Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:45:32
Si è diffusa in Europa l'opinione che in una società democratica e plurale si può dare un corretto rapporto tra diritti fondamentali del soggetto e stato solo a patto di non introdurre in questa relazione altri elementi di riferimento e di mediazione. La religione, in questo contesto, costituirebbe un "terzo incomodo", tollerabile solo se ridotto a fatto privato proprio del singolo individuo. Come afferma Donati, noto sociologo italiano, "per la democrazia occidentale odierna tutte le religioni sono 'uguali' (in-differenza). La sfera pubblica è dichiarata neutrale verso le religioni () Alle diverse religioni si chiede e si impone di considerare il loro universalismo come un fatto privato". È celebre in proposito l'affermazione di Kelsen, secondo la quale "l'apprezzamento della scienza razionale e la tendenza a mantenerla libera da ogni intrusione metafisica o religiosa sono tratti caratteristici della democrazia moderna".
Con modalità tra loro molto diverse in Francia, in Italia ed in Spagna, paesi in cui il dibattito sulla laicità è molto acceso, normalmente si sostiene che lo stato contemporaneo debba essere laico e neutro. Ma occorre che questa formula sia ben interpretata. Nelle letture più accese infatti l'aggettivo "laico" non significa solo a-religioso, ma suona talora come un sinonimo di "antireligioso". Infatti la tesi di Kelsen è oggi sottoposta a critica non solo da chi, come l'ebreo americano David Novak, sostiene che "le persone religiose sono capaci di costituire la laicità ricavandola dalle proprie tradizioni fondate sulla rivelazione" ma anche da chi in Europa propugna la necessità di un ripensamento delle democrazie plurali. Basti citare studiosi come Böckenförde e Habermas i quali, in modo diverso, affermano sì che lo stato moderno può avere la sua genesi solo in un consenso su procedure, ma contemporaneamente non escludono che "lo stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che esso da solo non può generare".
Obbligare i credenti a comportarsi etsi Deus non daretur e, pertanto, a non menzionare la corrispondenza tra la razionalità e l'origine ultimamente divina di una determinata prescrizione (norma), non è un prezzo troppo alto per vivere in società? Soprattutto siamo sicuri che non tolga qualcosa di positivo alla società? Così non è possibile escludere, almeno in linea di principio, che la motivazione religiosa possa essere importata nell'ambito pubblico.
È ormai un dato consolidato che l'emarginazione della religione dalla sfera sociale non è accettabile da quelle culture non europee in cui la religione è essenzialmente un fatto pubblico. In questo senso a rendere obsolete le soluzioni moderne del rapporto religione-politica è proprio l'emergenza storica del talora violento processo - sottolineo il termine "processo" - di meticciato di civiltà e culture. L'espressione, che si è affacciata timidamente vent'anni fa dal mondo delle scienze antropologiche e che da molti è ancora percepita con apprensione e diffidenza, si rivela, a mio parere, più comprensiva delle categorie di identità ed integrazione.
Quale potrebbe essere allora il nuovo profilo pubblico che l'attuale frangente storico chiede alle religioni, almeno in Occidente? Anzitutto mi pare auspicabile affermare la necessità di una sfera pubblica plurale e religiosamente qualificata, in cui le religioni svolgano un ruolo di soggetto pubblico, ben separato dall'istituzione statuale e ben distinto all'interno dalla stessa società civile.
Il dialogo tra le grandi religioni ha più che mai bisogno di questa nuova fisionomia sociale.
Questo esige che il potere politico, nei confronti delle religioni, passi da un atteggiamento di tolleranza passiva ad un atteggiamento di "attiva apertura", che non riduca la rilevanza pubblica della religione agli spazi concordatari con lo stato. Da parte delle religioni è necessario abbandonare autointerpretazioni di tipo privatistico o fondamentalista per creare il terreno di un interscambio diretto con le altre religioni e le altre culture; uno spazio di dialogo in cui le religioni possono giocare il loro ruolo nel discorso pubblico sui valori di civiltà ed esprimere il loro giudizio storico.