Robert George

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:45:20

Intervista al Prof. Robert George , a cura di Andrea Pin Robert George è il Direttore del James Madison Program in American Ideals and Institutions all'Università di Princeton, dove insegna diritto costituzionale e filosofia politica. Grande esperto di diritto naturale, lo abbiamo intervistato sul ruolo della religione e della tradizione nel cosiddetto esperimento costituzionale americano. Il suo contributo si colloca nell'attuale dibattito intorno alla relazione tra stato, religione e società. A. P.: Lei pensa che possa aver senso interpretare la Costituzione degli Stati Uniti attraverso la religione? R. G. : Si. Gli Stati Uniti sono un paese religioso. Resta un paese molto più religioso della maggior parte dei paesi dell'Europa continentale. E non è un fatto nuovo. La Rivoluzione americana non è stata come quella francese. La Rivoluzione americana non è stata anti-religiosa. Al contrario essa si è appellata alle idee che si trovano al cuore del monoteismo etico, derivate dalla testimonianza della Bibbia. Il linguaggio della Dichiarazione di Indipendenza rappresenta un'interpretazione dell'idea della Genesi per cui tutti gli uomini sono creati a immagine e somiglianza di Dio. Questo è il fondamento del principio di uguaglianza - che, a sua volta, è il fondamento della democrazia. La democrazia si basa sull'idea che gli uomini sono tutti uguali e dotati di pari dignità. E che hanno pari diritto di esprimere la loro opinione nell'elaborazione delle politiche pubbliche. Questo è vero se e solo se tutti gli uomini sono dotati di pari dignità. Qual è la sorgente di questa dignità? La Dichiarazione di Indipendenza dice che è il Creatore - che Dio ci ha creati uguali. Di nuovo, è il riflesso dell'idea biblica per cui siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Siamo dotati di ragione e della libertà - abbiamo queste facoltà, che sono un piccola ma significativa parte degli stessi attributi di Dio. Per questo gli Stati Uniti sono un paese veramente religioso, anche nel senso che i nostri principi costituzionali sono considerati l'attuazione della Dichiarazione di Indipendenza. Ancora nel 1953, il giudice supremo William O. Douglas - che viene collocato alla sinistra della politica americana e dell'interpretazione costituzionale - poteva dichiarare, nella sentenza Zorach vs. Clauson: «Siamo un popolo religioso le cui istituzioni presuppongono l'Essere Supremo». E questo è vero. La nostra interpretazione presuppone l'idea che esista un Essere Supremo, un Dio che è la fonte della dignità umana dell'uguaglianza fra gli uomini. A. P.: Dunque Lei vuol dire che attualmente il cristianesimo e la storia cristiana hanno un peso anche in politica? R. G.: Si, certamente. Ma non solo la storia cristiana. È la testimonianza biblica. Il monoteismo etico. Qualcosa che è comune ai cristiani e agli ebrei, e forse anche ai musulmani, anche se non conosco la tradizione islamica molto bene. Ma non è una tradizione specificamente cristiana. Gli Stati Uniti non sono stati fondati partendo dall'asserzione secondo cui Cristo è il figlio di Dio o dalla natura trinitaria di Dio, ma dal principio che c'è un Legislatore divino e giudice dell'Universo. Secondo la Dichiarazione di Indipendenza, per esempio, c'è un Legislatore divino e Giudice dell'Universo di cui siamo figli, e dal quale discende la profonda e pari dignità tra tutti gli esseri umani. Per questo, si suppone che tutte le politiche americane siano in linea con quest'idea che tutti gli uomini sono creati uguali, che c'è un Creatore e che tutti noi condividiamo il fatto di essere fatti a Sua immagine e somiglianza, in modo che la dignità di cui siamo dotati e il rispetto che ci è dovuto siano riconosciuti dalle istituzioni e dalla società. A. P.: Qual è, a suo avviso, il ruolo della tradizione nella storia costituzionale americana? R. G.: A mio avviso la questione riguarda le fonti della Costituzione. Esse sono il testo, le implicazioni logiche delle disposizioni del testo, la struttura del documento, le sue norme e la sua comprensione storica. In questo senso più ampio - la comprensione storica del testo - la tradizione ha un ruolo. Noi guardiamo agli obiettivi di coloro che hanno redatto la Costituzione. Questi obiettivi sono intesi come l'attuazione dei valori per i quali la Costituzione fu scritta e le istituzioni create. Nel nostro impegno a comprenderli, per esempio, possiamo considerare «l'uguale dignità della persona umana». La Dichiarazione di Indipendenza, che è stata il documento fondante del sistema americano, recita: «consideriamo queste verità auto-evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili e che tra questi figurano la Vita, la Libertà e il perseguimento della felicità». La Costituzione, ratificata molti anni più tardi, fu voluta per dar vita a questi principi. In questo senso la nostra tradizione è rispettare questi principi, mentre il ruolo della Costituzione consiste nel dar loro vita. È cosi che la nostra tradizione di interpretazione costituzionale presta attenzione agli obiettivi storici della Costituzione. Anche questo può quindi essere inteso come parte del ruolo giocato dalla tradizione nell'interpretazione della nostra Costituzione. A. P.: Qual è allora la sua opinione sull'approccio del giudice Scalia, che presta molta attenzione ai Padri? R. G.: Non si chiede a Scalia di entrare nella coscienza soggettiva dei Padri che ratificarono la Costituzione, bensì risalire a quello che, al tempo della ratifica da parte di tutti quelli che avevano deliberato e partecipato al dibattito sulle disposizioni specifiche della Costituzione, si intendeva dovesse essere ratificato. Questo tentativo di risalire a quella comprensione è di per sé difficile ed è una questione di tradizione: la comprensione storica e il significato del testo della Costituzione. Per questo penso che questo riguardi la tradizione. Inoltre noi abbiamo una tradizione di common law, che è significativamente diversa dai sistemi dell'Europa continentale. La tradizione dentro la tradizione: è l'idea che le sentenze possano stabilire una tradizione da rispettare anche quando le sentenze di prima istanza non sono del tutto corrette.