Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:42:03

Nell’ottobre e novembre scorso il giornale libanese an-Nahar ha ospitato un dialogo aperto, lanciato dal giornalista Jihad Zeyn, intorno a varie questioni. Tre spiccano in particolare: i rapporti tra sunniti e sciiti, la presenza cristiana in Oriente e la libertà di coscienza. Tutto è cominciato con la pubblicazione dell’intervista di Zeyn allo Shayk al-Azhar, il dottor Ahmad at-Tayyeb, il 15 ottobre 2010. In quell’intervista lo Shaykh prendeva le mosse da una sottolineatura circa l’importanza dello studio della tradizione islamica per affrontare successivamente tre questioni fondamentali. Parlando dei rapporti tra sunniti e sciiti, lo Shaykh da un lato criticava le attività missionarie svolte da alcuni giovani in Egitto a favore della Shî‘a, con annesse accuse rivolte alla figura di ‘Âisha e ai Compagni . D’altro canto lo Syakh rifiutava la pratica dell’anatema che alcuni canali satellitari sono soliti lanciare ai danni degli sciiti; a suo dire vi sono persone che operano per scatenare una guerra intestina nei Paesi abitati dai musulmani. A partire da questa considerazione lo Shaykh non mancava di sottolineare l’importanza e la necessità dell’unità in seno alla umma islamica, senza la quale i musulmani non potranno mai risollevarsi. Circa la presenza cristiana in Oriente, at-Tayyeb esprimeva il vivo desiderio che i cristiani possano restare. Una fiorente presenza cristiana è parte della tradizione della civiltà orientale e mostra che l’Islam è la religione della tolleranza, della convivenza e dell’accettazione dell’altro. Replicando alla affermazioni contenute nell’Instrumentum laboris del Papa circa i cristiani mediorientali, at-Tayyeb dichiarava che l’Islam garantisce la libertà di culto e così pure la libertà di coscienza, citando a sostegno della sua affermazione alcuni versetti coranici, il più importante dei quali recita «Non vi sia costrizione nella fede». Questo versetto, secondo at-Tayyeb, rappresenta la migliore replica circa la posizione dell’Islam in merito alla libertà di coscienza. Le reazioni all’intervista sono state molteplici e variegate. Ad esempio Muhammad al-Ja‘fari ha pubblicato il 21 ottobre 2010 un articolo in cui ha rifiutato l’utilizzo dei termini “sunnita” e “sciita” da parte dello Shaykh al-Azhar, dichiarandosi appartenente «all’Islam e non a una setta», sia essa sunnita o sciita. Al contrario l’articolo dello Shaykh Jaber al-Muslimani è venuto a riaffermare le posizioni espresse dallo Shaykh al-Azhar, in particolare sulla presenza cristiana in Oriente, considerata elemento essenziale del fascino della regione. Nell’articolo di Muslimani spiccava tuttavia l’assenza di qualsiasi riferimento alla questione della libertà di coscienza. Il contributo del professore universitario libanese Sa‘ud al-Mawla (23 ottobre 2010) ha invece trattato la questione sunnita-sciita. Il professore ha richiamato l’esperienza degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e i tentativi di migliorare i rapporti tra sunniti e sciiti e tra Iran e Paesi arabi, attribuendo agli iraniani la responsabilità dell’insuccesso. Infine Mawla ha messo in guardia dal precipitare dei rapporti sunniti-sciiti, preludio di un disastro imminente. In un articolo del 6 novembre 2010 Padre Basim ar-Ra‘i osserva che le risposte dello Shaykh al-Azhar si sono snodate lungo una triade: l’Altro, il pluralismo, la critica. Lo Shaykh al-Azhar, secondo ar-Ra‘i, è rimasto a metà del percorso di accettazione dell’altro. Egli infatti ne ha riconosciuto la presenza come partner nella civiltà orientale, con diritto alla libertà di coscienza. Tuttavia questa triade non potrà realmente dirsi completa finché non si esprimerà compiutamente in una società politica in cui l’Altro sia riconosciuto in modo adeguato, all’interno di un sistema oggettivo di diritti dettati positivamente da una ragione neutrale. In esso le componenti della società collaborano vicendevolmente per fare della città terrena il luogo di una vita soddisfacente. L’articolo del professore universitario Dominique Avon, scritto in francese e tradotto in arabo da Amin Elias, va al cuore della discussione sulla “libertà di coscienza”. Nel testo, pubblicato il 6 dicembre 2010, Avon chiarisce che la libertà “di coscienza” è un concetto moderno che s’inserisce nel quadro della trasformazione dei rapporti tra sfera politica e religiosa. Avon sottolinea che si tratta di un’eredità europea costituitasi nel confronto tra protestantesimo e cattolicesimo. Furono i filosofi di tendenza liberale e razionalista a introdurre il concetto di libertà di coscienza. Avon motiva successivamente il rifiuto del concetto da parte della Chiesa cattolica, che lo considerava «categoria vana ed errata». La Chiesa cattolica riteneva infatti che aderire all’errore non potesse mai diventare un diritto in senso pieno. Il rifiuto perdurò fino al Concilio Vaticano II; da quel momento la Chiesa iniziò a esortare al rispetto della libertà religiosa. Avon passa poi ad esporre in che modo elementi della libertà di coscienza siano filtrati nel mondo arabofono a maggioranza musulmana. Il concetto si sarebbe fatto strada attraverso il “corridoio libanese” (Butrus al-Bustani, Pierre Gemayel, Camille Chamoun, Charles Malik, Karim Azkoul). I Paesi musulmani, con l’eccezione dell’Arabia Saudita, sottoscrissero la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo che prevede la libertà di coscienza. Tuttavia l’applicazione della Dichiarazione non fu coerente con il principio enunciato, poiché le costituzioni della maggior parte di questi Stati non tollerano l’abbandono dell’Islam da parte dei cittadini. In conclusione Avon osserva il grande sviluppo che il dibattito sulla libertà di coscienza e sulla questione del “cambio di religione” ha conosciuto nei paesi a maggioranza islamica. Negli ultimi dieci anni tale dibattito è divenuto quotidiano. * Amin Elias è dottorando in storia – Università del Maine – Le Mans, Francia 12 dicembre 2010