Autore: Amartya Sen
Titolo: Identità e violenza
Editore: Laterza, Roma~Bari, 2006

Titolo Originale: Identity and Violence. The Illusion of Destiny
Editore: W.W. Norton & Company, New York~London, 2006

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:53

L'illusione dell'identità unica è molto più foriera di divisioni che non l'universo di classificazioni plurali e variegate che caratterizza il mondo in cui viviamo realmente. La debolezza descrittiva dell'unicità senza scelta ha l'effetto di impoverire gravemente la forza e la portata del nostro ragionamento sociale e politico. L'illusione del destino esige un prezzo straordinariamente pesante» (p. 19). Le considerazioni ora riportate racchiudono il nucleo concettuale del volume di Amartya Sen, docente di economia e filosofia morale alla Università di Harvard e Premio Nobel per l'economia nel 1998. Il libro è nato da una serie di lezioni tenute a Boston, tra novembre del 2001 e aprile del 2002, che hanno come filo conduttore il ruolo delle identità nelle trasformazioni sociali e culturali in atto a livello globale. I titoli dei capitoli, che rimandano a parole come violenza, identità, civiltà, Islam, Occidente, cultura, globalizzazione, multiculturalismo, libertà, danno l'idea di una complessità e di una ricchezza che non è facile restituire in poche battute. Conviene pertanto concentrarsi solo sulla tesi di fondo e su alcuni snodi fondamentali del libro. Per Sen, la strada che porta ad una pacifica convivenza tra i popoli passa dal riconoscimento della natura plurale delle appartenenze e, quindi, delle identità: nella nostra epoca bisogna cioè prendere le distanze tanto dalla "indifferenza per l'identità", una concezione secondo la quale nelle azioni individuali il sentimento di identità con altri da sé non ha rilevanza, quanto dall'"illusione solitarista", secondo la quale una persona ha una sola identità (in genere secondo Sen quella religiosa), che annulla tutte le altre. L'illusione solitarista è quella che porta a concepire il mondo come una federazione di religioni e di civiltà, che può facilmente scoppiare in violenza. Per Sen una politica multiculturale deve favorire libertà culturale e diritti umani e non una situazione in cui due (o più) stili e tradizioni co-esistono, ma sono rigidamente separati. Questo secondo esempio di multiculturalismo, riconducibile al modello britannico, andrebbe chiamato piuttosto "monoculturalismo plurale su base religiosa". Ogni uomo appartiene a gruppi diversi e poiché ogni appartenenza conferisce un'identità potenzialmente importante, dobbiamo essere in grado di decidere quali sono le identità rilevanti e soppesare l'importanza relativa di queste diverse identità. Nelle scelte identitarie sono chiamati in causa non solo il calcolo utilitaristico, ma anche il contesto sociale e i vincoli che esso pone. Contro le derive comunitarie e fondamentaliste, Sen rivendica la «priorità della ragione», il fatto cioè che «la ragione deve essere messa al primo posto, perché anche se vuoi contestare la ragione devi portare delle ragioni» (p. 164). L'autore del libro non propone come modello istituzionale la costituzione di un gigantesco Stato mondiale, ma auspica una situazione in cui sia possibile interrogarsi sui valori, sull'etica, sul senso di appartenenza all'interno di uno spazio pubblico mondiale che coinvolga non solo organismi "istituzionali" (come l'ONU), ma anche i protagonisti di una società civile globale (organizzazioni di cittadini, ONG, settori indipendenti dei mezzi di informazione), peraltro ancora lontana dal realizzarsi. Come si vede da questa sintetica ricostruzione, nel libro Sen parla di molte (troppe?) cose, andando a toccare i nervi scoperti della nostra epoca. La sua riflessione si inserisce in dibattiti molto articolati (basti pensare, solo per fare due esempi, agli studi di Eisenstadt o alla ricerca sulle globalizzazioni multiple curata da Berger e Huntington) portando un contributo di rilievo, a livello di analisi, per demistificare vecchie e nuove ideologie. Su piano operativo, quello delle politiche culturali dell'identità, il saggio non sembra in grado di offrire soluzioni o ricette. Non era questo, del resto, lo scopo di un libro che vale la pena leggere.

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