Il rapporto di questi ultimi con la globalizzazione viene indagato a partire da tre angoli visuali (la trasformazione demografica e i giovani, la razionalità economica e le politiche neoliberali, i media e le nuove tecnologie dell’informazione), attraverso i quali si capisce bene quanto intenso sia il travaglio delle popolazioni nord-africane. Alcuni passaggi del volume fanno anzi pensare che non solo le odierne rivoluzioni fossero in fondo prevedibili, ma addirittura annunciate. Il dissenso espresso dalla gioventù nelle strade non è infatti una novità. Negli ultimi vent’anni, episodi simili a quelli a cui abbiamo recentemente assistito si sono verificati a più riprese, a partire dall’Algeria, dove già nel 1988 gruppi di giovani tra i dodici e i diciotto anni avevano messo in discussione il potere.
D’altra parte sono proprio i giovani a sperimentare più in profondità le contraddizioni di un epoca sospesa tra vorticosi cambiamenti e ingiustificabili immobilismi, e a portare più drammaticamente alla luce i tanti problemi irrisolti dei regimi e delle società post-coloniali, dal tormentato rapporto tra tradizione e modernità, al mancato sviluppo, alla fragilità dei sistemi d’istruzione. Le nuove generazioni esprimono così «con particolare virulenza l’incapacità dell’organizzazione interna di rispondere all’incremento della domanda e delle aspirazioni» (p. 46). Emblematica è la lettura offerta dall’autrice della situazione tunisina, dove il «grave “divorzio tra la società e la sua scuola”» fa emergere «“eserciti di diplômés-chômeurs” che costituiscono una minaccia per il regime» (p. 59). Le politiche economiche neo-liberali e i programmi di aggiustamento strutturale incoraggiati dai Paesi occidentali e imposti dagli organismi internazionali non hanno peraltro migliorato la situazione. Semmai hanno contribuito ad acuirne le tensioni, favorendo una crescita economica senza reale sviluppo e a esclusivo beneficio di élite corrotte e autoereferenziali.
Nel 2007 Loredana Ricci non aveva ancora potuto approfondire la grande esplosione che di lì poco avrebbero avuto i social network. Aveva però ben compreso luci e ombre della rivoluzione mediatica, a partire dall’impatto dei canali satellitari, capaci, come Al-Jazira, «di mettere in luce le numerose fragilità e opacità dei regimi arabi, così da rompere il monopolio che essi avevano finora esercitato sulla gestione dell’informazione» (p. 281). Se dunque l’autrice ha deciso, a giusto titolo, d’inserire il sistema delle comunicazioni tra i grandi protagonisti delle trasformazioni in atto sulla sponda meridionale del Mediterraneo è perché «negli anni della decolonizzazione il Maghreb aveva cercato disperatamente un “eroe” capace di aprire nuovi spazi alle potenzialità creative delle popolazioni. Oggi è la comunicazione-mondo che tende con forza a inserirsi in questo spazio di aspirazioni, cercando di imporsi come nuovo “valore”, e in tal senso colmare le forme dei tanti vuoti» (p. 288).
Supportata da una vasta bibliografia, l’analisi proposta da Loredana Ricci è molto convincente, sebbene a tratti eccessivamente concentrata sulle grandi traiettorie e gli orizzonti imposti dalla globalizzazione, illustrati con una certa ridondanza anche stilistica, a scapito di una penetrazione più diretta nella concretezza del vissuto delle società maghrebine. Ma, riletto nel 2011, il libro ha soprattutto una grande lezione da offrire: è vero che i processi storici non sono mai “catturabili” a priori – nessuno avrebbe potuto prevedere il gesto del tunisino Bouazizi e le sue conseguenze – ma un’osservazione attenta della realtà aiuterebbe senza dubbio a farsi cogliere meno impreparati.