Un Paese in fermento si proietta nel futuro, cercando di dimenticare gli orrori della dittatura sovietica

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:06

Da poco l'opinione pubblica mondiale ha sentito parlare del Kazakistan, delle sue ricchezze petrolifere e minerarie in genere, dei gravi problemi ecologici provocati dagli oltre 400 esperimenti nucleari a cielo aperto, effettuati a Semipalatinsk o dal disastro del lago Aral, frutti avvelenati dell'epoca sovietica. Di quell'epoca sovietica in cui molti finirono nei gulag del Kazakistan a causa delle persecuzioni religiose o politiche, o semplicemente per la disgrazia di appartenere ad un'etnia o a un gruppo sociale "sospetto".

Già prima dell'era sovietica questo immenso territorio, che va dal mar Caspio alla catena del Tian Shan, fu attraversato da innumerevoli flussi emigratori, fu visitato da esploratori e mercanti in cerca di fortuna, fu anche teatro di guerre sanguinose, spesso vere e proprie guerre di sterminio, perché, si sa, nella steppa sconfinata i nomadi non possono fare prigionieri.

Il Kazakistan, e l'Asia Centrale in genere, è stata la culla della civiltà tjurka, di cui i turchi sono solo una delle componenti. Qui hanno vissuto i saki, gli unni di Attila, prima di spostarsi a occidente. Qui sono arrivati i mongoli che hanno imposto la loro dominazione e hanno lasciato tracce indelebili anche nelle caratteristiche genetiche degli attuali kazaki. Qui i nomadi della steppa, che avevano una visione del mondo in parte derivata dalla religione di Zoroastro e in gran parte frutto di un naturalismo ricchissimo di senso religioso, si sono incontrati con i primi predicatori musulmani venuti dalla Persia e poi dall'Arabia.

Fino all'anno Mille i kazaki rimasero molto refrattari a questa predicazione che contraddiceva in troppi punti la loro tradizione. Solo con Ahmed Hadgi Jassavy, grande maestro sufi di Turkestan, trovarono un "compromesso storico" con l'Islam accettandone i principi, ma continuando a conservare proprie tradizioni tipiche. Per questo non c'è da stupirsi se anche oggi, visitando un museo kazako, si possono trovare mirabili esempi di arti figurative che rappresentano anche il corpo umano. Non c'è da stupirsi se il culto dei morti kazako non è proprio islamicamente ortodosso o se, nel 1670, le tre grandi orde kazake, riunitesi a convegno, si diedero un vero e proprio diritto civile kazako (le sette leggi) che in molti punti si distacca dalla shari'a.

Quando nell'VIII secolo Cirillo e Metodio insegnarono agli slavi un alfabeto per poter scrivere, gli antenati dei kazaki già da molto tempo sapevano scrivere la loro lingua tjurka, usando alfabeti diversi a secondo degli interlocutori. Così le tribù che avevano accettato l'Islam scrivevano il kazako in caratteri arabi, quelli che erano diventati cristiani in caratteri armeni, - l'alfabeto di un popolo che aveva un ruolo importante nel controllo della via della seta - altri, che avevano rapporti commerciali e diplomatici coi cinesi, usavano i loro caratteri e i loro codici. Poi vennero anche i russi. All'inizio si accontentarono di costruire dei forti sui grandi fiumi che venivano dai monti situati sul confine cinese. Compravano soprattutto cavalli che crescevano in grandi mandrie selvagge controllate dai kazaki, abilissimi cavalieri.

Come testimonia Ciocan Valikhanov, kazako divenuto ufficiale nell'esercito russo, i russi, a differenza dei bianchi americani, non cercarono di sterminare i nomadi della steppa. Anzi, la Chiesa ortodossa cominciò tra loro un'opera di evangelizzazione, anche in dissaccordo con le direttive degli zar. Purtroppo, dice Valikhanov, gli evangelizzatori pretesero che i kazaki, per diventare cristiani, diventassero russi, cioè assumessero il modo di vivere, di vestirsi e anche la lingua dei russi... Così i frutti dell'evangelizzazione "coloniale" furono scarsi.

