La soluzione non è nelle mani di presidenti, ma in quelle dei musulmani europei, che devono cercarla nella stessa tradizione coranica

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:54:00

Il presidente francese Emmanuel Macron ha l’ambizione di rinnovare tutto, ma deve affrontare i problemi che i suoi predecessori non sono stati in grado di risolvere, e ai quali né la trasformazione del paesaggio politico, né l’evoluzione della legislazione, né i grandi progetti forniscono una soluzione.

 

Tra le questioni imbarazzanti che si trascinano, c’è quella dell’integrazione della religione islamica nella società francese. La République si vuole laica, ma riconosce la libertà di coscienza e l’esistenza di “culti”. Tali culti devono essere gestiti da associazioni ufficiali, che godono di diritti ma che sono sottoposte alle sue leggi.

 

Questo sistema, eretto progressivamente attraverso il negoziato e il compromesso soltanto nel XX secolo, dopo la separazione conflittuale tra lo Stato e la Chiesa nel 1905, è stato concepito per e con i cattolici, e marginalmente i protestanti e gli ebrei. Può essere applicato all’Islam?

 

La terminologia ufficiale è già in sé significativa: l’obiettivo non è organizzare l’Islam in Francia, ma un Islam di Francia. Detto altrimenti, non si tratta semplicemente di prendere atto della pluralità di correnti islamiche nel Paese e chiedere loro di organizzarsi e dotarsi di un’istanza comune e rappresentativa che diventerebbe l’interlocutore di cui i poteri pubblici hanno bisogno. L’idea è piuttosto creare una sorta di Islam nazionale che, senza cancellare le differenze al suo interno, riesca a conciliare l’appartenenza religiosa con la cittadinanza e l’adesione ai “valori” condivisi dal resto dei francesi.

 

Questo è ciò che ha rilanciato Macron in un’intervista rilasciata al Journal du Dimanche. Il presidente distingue due cantieri di lavoro. Il primo si colloca su un piano formale e prevede una strutturazione istituzionale, che inglobi le diverse correnti dell’Islam presenti in Francia. Il secondo riguarda la sostanza, e cioè la compatibilità e persino la possibile convergenza tra le esigenze dell’Islam e gli ideali repubblicani e laici. Il tono è prudente e misurato, le motivazioni e gli obiettivi ragionevoli: non importare in Francia le divisioni che lacerano l’Islam altrove nel mondo, dare ai musulmani il loro posto e il loro ruolo nella vita socio-culturale, ciò che la loro presenza rende ormai inevitabile, non affrettare le cose e avanzare delle proposte soltanto dopo una consultazione a 360 gradi.

 

Che probabilità hanno queste lodevoli intenzioni di produrre dei risultati concreti? Gli ostacoli non mancano. Innanzitutto persistono i fattori per i quali i predecessori dell’attuale presidente non sono riusciti a federare l’Islam di Francia: il Conseil français du Culte musulman, creato nel 2003, resta disfunzionale a causa di dissensi sorti internamente tra le associazioni che riunisce e che sono per la maggior parte sotto il patrocinio straniero.

 

L’Algeria, il Marocco, l’Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, i Fratelli musulmani, la Turchia, per non parlare dei salafiti e dei jihadisti, hanno i loro “clienti” ai quali inviano predicatori e/o denaro. Mettere assieme queste fazioni non è scontato perché non è nel loro interesse. Il governo non ha budget per controbilanciare queste influenze esterne e d’altra parte lo Stato non può finanziare alcun “culto”.

 

L’Alsazia e i corsi di islamologia

C’è tuttavia un’eccezione: l’Università di Strasburgo, che rimane sotto il regime concordatario (poiché l’Alsazia era tedesca al momento della separazione nel 1905), offre corsi di islamologia. A Parigi, è l’Institut Catholique (e quindi privato) ad accogliere i futuri imam.

 

L’obiettivo di queste formazioni è duplice: da una parte verificare che chi arriva dal Maghreb o dal Levante per esercitare nelle moschee senza una reale qualifica abbia una conoscenza sufficiente del francese e dell’ambiente culturale nel quale si esprime, dall’altra assicurare che il loro insegnamento sia di livello universitario e risponda alle attese spirituali e intellettuali.

 

Nella stessa ottica è stata creata nel 2016 la Fondazione dell’Islam di Francia, che essendo stata dichiarata di pubblica utilità può essere finanziata e ricevere donazioni fiscalmente deducibili. La Fondazione si rifà al grande orientalista Jacques Berque (1910-1995) e promuove un «Islam di progresso» in linea con la «relazione speciale» tra la cultura musulmana e la Francia, ciò che nel tempo ha portato ad arricchimenti reciproci duraturi più che a conflitti.

 

La premessa è che l’Islam “autentico” è fondamentalmente pacifico e aperto, quindi conciliabile con la “modernità”. Il guaio è che produzioni di qualità nell’ambito della pietà, della teologia e della storia non impediscono le “radicalizzazioni” alimentate da slogan e video diffusi su Internet. Un’ulteriore difficoltà è che le valorizzazioni dell’Islam suscitano una reazione islamofobica, tanto a sinistra quanto a destra dello scacchiere politico.

 

L’ottimismo tuttavia trova giustificazione nella sociologia religiosa. Quest’ultima infatti dimostra come quasi il 90 per cento dei musulmani residenti in Francia osservi il Ramadan, meno della metà sia regolarmente “praticante” e la restante parte sia più o meno secolarizzata.

 

I protagonisti della riforma

Allo stesso tempo sui media emergono personalità che sostengono un Islam “illuminato” e liberale : lo scrittore Tahar Ben Jelloun (nato nel 1947), il teologo Ghaleb Bencheikh (nato nel 1960), il filosofo Abdennour Bidar (nato nel 1971), il rettore della grande moschea di Lione Kamel Kabtane (nato nel 1943), l’imam di Bordeaux Tareq Obrou (nato nel 1959), la dirigente d’azienda Najoua Arduini-Elatfani (nata nel 1982) e soprattutto il banchiere e consulente Hakim El Karoui (nato nel 1971), autore di L’Islam, une religion française (Gallimard, 2018), che sembra avere l’approvazione di Macron.

 

Sarà dunque la maggioranza silenziosa dell’Islam in Francia a decidere se un Islam di Francia è possibile. Lo Stato e il governo francese dovranno trovare i mezzi per contrastare la demonizzazione dell’Islam e dare la possibilità al “culto” musulmano di non dipendere più da mecenati stranieri.

 

Tutto ciò rischia però di non essere sufficiente. La soluzione elaborata per l’Ebraismo e il Cristianesimo, in cui la separazione tra sfera temporale e sfera spirituale legittima la laicità, difficilmente può funzionare per l’Islam, in cui la legge divina è superiore alle leggi umane.

 

Occorrerà dunque scoprire nella tradizione coranica ciò che ovvio non è, e probabilmente non ha precedenti: come accettare e gestire uno status di minoranza non oppressa e partecipativa in un contesto pluralista. È questa una soluzione che soltanto i musulmani di Francia (e d’Europa) possono concepire e adottare, ma che nessun presidente della Repubblica ha a portata di mano.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
Testo tradotto dal francese
 
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