Questo articolo è pubblicato in Oasis 9. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:01

Normalmente le istruzioni per l’uso non godono di molta considerazione letteraria o scientifica. E forse l’autore di questo volume, il coltissimo padre gesuita Christian Troll, non vorrebbe vederlo accostato a un manuale di indicazioni e soluzioni. Ma in questo caso vogliamo dare a “istruzioni per l’uso” il senso di un’opera imperdibile, di uno strumento essenziale per qualunque tipo di approccio cristiano-musulmano. In oltre trecento pagine, pubblicate lo scorso anno in Germania e da poco in Italia, che raccolgono interventi e saggi prodotti in almeno una decina d’anni, padre Troll porta a termine un lavoro esemplare, quello suggerito dal titolo: e cioè la distinzione e la messa in luce di tutti (e ci sono proprio tutti) gli elementi che differenziano in modo più o meno radicale l’Islam e il Cristianesimo. Il motivo è evidente. Comprendersi, e magari, come molti suggeriscono, condividere alcune responsabilità comuni, ha una condizione: conoscersi. E conoscersi significa paragonarsi, mettere sul tavolo ciò che costituisce me e ciò che costituisce te. Così il testo procede di tappa in tappa comparando le dimensioni essenziali delle due fedi, i loro parallelismi e i loro contrasti. La prima parte si inerpica lungo le strade del dialogo: perché è necessario e perché è difficile. «I cristiani europei (è a loro che l’autore si rivolge in modo particolare, ndr) sono chiamati come singoli e come gruppi e comunità a percepire e riconoscere i cambiamenti che il trapianto relativamente improvviso di comunità musulmane in molte parti del continente ha provocato». E prosegue proponendo di accettare «il dato di fatto con cuore aperto» e «atteggiamento positivo». La citazione non tragga in inganno: non è detto che la strada per raggiungere uno scopo giusto e bello sia diritta e pianeggiante. Al di là della facile retorica “unitaria”, emergono possenti e irriducibili le differenze: Sacre Scritture, fondatori, istituzioni. E la diversità non ha a che fare semplicemente con fatti storici, ma riguarda “l’origine” di un modo di pensare la vita e il mondo, che l’autore racchiude in alcune formule. «Secondo la concezione islamica la persona come serva e rappresentante di Dio, chiamata a obbedire e a rispondere alla volontà di Dio così come essa è stata rivelata in maniera definitiva e conclusiva nel Corano; da parte della fede cristiana l’idea della persona umana secondo l’immagine di Cristo mediante la forza dello Spirito Santo. Nell’Islam doveri umani, espressamente rivelati e imposti da Dio, determinati e suggellati per così dire dalla sharî‘a divinamente sanzionata; nella dottrina cristiana diritti umani fondati sulla natura umana in quanto tale». Nella seconda parte sono articolate le differenze nella fede, dalla concezione stessa del dialogo, ad Abramo, alla natura del “profeta” Gesù e del “profeta” Maometto. La terza parte è intitolata Valutazioni della teologia con riferimenti alla concezione della parola di Dio e alla elaborazione teologica e magisteriale cristiana in relazione all’Islam. Si può convivere così? – viene da chiedersi. Se questa distanza si ripercuote in così tanti e profondi aspetti dell’esistenza, quale mai contatto sarà possibile, quale mai comprensione? La strada è appunto non semplice. Ci sono però segnali positivi, richiami reciproci che incoraggiano a continuare. I cristiani ad esempio devono riconoscere che «la cosa più impressionante della fede islamica vissuta è senza dubbio la coscienza della maestà e della presenza di Dio. Tale coscienza si esprime e si rinnova di continuo nel fedele adempimento della preghiera rituale di innumerevoli uomini e donne». D’altronde «d’importanza essenziale sarà che tutti i musulmani comprendano che l’ordinamento giuridico democratico secolare è la condizione universalmente richiesta della possibilità di una convivenza plurale nella solidarietà e nella giustizia». Quindi, suggerisce padre Troll, se ci guardiamo impariamo. E questo lo dicono in tanti. Ma in genere la loro proposta è per un osservarsi ebete, senza espressione né affettività. Invece quello che chiede l’autore, che nel corso di una vita ha accumulato una rigorosa e precisa competenza, è un guardarsi cosciente, autocosciente. Di sé e dell’altro, e di tutto ciò che ci rende molto, molto diversi. Sola possibilità per potersi riconoscere uguali nell’unica condizione umana. Roberto Fontolan

Tags