Le tre fasi hegeliane del jihadismo moderno

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:58

La relazione tra un movimento come lo Stato Islamico (o Daesh, come ci siamo ormai abituati a dire utilizzando l’acronimo arabo) e i mass media rivela molti elementi sulla natura del jihadismo contemporaneo. Da un lato infatti Daesh sembra ritornare a uno stadio di civiltà molto anteriore al secolo dei Lumi, ai momenti più bui del Medioevo, come ci ricordano le scene diffuse su internet di decapitazioni, uccisioni e pene corporali. Ma, nello stesso tempo, questo movimento è un maestro straordinario nell’utilizzo dei mass media postmoderni, di YouTube, di Twitter, di Facebook, di tutto ciò insomma che costituisce quasi la cifra della nostra epoca. La maggioranza degli osservatori tende a dare per scontato questo aspetto e si limita a constatare che “i jihadisti sono diventati social”. Ma se facciamo qualche passo indietro, scopriamo che il fenomeno s’inserisce in un movimento decennale articolato in più fasi. Credo infatti che il jihadismo odierno, che vediamo oggi rappresentato da Daesh ma che in realtà non si limita soltanto a esso, possa essere visto come il terzo momento del jihadismo moderno, secondo una dialettica quasi hegeliana. Il primo momento, quello dell’affermazione, si realizza in Afghanistan negli anni Ottanta del secolo scorso, e poco dopo in Algeria, Egitto e Bosnia, all’inizio degli anni Novanta. Questa fase si è conclusa con un fallimento, dal momento che i movimenti jihadisti non sono riusciti a impadronirsi del potere, con l’esclusione parziale dell’Afghanistan, in cui i combattenti islamisti riescono a costringere i sovietici alla ritirata1. All’affermazione segue, come in Hegel, il momento della negazione, incarnato da al-Qaida a partire dagli anni ’96-’97 e fino al 2005-2006. Al-Qaida sposta totalmente il bersaglio del jihadismo: non più il nemico prossimo (al-‘adû al-qarîb), cioè lo Stato originariamente musulmano e divenuto “apostata”, come il regime algerino o egiziano, ma il nemico occidentale empio e infedele, cioè gli Stati Uniti in quanto leader del mondo occidentale. L’evento più importante di questo secondo momento è senza dubbio l’11 settembre, con l’attacco a New York e Washington. Tuttavia il bersaglio politico rimane identico alla prima fase: mobilitare le masse musulmane contro il nemico occidentale. Nonostante la commozione generale che gli attentati dell’11 settembre hanno generato nel mondo islamico, le masse musulmane non si sono sollevate e l’obiettivo è stato mancato. Gli attentati di Madrid, Londra, Nairobi e Riad, che hanno riproposto il modello del 2001, non hanno avuto esito diverso. Entriamo allora nella terza fase, quella che viviamo oggi, cioè la fase della negazione della negazione (o hegelianamente della Aufhebung), inaugurata nel gennaio 2005 con la pubblicazione online del libro di un ingegnere siriano-spagnolo formatosi in Francia, Abu Musab al-Suri. Il libro s’intitola in arabo Da‘wâ ilâ al-muqâwama al-islâmiyya al-‘âlamiyya (“Appello alla resistenza islamica globale”) e l’autore vi afferma che Bin Laden si è completamente sbagliato nella scelta della sua strategia. L’11 settembre è stato un errore causato dalla hybris di Bin Laden, che ha cercato il gesto eclatante per paragonare la propria potenza a quella dell’Occidente2. In realtà – prosegue al-Suri – questo jihad dall’alto non funziona. Al suo posto è invece necessario creare un jihad dal basso; e il suo bersaglio non dev’essere l’America, troppo potente e minacciosa, ma l’Europa, il ventre molle dell’Occidente. Gli alleati naturali di questo jihadismo di terza generazione, nel pensiero di al-Suri, dovrebbero essere i musulmani nati in Europa, mal integrati, insoddisfatti della loro vita e pronti a prendere le armi contro i regimi occidentali. Quando al-Suri ha pubblicato il suo libro, la maggioranza degli osservatori lo ha liquidato come una visione estremista e totalmente incapace di tradursi in un progetto sociale. Dieci anni dopo, gli attentati di Parigi, quelli al Museo ebraico di Bruxelles o anche gli attacchi di Mohammad Merah a Tolosa contro bambini ebrei e soldati francesi di origine araba cosiddetti apostati, sono, per così dire, l’applicazione pratica del pensiero di al-Suri3. Com’è stato possibile questo cambiamento? Per rispondere, è utile considerare il ruolo dei media, perché queste tre fasi del jihadismo moderno si caratterizzano per un uso diverso della comunicazione. L'articolo è un estratto dell'e-book Il tablet e la mezzaluna. Islam e media al tempo del meticciato 1Gilles Kepel, Fitna, guerra nel cuore dell’Islam, Laterza, Roma-Bari 2004, prefazione, p. IX 2Gilles Kepel, Oltre il terrore e il martirio, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 86-89 3Per una panoramica più dettagliata sulle tre fasi del jihadismo moderno mi permetto di rimandare a Gilles Kepel, Oltre il terrore e il martirio, pp. 89-94