Mercanti ambasciatori

Nella steppa il Cristianesimo era per la verità arrivato presto, e certo non per un piano di evangelizzazione. Secondo dati dell'Università di Tashkent (Uzbekistan) i primi gruppi di cristiani furono qui alcuni soldati romani caduti in prigionia dopo una guerra coi persiani e deportati a Merv, oggi situata nel Kazakistan del sud. Presto si confusero con altre comunità cristiane di obbedienza nestoriana. I nestoriani vissero a lungo e in pace con la maggioranza delle tribù più o meno convertite all'Islam, anche perché, non avendo accettato la formula efesina di Maria Theotokos, Madre di Dio, potevano più facilmente essere assimilati ai musulmani. Nestoriani furono tre dei quattro maestri di Al-Farabi, autore fondamentale della filosofia arabo islamica (e non solo) che, pur scrivendo in arabo, era in verità un tjurko della steppa. Arrivarono poi nel Medioevo molti mercanti-ambasciatori, cioè commercianti cui era affidata anche una missione pontificia ufficiale, tra cui Marco Polo e altri veneziani.

Ne dà notizia, tra gli altri, il Professor Giampiero Bellingeri nel suo recente saggio Il distacco del viaggiatore: itinerari testuali e ricognitivi verso l'Asia Centrale, pubblicato nel volumetto Ad Orientes, viaggiatori veneti lungo le vie d'Oriente e gli fa quasi da contrappunto, in campo kazako, la professoressa Dariko Majhidenova, insegnante presso l'Università Nazionale Eurasiatica e presso l'Accademia Diplomatica della Repubblica del Kazakistan che, nel suo libro, Il servizio diplomatico nel contesto dell'evoluzione della politica mondiale, ricorda in un capitolo apposito l'intensa attività dei mercanti-diplomatici italiani, soprattutto delle repubbliche marinare e, in primo luogo, di Venezia . Nel 1300 una missione di francescani, con la protezione del khan locale, si stabilì non molto lontano dall'attuale Almaty. Uno dei frati, Riccardo di Borgogna, fu il primo vescovo del Kazakistan, ma alla morte del khan che li aveva invitati, il fratello, un derviscio ostile ai francescani, li sterminò tutti insieme alla piccola comunità che si era creata attorno a loro.

Poi, molto dopo, arrivarono i russi. I maggiori esponenti della cultura kazaka, a cominciare dal grande poeta Abai Kunanbai, vate nazionale, ebbero con loro un rapporto molto aperto. Abai (1845-1904) sosteneva che attraverso il rapporto con i russi e l'uso della lingua russa i kazaki potevano uscire dall'isolamento e, da una parte, far conoscere al mondo la propria tradizione, mentre d'altra parte potevano imparare tutto ciò che era utile dall'Europa. Dopo la Rivoluzione d'ottobre, che pure ufficialmente promuoveva l'internazionalismo, di fatto l'Asia Centrale cominciò a subire una russificazione forzata, non solo nella lingua, ma anche a livello sociale. Così al tempo della collettivizzazione forzata i kazaki, pastori della steppa, furono obbligati a diventare contadini e operai, a vivere in città e fattorie collettive. Così in pochi anni, non meno di due milioni di kazaki, degli otto che allora vivevano nel paese, morirono per l'impossibilità ad adattarsi a questa nuova vita, ma soprattutto per la "grande fame" che fu la prima conseguenza di questa rivoluzione sociale. In queste circostanze non pochi fuggirono in Mongolia e in Cina, e solo ora stanno tornando in patria. Non parlano il russo, hanno conservato le tradizioni e la lingua del popolo, ma proprio per questo, a volte, nonostante l'esistenza di leggi a loro favore, fanno fatica a integrarsi nell'attuale società kazaka post-sovietica.

Convivenza pacifica

È questa una società in fermento, non solo economico. In politica è difficile parlare di una vera e propria democrazia secondo gli standard europei, ma è indubitabile che è in atto un processo di democratizzazione, anche se spesso più nei principi e nelle leggi che nella pratica. Il vero miracolo kazako, esempio interessante per tutto il mondo, è comunque la convivenza pacifica, anche se ovviamente non sempre facile, tra più di cento etnie e tra le grandi religioni, soprattutto Islam e Cristianesimo, che ricominciano ad affiorare nella coscienza popolare. Dopo gli anni della persecuzione, anche religiosa, che hanno portato a una cultura ateistica generalizzata, la religione sta diventando persino una moda. Nel mondo musulmano, che qui è sempre stato molto aperto e tollerante (tranne eccezioni...) cominciano a manifestarsi nuove tendenze, arrivate insieme ai cospicui finanziamenti del mondo arabo, che preoccupano non poco il governo.

