prima manifestazione contro di loro, hanno garantito che se ne andranno. A noi ora il compito di tenere gli occhi aperti, per verificare la loro correttezza, ma anche di lasciarli agire.

E gli altri esponenti politici, come li vede?

Tra quanti si sono giocati nella campagna elettorale c’è stata una grande frammentazione, che li ha indeboliti. Ognuno correva per sé, con numerose liste personali, una trentina ha portato a casa uno o al massimo due seggi. Ci sono circa 60 seggi come dire “polverizzati”. Se fossero stati in grado di coalizzarsi, avrebbero battuto Al-Nahda.

Chi sostiene dal punto di vista finanziario questo partito di successo?
Tutti i partiti islamici, di qualsiasi parte del mondo, hanno fondi economici su cui contare. Li ricevono o dagli aderenti o dai Paesi del Golfo. Da questo punto di vista non hanno problemi.

E l’esercito, che ruolo ha avuto e come si posiziona ora in Tunisia?

L’esercito è stato neutrale. Dai giorni della rivoluzione a oggi, è stato vicino al popolo garante della sicurezza.

Anche per lei il modello di riferimento valido per la nuova Tunisia può essere la Turchia come sostengono molti esponenti di Al-Nahda?

In molti cercano di affermare questo parallelismo tra Tunisia e Turchia. Ma è un modo strumentale per cercare di dimostrare all’Europa che è possibile coniugare Islam e democrazia, cosa che è difficile da recepire in Occidente, ma che è avvenuta in Turchia. Ma secondo me non è possibile trapiantare un modello da un Paese a un altro: il sistema turco non può essere copiato e riproposto tale e quale da noi. La nostra dovrà essere una democrazia tunisina.

Quale ruolo hanno giocato i media in questa partita elettorale?

Sicuramente i newmedia come Facebook e Twitter sono stati molto usati dai giovani per animare il dibattito, anche perché non sono controllabili facilmente. Ma sono esplosi contemporaneamente anche i media tradizionali: sono nate dopo la rivoluzione due televisioni statali e due private, ora ne stanno nascendo altre due. Tutti i palinsesti prevedevano tribune elettorali, tavole rotonde con i tempi contingentati per permettere a tutti i politici di esprimere i rispettivi programmi. Se prima i tunisini si sintonizzavano sulla Rai italiana e France2, durante il periodo elettorale hanno tutti scoperto le tv tunisine, che non sempre – bisogna riconoscere - erano imparziali.

Quali le priorità che dovrebbe affrontare il Suo Paese ora? 

Sono due: il lavoro e la sicurezza. Occorre dare lavoro ai giovani e far ripartire l’economia; le imprese straniere devono tornare qui a investire, il turismo deve essere rilanciato, bisogna tornare ad aprire le relazioni con la Libia. La seconda urgenza è la sicurezza: si deve lavorare in sicurezza, la polizia non deve umiliare il popolo, ma essere garante della situazione del Paese.

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