Inizialmente estranee alle manifestazioni di piazza del 2010-2011, istituzioni e organizzazioni islamiche hanno accompagnato da vicino la turbolenta fase post-Primavera araba.

Questo articolo è pubblicato in Oasis 31. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:39

Inizialmente estranee alle manifestazioni di piazza del 2010-2011, istituzioni e organizzazioni islamiche hanno accompagnato da vicino la turbolenta fase post-Primavera araba. I mutamenti intervenuti a livello politico e la violenza jihadista riesplosa in Medio Oriente hanno indotto dei cambiamenti anche nel discorso religioso, che però non ha fatto i conti fino in fondo con le istanze personaliste emerse durante le rivolte. 

 

«Allah non c’entra nulla»: così, commentando la rivoluzioni del 2010-2011, Emmanuel Todd sintetizzava la loro natura secolare[1]. Secondo il demografo francese, infatti, la Primavera araba è stata la manifestazione politica di trasformazioni sociali più profonde, in particolare nella struttura famigliare, verificatesi indipendentemente dall’identità islamica dei Paesi attraversati dalle proteste. Peraltro, erano stati gli stessi slogan scanditi nelle piazze, con il loro accento su valori universali come la giustizia, la libertà e la dignità umana, a suggerire questa lettura, confermata in seguito dalle ricerche che hanno provato a tratteggiare un profilo dei manifestanti[2].

 

Il ritorno dell’Islam

 

Assente all’inizio della grande mobilitazione, l’Islam non ha comunque tardato a riprendersi il suo spazio, accompagnando da vicino le transizioni post-rivoluzionarie. In Egitto, la moschea-università di al-Azhar, che inizialmente aveva scoraggiato la partecipazione alle proteste in nome della stabilità politica, interviene nel dibattito pubblico con una serie di dichiarazioni sui cambiamenti in atto, prendendo posizione a favore di uno «Stato nazionale costituzionale democratico moderno» e proponendosi come «faro» nella definizione dei rapporti tra politica e religione[3].

 

Intanto, mentre i Fratelli Musulmani emergono, insieme all’esercito, come l’unica forza che per organizzazione e disciplina è in grado di mettersi alla guida della fase post-rivoluzionaria, in alcune piazze iniziano a riecheggiare parole simbolo dell’immaginario islamista. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2012, la Guida generale della Fratellanza paragona il candidato di quest’ultima, Mohammed Morsi, ad Abū Bakr, primo califfo della umma islamica. Morsi fa suo il riferimento e una volta eletto, rivolgendosi da neo-presidente alla nazione, cita pressoché alla lettera un passaggio del discorso d’insediamento del suo illustre “predecessore”[4].

Per continuare a leggere questo articolo devi essere abbonato Abbonati
Sei già abbonato? Accedi

Tags