Nel mondo cristiano la Chiesa Ortodossa è evidentemente un elemento importante della comunità russa (circa il 30% della popolazione); la Chiesa cattolica e la Comunità luterana per lo più coincidono con comunità etniche, finite qui sopratutto per le deportazioni di massa. C'è poi il nuovo fenomeno delle sette in cui non è sempre facile distinguere l'aspetto religioso dagli interessi economici o politici. D'altra parte il pericolo dell'estremismo di un certo mondo islamico e delle sette rischia di reintrodurre nella società un sospetto a priori nei confronti delle esperienze religiose più vere, che sono anche le più vive.

La vera sfida dei prossimi anni si giocherà proprio nel campo dell'educazione. Non è possibile immaginare una vera democrazia, di qualunque tipo sia, e neanche un vero e duraturo sviluppo, senza forze nuove nel campo culturale e spirituale. A questo proposito è importante ricordare la storica visita di Giovanni Paolo II, recatosi ad Astana, la nuova capitale, dal 22 al 24 settembre 2001, cioè undici giorni dopo gli sconvolgenti atti terroristici in America. Scrisse allora il Rettore dell'Università Nazionale Eurasiatica, Professor Myrzatai Zholdasbekov, attualmente direttore del Centro culturale posto sotto l'egida del presidente: «Nonostante tutte le ansie [per gli atti terroristici], il Kazakistan è stato il primo paese dove la maggioranza della popolazione risulta seguace dell'Islam, che il Pontefice abbia visitato dopo gli attentati, senza badare agli ammonimenti per la presunta non sicurezza della visita» e ancora «il Papa ha manifestato sincero interesse per il popolo del Kazakistan, per la sua cultura religiosa, per la sua tradizione e per ogni persona».

D'altra parte Giovanni Paolo II, durante la sua visita, anche da lui a lungo desiderata, ha voluto, e non a caso, dire una parola particolarmente autorevole su alcuni temi fondamentali per il dibattito politico, culturale e religioso. Rivolgendosi agli studenti dell'Università Nazionale Eurasiatica, e in diretta attraverso il collegamento tv a tutti gli studenti del Kazakistan, ha voluto toccare il tema della repressione, del rapporto repressi-repressori, dopo la caduta dell'illusione comunista: «Sono lieto di incontrarmi con voi, discendenti del nobile popolo kazakistano, fieri del vostro indomabile desiderio di libertà, sconfinato come la steppa in cui siete nati. Avete vicende diverse alle spalle, non prive di sofferenza. Siete qui seduti, l'uno accanto all'altro, e vi sentite amici, non perché avete dimenticato il male che c'è stato nella vostra storia, ma perché giustamente vi interessa di più il bene che potrete costruire insieme. Non c'è infatti vera riconciliazione che non sfoci generosamente in un impegno comune. Siate consapevoli del valore che ciascuno di voi possiede e sappiate accettarvi nelle rispettive convinzioni, pur cercando assieme la verità piena. Il vostro Paese ha sperimentato la violenza mortificante dell'ideologia. Che non succeda a voi di essere ora preda della violenza non meno distruttrice del nulla». E ancora, parlando del ruolo particolare del Kazakistan nel campo dell'incontro e del dialogo tra le diverse culture: «Un saluto particolare rivolgo al Signor Rettore ed alle Autorità accademiche di questa recente e già prestigiosa Università. Il suo stesso nome, Eurasiatica, ne indica la peculiare missione, che è la stessa del vostro grande Paese, posto come cerniera tra l'Europa e l'Asia: missione di collegamento tra due continenti, tra le rispettive culture e tradizioni, tra gruppi etnici diversi che vi si sono incontrati nel corso dei secoli. Il realtà, il vostro è un Paese in cui la convivenza e l'armonia tra popoli differenti possono essere additate al mondo come segno eloquente della chiamata di tutti gli uomini a vivere insieme nella pace, nella conoscenza ed accoglienza reciproca, nella scoperta progressiva e nella valorizzazione delle tradizioni proprie di ciascuno. Il Kazakistan è terra di incontro, di scambio, di novità; terra che stimola in ciascuno l'interesse per nuove scoperte e induce a vivere la differenza non come una minaccia, ma come un arricchimento».

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Edoardo Canetta, Per i kazaki la religione è tornata di moda, «Oasis», anno III, n. 6, ottobre 2007, pp. 96-98.

 

Riferimento al formato digitale:

Edoardo Canetta, Per i kazaki la religione è tornata di moda, «Oasis» [online], pubblicato il 1 ottobre 2007, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/per-i-kazaki-la-religione-e-tornata-di-moda.

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