I media arabi rispecchiano le varie anime presenti nel mondo arabo e le posizioni assunte rispetto alla strage di Charli Hebdo. A parte i media dei jihadisti, tutti si dissociano dall’opzione violenta e ne individuano cause diverse, sulle quali sarebbe giunto il tempo di intervenire.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:29

L’attentato terroristico di Parigi ha suscitato un certo dibattito anche all’interno del mondo arabo che, oltre ai pezzi di cronaca, ha visto proliferare editoriali e riflessioni sul fenomeno della violenza religiosa. Se Daesh, su una delle sue emittenti radiofoniche, al-Bayân, ha definito i terroristi «eroi che hanno vendicato il profeta Muhammad» e ritiene che questa sia la giusta punizione per «la rivista che dal 2003 a oggi non ha cessato di fare del sarcasmo sul profeta», la maggior parte delle testate giornalistiche arabe hanno condannato l’attentato. La redazione del giornale indipendente Al-Quds al-‘Arabî ha pubblicato il giorno stesso dell’attentato una riflessione sulla violenza in nome di Dio, «sempre e comunque ingiustificabile», e sulla libertà di pensiero, domandandosi se questa possa essere assoluta o se debba invece essere circoscritta entro certi limiti, per non rischiare di cadere nel vituperio. «Niente può giustificare una simile azione terroristica, ma occorre anche ricordare che offendere una dottrina religiosa, un Profeta o un simbolo religioso confessionale è altrettanto inaccettabile perché ferisce i sentimenti di milioni di fedeli. Né si tratta di reprimere la libertà di opinione. La critica oggettiva nell’ottica della ricerca scientifica seria, volta al confronto delle religioni, è infatti consentita anche nell’Islam, come ricorda il versetto coranico: «e discuti con loro nella maniera migliore». Tuttavia insultare questa o quella religione, quel dio o quel Profeta non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione. Resta il fatto che la reazione non può essere quella di uccidere e compiere una strage, a maggior ragione se quelle illustrazioni erano destinate a un pubblico di non-musulmani. […] È vero che l’Occidente consente a chicchessia di criticare o fare della satira su qualunque religione, ma la Francia stessa, per esempio, punisce con la prigione chi nega l’Olocausto o mette in discussione i numeri delle vittime, senza che questo sia considerato una violazione della libertà di opinione». La redazione ritiene inoltre che la strage di Parigi rappresenti una tragedia anche per i musulmani in Occidente, che corrono il rischio di essere vittime dell’islamofobia ed eventualmente di attacchi contro le moschee e i centri islamici in Europa. Altri cercano di comprendere le ragioni della violenza religiosa dall’interno. A questo proposito il noto editorialista libanese Ridwan al-Sayyid offre su Al-sharq al-awsat una riflessione sulle responsabilità delle autorità politiche arabe e delle istituzioni religiose musulmane nel favorire il terrorismo. Secondo l’autore, la debolezza dei leader religiosi e la loro incapacità di fungere da guida, insieme allo sfruttamento della religione per fini politici da parte dei regimi, avrebbe favorito il proliferare di ideologie fondamentaliste che sfociano regolarmente in azioni terroristiche. Il processo che ha condotto allo svuotamento di significato delle istituzioni religiose avrebbe avuto inizio nei primi anni del Novecento con l’azione dei movimenti riformisti e sarebbe proseguito fino agli anni ’70, con i regimi nazionalisti. In questo arco di tempo è cambiata la funzione delle istituzioni religiose: colonne portanti, insieme allo Stato, della società islamica classica, esse operavano tradizionalmente per diffondere il messaggio islamico e insegnarlo ed erano incaricate di «custodire la religione nelle sue pratiche consolidate». Sul finire dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, tali istituzioni non sono più riuscite a stare al passo con i tempi e sono state avvertite dai nuovi regimi come un ostacolo ai programmi di modernizzazione. In questa logica i nuovi dirigenti arabi hanno fatto del loro meglio per estrometterle dalla società, privandole del loro tradizionale ruolo di guida. Le istituzioni religiose si sono perciò trovate prigioniere tra due radicalismi: da un lato i movimenti riformisti-fondamentalisti, che intendevano riportare in auge l’Islam delle origini, dall’altro i regimi che volevano espellere la religione dalla sfera pubblica. Ridwan al-Sayyid accusa in particolare i movimenti riformisti d’aver modificato le nozioni cardine della religione col pretesto di «purificarle dalla tradizione», finendo così per generare dei fanatismi che le autorità politiche si sono apprestate a contrastare in solitario, scavalcando di fatto le autorità religiose. Questa situazione, spiega l’editorialista, ha messo in pericolo sia lo Stato sia la religione. Lo Stato è a rischio perché è ormai un tutt’uno con la religione ed è diventato preda delle fazioni fanatiche che sfruttano l’Islam per arrivare al potere. La religione invece è in pericolo perché fuori controllo, dato che le istituzioni islamiche non assolvono più alle loro prerogative tradizionali. Oggi – ricorda ancora al-Sayyid – le istituzioni religiose sono chiamate a dare delle risposte. Come? Ricostruendo l’edificio culturale, dedicando maggiore attenzione alle questioni religiose piuttosto che alla loro declinazione politica e intraprendendo una riforma religiosa. Il post twittato dal produttore televisivo australiano Rupert Murdoch in cui afferma che «forse la maggior parte dei musulmani sono pacifici, ma fintanto che non riconoscono e distruggono il cancro jihadista devono essere ritenuti responsabili» ha ispirato all’editorialista saudita ‘Abd al-Rahmân al-Râshid, ex direttore di Al-Sharq al-Awsat e dell’emittente televisiva al-‘Arabiyya, una riflessione sulle responsabilità del mondo arabo nell’ascesa del terrorismo. «L’estremismo ha cominciato la sua storia nelle società [islamiche] ed è prosperato con il sostegno dei musulmani e il loro silenzio fino a diventare il mostro del terrore che oggi divora la gente in ogni parte del mondo» - spiega al-Rashîd. Per questa ragione i musulmani sono chiamati a prendere coscienza del pericolo che comportano l’esitazione e il silenzio di fronte all’estremismo «perché i confini di quanto è lecito e consentito nel pensiero sono già stati oltrepassati». Come nella prima metà del Novecento l’Europa ha contrastato l’estremismo tedesco sfociato nel nazismo – spiega ancora l’autore – così i musulmani dovrebbero ora contrastare il fondamentalismo e scendere nelle piazze delle capitali islamiche per manifestare, com’è accaduto domenica scorsa a Parigi. «La pazienza del mondo che osserva il massacro di persone in nome dell’Islam, i rapimenti di bambini in Nigeria in nome dell’Islam, la violenza sulle donne nel nord dell’Iraq in nome dell’Islam, si sta esaurendo». L’opinione pubblica mondiale, afferma l’editorialista, diventerà sempre più avversa nei confronti dei musulmani, senza più distinguere tra pacifici ed estremisti. I responsabili del terrorismo, conclude, non sono Abû Bakr al-Baghdâdî o Abû Muhammad al-Jawlânî, il capo di Jabhat al-Nusra, quanto i regimi politici che non fanno quanto devono perché «temono le ire delle minoranze estremiste presenti nelle loro società e non si preoccupano se oltre i loro confini il mondo va a fuoco a causa della loro negligenza». Link agli articoli: Redazione, Mujzarah Charlie Hebdo: al-muslimûn hum al-dhahiyyat al-ulà Ridwân al-Sayyid, Al-mu’assasât al-dîniyyah wa siyâsât al-dîn wa al-dawlah ‘Abd al-Rahmân al-Rashîd, Murdoch: al-muslimûn yatahammalûn mas’uliyyah al-irhâb