Il progetto di ricerca di Oasis per il biennio 2020-2021, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Cariplo, studia il nuovo (dis)ordine del Mediterraneo allargato, un processo iniziato con le rivoluzioni arabe del 2011 e non ancora concluso

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:19

Dopo aver suscitato un entusiasmo generalizzato, le rivoluzioni arabe del 2011 sono state liquidate come un sostanziale fallimento. Il loro effetto principale non è stata infatti la tanto auspicata democratizzazione del Medio Oriente, bensì la creazione di un nuovo (dis-)ordine regionale, dominato da repressione autoritaria, guerre civili e fondamentalismo islamista.

 

Il 2019 però ha visto una nuova ondata di proteste in Algeria, Sudan, Libano e Iraq, culminate nei primi due casi nella rimozione di presidenti al potere da decenni. Questo fatto ha dimostrato che il ciclo storico cominciato nel 2011 non è chiuso. Più che fallite, le rivoluzioni che ormai quasi dieci anni fa hanno investito gran parte del mondo arabo possono dunque essere considerate incompiute, perché hanno messo in luce, senza risolverla, la crisi del patto sociale su cui si sono retti i sistemi politici arabi post-coloniali e la necessità di rifondarlo. Ma non ci sono solo le proteste. Corroborano la tesi delle rivoluzioni incompiute anche i mutamenti strutturali che le società del Nord Africa e del Medio Oriente hanno conosciuto nei decenni precedenti le manifestazioni del 2011. Già nel 2007, i demografi francesi Emmanuel Todd e Youssef Courbage segnalavano per esempio che i Paesi arabi stavano vivendo la loro transizione demografica, caratterizzata da una crescita del tasso di alfabetizzazione e dalla diminuzione del tasso di fecondità, e che questo avrebbe avuto dei riflessi anche a livello politico[1]. Negli ultimi anni, questi indicatori hanno segnalato un’inversione di tendenza, e resta da capire se questo fenomeno sia solo congiunturale o annunci invece un processo contrario a quello che ha portato alle rivoluzioni.

 

A questo quadro si è aggiunto nel 2020 il Coronavirus, con i suoi effetti ambivalenti: se da un lato la chiusura generalizzata dello spazio pubblico ha consentito ai regimi in carica di congelare temporaneamente le proteste di piazza, dall’altro l’emergenza sanitaria ha messo ulteriormente in luce l’inefficienza e l’opacità di molti sistemi politici della regione. Più impattante ancora annuncia di essere il crollo, accelerato dalla pandemia, dei prezzi del petrolio. Nel 2015, concludendo il suo studio sulla risposta contro-rivoluzionaria al fermento democratico del 2011, Jean-Pierre Filiu individuava nel calo del prezzo del petrolio l’unico «raggio di speranza» in un «panorama tetro». Un petrolio meno costoso – scriveva lo storico francese – «potrebbe alleviare la devastante pressione sulla società e sui sistemi politici arabi, nello stesso modo in cui l’assenza di petrolio è stata decisiva per il successo della transizione tunisina»[2]. Ciò comunque non implica alcun automatismo nella relazione tra i prezzi degli idrocarburi e la democratizzazione della regione. Come prevedeva questa estate The Economist «La fine dell’età del petrolio porterà dei cambiamenti. Ma prima di tutto porterà dolore»[3]. È infatti prevedibile che, per effetto della pandemia, nei prossimi anni Medio Oriente e Nord Africa saranno investiti da una preoccupante ondata di povertà, con tutte le tensioni che ne conseguono.

 

Proprio per contribuire alla riflessione sulle trasformazioni in atto, nel biennio 2020-2021 la Fondazione Oasis ha intrapreso, con il sostegno della Fondazione Cariplo, il progetto di ricerca “Rivoluzioni incompiute – Stato, religione e cittadinanza nel Mediterraneo allargato”.

 

 

Il progetto

 

Come suggerito dal sottotitolo, la ricerca condivide tra i suoi presupposti l’idea che Medio Oriente e Nord Africa siano politicamente caratterizzati da una «crisi di cittadinanza»[4], iniziata con la nascita stessa degli Stati arabi moderni e proseguita con lo “scambio autoritario” dei regimi post-coloniali, in base al quale i cittadini rinunciavano ai loro diritti civili e politici in cambio di diritti economici e sociali[5].  Non è un caso che proprio la categoria di cittadinanza, con il correlativo “Stato civile”, si sia trovata al centro di dibattiti e rivendicazioni sia durante le rivoluzioni del 2011 che in quelle del 2019. Questa nozione, considerata come chiave per superare i rapporti di dominanza tra maggioranza e minoranza, si trova anche al centro della Dichiarazione sulla Fratellanza umana firmata nel febbraio del 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb.

