Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:42:32

Ormai da lungo tempo, nel mondo musulmano, è in atto un intenso dibattito circa il rapporto fra tradizione e rinnovamento, all’interno del quale assume un particolare rilievo la questione delle relazioni fra differenti culture. Il più stretto contatto con la civiltà occidentale e gli influssi da essa derivanti hanno infatti innescato nei paesi islamici un processo di trasformazione ad ogni livello da almeno un paio di secoli a questa parte. È evidente che un simile confronto, per quanto stimolante, non può che provocare anche scompensi e porre la questione cruciale di un giusto equilibrio fra le spinte innovative da un lato e la necessità di mantenere un saldo legame con le proprie radici dall’altro. Le varie proposte che sono state avanzate finora per affrontare tale situazione non si sono dimostrate capaci di risolverla. Si è anzi assistito a una polarizzazione fra due posizioni opposte, entrambe rivelatesi inadeguate e per molti aspetti controproducenti. Da un lato c’è chi opta decisamente per la modernizzazione, facendo propria l’impostazione laica e secolarizzata dell’Occidente e sostenendo più o meno esplicitamente la necessità di emanciparsi dalle forme e dalle stesse concezioni proprie del patrimonio islamico classico. Il limite di questa scelta è quello di prospettare una perdita d’identità e l’uniformazione a un modello esterno, che per di più è percepito come ostile a motivo di vari e pesanti risvolti politici. All’estremo opposto vi è chi invece ribadisce la validità perenne del sistema islamico e attribuisce l’attuale stato di decadenza e arretratezza dei paesi musulmani non a una presunta inadeguatezza di tale sistema che necessiterebbe di essere riformato, ma alla sua mancata applicazione in forme sistematiche e coerenti. Il rischio insito in questa seconda opzione è quello di immaginare un impossibile ritorno verso il passato, oltretutto mitico, che non viene cioè rievocato per quello che realmente è stato, ma ricostruito ideologicamente in funzione della situazione presente. L’esito fallimentare di altre strade tentate e un diffuso bisogno di rassicurazione hanno portato quest’ultimo orientamento a guadagnare progressivamente terreno all’interno del mondo musulmano, da circa 20-30 anni a questa parte. La maggior parte degli intellettuali islamici partecipano al dibattito in corso argomentando in favore di questa o quella opzione, mentre è più difficile imbattersi in pensatori che sappiano affrontare l’argomento da un punto di vista che non riduca la questione alla semplice accettazione o al rifiuto della modernità occidentale, proponendo ipotesi di mediazione capaci di rispondere allo stesso tempo a due esigenze apparentemente contraddittorie, ma in realtà complementari: da un lato quella di evolversi, assumendo positivamente la sfida della modernità senza limitarsi a subirla in modo passivo e subordinato, dall’altro quella di mantenersi fedeli alla propria specificità, intesa però non come un ripiegamento difensivo su di sé, quanto come un patrimonio che necessita non soltanto di essere conservato, ma anche rivisitato criticamente, arricchito e valorizzato. Mohammed Arkoun (1928-2010), algerino di nascita e francese d’adozione, è stato uno dei maggiori esponenti della prima corrente. Fin dai suoi primi studi alla Sorbona, di cui sarebbe poi diventato docente, si è interessato dell’umanesimo arabo-islamico classico, prendendo le mosse da esso per giungere a proporre un deciso ripensamento del pensiero musulmano e delle sue stesse fonti alla luce delle più moderne teorie epistemologiche e degli attuali strumenti dell’ermeneutica. Fondamentali sono state le sue riflessioni sulla differenza tra il ‘fatto’ coranico (ossia la comunicazione orale della rivelazione da parte del profeta Muhammad ai suoi contemporanei) e il testo che ne è infine risultato, quale cristallizzazione statica di un fenomeno originalmente dinamico, come pure la distinzione tra il pensato, l’impensato e l’impensabile nel patrimonio tradizionale dell’Islam così come nelle sue odierne (e solo apparentemente ‘aggiornate’) riedizioni. Benché molte delle sue opere siano state tradotte anche in arabo, l’influenza dei suoi contributi al di fuori della cerchia degli orientalisti è purtroppo rimasta modesta e il suo sforzo di demitizzare e decostruire gli ha procurato accuse di acquiescenza verso l’Occidente e la sua cultura, quando non di aperto tradimento delle sue stesse origini.