Michel Younès (dir.), La fatwà en Europe. Droits de minorité et enjeux d’intégration, Profac, Lyon 2010
A parte la loro origine musulmana, che cosa hanno in comune Salman Rushdie e Taslima Nasreen? Entrambi gli scrittori hanno avuto il triste privilegio di essere bersaglio di fatwà emesse contro di loro e contenenti minacce di morte e una taglia sulla loro testa. Così, nell’immaginario collettivo la fatwà è diventata un appello, lanciato dalle fazioni islamiste violente, a colpire la vita altrui, proclamando lecito l’assassinio di chi offende i simboli sacri dell’Islam e la sensibilità dei musulmani.
Eppure nel lessico giuridico islamico il termine fatwà assume tutt’altro significato. È proprio per andare al di là di una concezione caricaturale, soprattutto di fronte alla difficoltà delle autorità europee nel disciplinare la formazione e le attività di imam e mufti autoproclamati, che questo libro, in cui si trovano interventi di specialisti in materia, acquista senso e utilità. Il volume si vuole essere uno strumento di lavoro incentrato sull’evoluzione interna dell’Islam in quanto religione minoritaria in Europa. Vi si apprende innanzitutto che, letteralmente, il termine fatwà indica un parere giuridico emesso da un esperto la cui funzione è illuminare la coscienza di chi la richiede, sulla base di un doppia ispirazione: il Corano e la Sunna. La fatwà riguarda sia gli aspetti della vita quotidiana che quelli più complessi, come la politica, la finanza, fino alla convezioni in tempo di guerra.
Il titolo del volume non è poi così provocatorio, visto che si riferisce a una comunità di tradizione religiosa e di etica islamica, di estrazione socio-culturale non europea ma facente ormai parte integrante della società occidentale. Come adattare i propri fondamenti tradizionali alla realtà socio-culturale e politica dell’Europa, in cui la comunità islamica possiede uno statuto minoritario? Come gestire i nodi conflittuali, rappresentati dalla condizione femminile, dal diritto di famiglia, dalle particolarità della finanza islamica o più concretamente dal diritto a un cimitero confessionale? Che tipo di Islam va privilegiato per garantire ai musulmani d’Europa una posizione giuridica coerente con le leggi in vigore nei paesi d’adozione? Il diritto islamico è compatibile con le leggi europee? È possibile concepire ed elaborare un diritto islamico specifico per il contesto socio-culturale europeo? Sono alcuni dei cruciali interrogativi ai quali il volume tenta di dare una risposta, passando in rassegna alcune fatwà paradigmatiche emesse nel corso del tempo.
Come sottolineato dagli autori, molti dei quali musulmani, l’Europa illuminista si dedica in modo più o meno esplicito al confinamento della religione nella sfera privata. Di fronte a tale secolarizzazione la presenza di una comunità islamica si staglia come una vera provocazione, visto che la pratica religiosa ostentatoria di una parte di essa costringe gli europei a ripensare la propria concezione della religione. D’altra parte, i musulmani d’Europa, coscienti della loro doppia appartenenza, devono prendere atto della realtà socio-culturale in cui il corso della storia li ha condotti. Essi devono far proprio un cambiamento di prospettiva, reso necessario dal fatto che nell’Europa laica l’Islam non potrà più funzionare per imitazione, così come spesso accade nei paesi islamici. L’Islam è chiamato a ripensarsi come fede-dottrina, sistema giuridico e via pratica. Conseguenza diretta e esito inatteso: l’Islam europeo potrebbe essere elevato a modello e riferimento giuridico per i Paesi in cui l’Islam è religione di Stato.
Ecco dunque un libro interessante e originale per una migliore conoscenza e comprensione dell’Islam in Europa, in vista della costruzione di un vero dialogo tra musulmani, non-credenti e credenti di altre religioni.