 

Non si tratta in realtà di una riflessione inedita: la cittadinanza è infatti un tema rilevante nel pensiero politico arabo del Novecento, tanto di matrice secolare che religiosa. Tuttavia, sia l’arabismo laico che l’islamismo si sono rivelati incapaci di pensare adeguatamente l’appartenenza al corpo politico e i diritti ad essa associati, mentre uno dei limiti dei recenti movimenti democratici di piazza è stato l’incapacità d’incanalare le energie della protesta in un progetto politico compiuto.

 

 

È inoltre nuovo il contesto in cui questi concetti vengono mobilitati e i problemi a cui devono rispondere. Le atrocità commesse dall’Isis in nome dell’Islam hanno infatti screditato l’ideale dello Stato islamico, costringendo partiti e movimenti islamisti a ripensare il proprio discorso politico e le proprie modalità di azione. Allo stesso tempo la preponderante preoccupazione per la sicurezza dei regimi in carica ha paralizzato la vita civile della regione. Infine, in alcuni Paesi, i diritti di cittadinanza si intrecciano sempre più con la crisi ecologica che caratterizza ampie parti della regione, incidendo profondamente sui rapporti tra società e Stato. Molti studi hanno per esempio evidenziato la rilevanza dei cambiamenti climatici tra i fattori che nel 2011 hanno portato allo scoppio delle rivolte anti-regime in Siria[6].

 

Si tratta di fenomeni che non si limitano alla sponda Sud del Mediterraneo, ma toccano direttamente anche l’Europa. Da un lato, infatti, i mutamenti in corso in Nord Africa e Medio Oriente incideranno significativamente sulla stabilità del Mediterraneo e sui flussi migratori diretti verso il Vecchio Continente. Dall’altro la necessità di ridefinire i criteri dell’appartenenza politica e le modalità del suo esercizio riguarda anche i musulmani europei, che nelle società occidentali sono chiamati a ripensare i presupposti e la natura della loro soggettività civile. Del resto un’analoga sfida attende le democrazie europee, che mostrano sempre più evidenti i segni di un affaticamento quando non di una completa abdicazione agli ideali su cui sono state costruite.

 

Muovendo da queste considerazioni, la ricerca si concentrerà in particolare su tre assi: 1) Stato, nazione e cittadinanza nel pensiero politico arabo contemporaneo. 2) I rapporti tra società e Stato nel contesto politico e geopolitico mediorientale. 3) La partecipazione politica dei musulmani in Europa. Il tutto situato, secondo lo specifico di Oasis, all’interno della cornice interpretativa rappresentata dalla reciproca rilevanza delle esperienze che cristiani e musulmani vivono, sia nel mondo islamico che in Occidente.

 

I risultati parziali e finali della ricerca saranno pubblicati sugli strumenti della Fondazione Internazionale Oasis: la rivista, il sito e i canali social. La rivista ospiterà una riflessione di fondo sull’argomento del progetto, mentre sul sito saranno pubblicati articoli di approfondimento sull’attualità politica del mondo arabo. Vi troveranno spazio rubriche tematiche, dedicate per esempio al rapporto tra politica e letteratura o tra politica e cinema. Sempre sul sito saranno pubblicati dei working papers su alcuni casi di studio particolarmente significativi. Nel corso del progetto saranno inoltre organizzate conferenze e incontri pubblici, a distanza o in presenza a seconda dell’evolversi della situazione sanitaria.

 

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[1] Emmanuel Todd e Youssef Courbage, Le rendez-vous des civilisations, Seuil, Paris 2007.
[2] Jean-Pierre Filiu, From Deep State to Islamic State. The Arab Counter-Revolution and Its Jihadi Legacy, Oxford University Press, New York 2015, p. 253.
[3] The end of the Arab world’s oil age is nigh, «The Economist», 18 luglio 2020, https://www.economist.com/middle-east-and-africa/2020/07/18/the-end-of-the-arab-worlds-oil-age-is-nigh
[4] Roel Meijer e Niels Butenschøn (a cura di), The Crisis of Citizenship in the Arab World, Brill, Leiden-Boston, 2017.
[5] Roel Meijer, Active and Passive Citizenship in the Arab World, «The Middle East Journal», vol. 73, n. 4 (2019), pp. 607-627.
[6] Si vedano per esempio Francesca De Châtel, The Role of Drought and Climate Change in the Syrian Uprising: Untangling the Triggers of the Revolution, «Middle East Studies», vol. 50, n. 4 (2014), p. 521-535 e Peter H. Gleick, Water, Drought, Climate Change, and Conflict in Syria, «Weather, Climate and Society», vol. 6, n. 3 (2014), pp. 331-340.