Conversazione con il costituzionalista Antoine Messarra che ci spiega come l'impasse istituzionale di Beirut sia tutta legata alla politica regionale

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:26

C’è un piccolo Paese del Levante che è senza presidente da due anni. Il fatto che il Parlamento del Libano si sia riunito pochi giorni fa e abbia fallito per la quarantesima volta – 40 – a eleggere un capo di Stato è ormai una notizia che non fa notizia, che passa inosservata. La prossima sessione sarà il 23 giugno, ma poco importa, perché anche allora si riproporrà uno schema che va avanti da 24 mesi: il Parlamento non raggiunge il quorum legale per la votazione, perché il blocco politico formato dai deputati sciiti di Hezbollah e dai loro alleati cristiani guidati dal generale Michel Aoun boicotta il voto. L’ex presidente Michel Sleiman accusa da mesi la compagine appoggiata dal regime siriano di Bashar al-Assad e dall’Iran di causare scientificamente un blocco istituzionale. Secondo il complicato assetto costituzionale libanese, fondato sul riconoscimento delle diverse comunità religiose del Paese, il presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Se le forze di Hezbollah e i loro alleati vicini alla Siria sostengono il generale Aoun, il capo del blocco rivale, appoggiato da Riad, il sunnita Saad Hariri, ha recentemente utilizzato una carta che ha fatto traballare gli avversari. Invece di proporre alla presidenza un nome solidamente ancorato al suo campo, ha scombinato i giochi con la proposta di Sleiman Franjieh, noto per la sua vicinanza a Damasco e alla famiglia Assad. Non è bastato però a smuovere l’impasse. Il piccolo Libano, da anni uno dei teatri del più vasto scontro regionale tra Arabia Saudita e Iran, resta in questo momento in secondo piano rispetto agli interessi delle due potenze in Siria. Il partito e le milizie di Hezbollah non sembrano inoltre interessati a una ripresa della vita istituzionale, che potrebbe riportare in voga il dibattito sulla loro demilitarizzazione, proprio ora che migliaia di combattenti libanesi sono impegnati in una guerra oltre confine. Inoltre, il movimento mira a una riforma della legge elettorale in senso proporzionale che non favorirebbe i sostenitori di Hariri. “La prudenza secondo Aristotele è una grande virtù politica. Penso che i libanesi in questo momento stiano praticando questa virtù”, racconta a Oasis Antoine Messarra, membro del Consiglio costituzionale libanese e professore all’università Saint-Joseph di Beirut. Il Libano secondo Messarra è un Paese che serve ad alcuni attori regionali per prendere posizione nella politica dell’area, ma allo stesso tempo il solo Paese dove, facendo il paragone con il resto della regione araba, c’è un clima di libertà e pluralismo reali, “anche se manca di senso dello Stato”. “Oggi il Libano non è occupato da truppe sul terreno, ma da forze politiche interne subordinate a forze esterne: un asse siro-iraniano che paralizza le istituzioni. I libanesi però sono diventati più saggi a causa delle loro esperienze”. “Anche se i deputati, secondo i termini della Costituzione, riuscissero a eleggere un nuovo presidente, questo presidente riuscirà ad arrivare a palazzo, a governare effettivamente?”, si chiede il professore. “Ecco perché i libanesi sono prudenti”: nonostante il lunghissimo blocco istituzionale, il Paese levantino resta comunque una delle rare aree di stabilità della zona. Per eleggere il capo di Stato servono i due terzi dell’assemblea parlamentare, quindi 86 dei 128 deputati. Nulla al momento sembra indicare sviluppi nelle prossime settimane. Non è la prima volta che il Libano resta senza un presidente: è accaduto nel 1998, poi nel 2007, ma mai per più di sei o sette mesi. Il blocco attuale indica, ha scritto ripetutamente la stampa internazionale, un chiaro cortocircuito e mal funzionamento delle istituzioni interne. La prova sarebbe l’auto-prolungamento con cui nel 2013 il Parlamento, avvallato dal Consiglio costituzionale, ha esteso il proprio mandato fino a maggio 2017. Messarra, che di quel Consiglio costituzionale è membro, difende quella decisione come garante di stabilità: “Ha evitato l’estensione del vuoto istituzionale”. E a chi gli chiede se l’impasse politica indichi la necessità di una revisione della Costituzione risponde: Non c’è un problema costituzionale, non si deve cambiare la Costituzione. Quello che c’è nella Costituzione libanese è il massimo cui possiamo aspirare”. Il blocco, detto altrimenti, è puramente politico.