Yadh Ben Achour, La deuxième Fâtiha, L’Islam et la pensée des droits de l’homme, PUF, Paris 2011

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:53

Professore di diritto pubblico e filosofia del diritto, specialista del pensiero politico dell’Islam e membro dell’Istituto di diritto internazionale, Yadh Ben Achour motiva il titolo del suo libro in questi termini: «I versetti 23-37 della sura al-Isrâ’ […] hanno una forza paragonabile a quelli della prima sura del Corano, intitolata Fâtiha […]. A motivo della loro importanza, mi permetto di raggrupparli sotto il nome di “Seconda Fâtiha”: per la magnificenza della sua ispirazione, questo brano del Libro Sacro ha in effetti il privilegio di guidare credenti e non credenti verso un’etica universalmente accettabile, potenzialmente ispiratrice di un diritto moderno […]. Per indirizzare il pensiero musulmano verso un rinnovamento radicale occorre rileggere i quattordici comandamenti di questa sura che apre il Corano». Chi non vede che questi 14 versetti della sura 17 riprendono, più o meno, i dieci comandamenti del Sinai? Ben Achour illustra in primo luogo quelli che sono i «diritti moderni». Quest’ultimi rivelano «uno sviluppo senza precedenti dello spirito di giustizia», illustrato nei primi tre capitoli. L’autore costata che «l’internazionalizzazione storica dei diritti dell’uomo [ha finito per] elaborare un concetto universale di “diritto per tutti gli uomini”». È vero che il rispetto dei diritti dell’uomo è «una conquista difficile, [poiché il loro] principio ha dovuto imporsi contro questa sorta di “servitù volontaria” che le società hanno organizzato attraverso i secoli». Ora, «la modernità ha precisamente la pretesa di mettere fine a questa “servitù”». Ben Achour considera allora i rapporti tra «l’Islam e la nozione di diritti dell’uomo», ricordando che «esistono chiaramente dogmi, valori o altre convinzioni stabili che hanno la possibilità di attraversare il tempo e gli spazi senza alcuna alterazione visibile». Lo stesso vale per il concetto di uomo, insân. La sua natura, il suo destino, le sue caratteristiche fondamentali, il suo posto nel cosmo, le sue relazioni con le altre creature […] sono definiti dal Corano e dagli hadîth». Si tratta di valori trascendentali di cui l’autore intende valutare bene l’importanza. Sarebbero allora numerosi i musulmani che tentano «di realizzare un’unione difficile, se non impossibile, tra il pensiero moderno dei diritti dell’uomo e la filosofia del diritto nell’Islam», in un concordismo che ha però i suoi limiti. Vi sono poi anche quanti negano «per principio il valore di questa filosofia dell’uomo e della legislazione che ne deriva». È nel capitolo IX, La lettre et l’esprit (149-163) che Ben Achour esprime il meglio del suo pensiero: a suo avviso «l’Islam deve prendere coscienza di un fatto capitale: per sopravvivere degnamente nel mondo moderno deve giustificarsi da un punto di vista universale […]. Il linguaggio del diritto, a meno di condannarsi al relativismo, deve attingere alle risorse della ragione universale, valida per tutti […]. Un linguaggio comune implica un patrimonio comune, e questo patrimonio esige, se non un silenzio totale, almeno una messa in sordina delle ambizioni religiose particolari». Nella Conclusione (177-183), Ben Achour auspica che «le società islamiche di oggi [generino] esse stesse il proprio superamento», conducendo «quattro battaglie prioritarie»: «Spiegare perché, a livello umano, la filosofia dei diritti dell’uomo è superiore a tutte quelle che basano la loro concezione del diritto su una volontà esteriore considerata sovrana dagli uomini e dalle loro leggi […]; spiegare che il nocciolo dell’asservimento proviene da questa confusione tra il religioso e il politico […]; denunciare senza timore certe pretese della scienza neo-islamologica di antropologi, sociologi e altri social scientists che ci invitano a descrivere, calcolare e comprendere, senza giudicare, in nome della “scienza” e dell’oggettività […]; spiegare che la nascita della libertà non è un problema di parole e ancor meno di menzogne. Essa si può realizzare solo in un sistema istituzionale detto “democratico” nella quale tuttavia la legge del numero non è il principio».

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