Tra euroscetticismi interni ed euroentusiasmi esterni, l’Europa ha conosciuto in molte sue piazze stagioni di protesta. Ma per Martin Schulz, presidente del Parlamento di Strasburgo. Anche se non sa sempre dare risposta alle richieste dei suoi cittadini, il progetto europeo si pone ancora come l’unica strada condivisibile e percorribile.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:23

Tedesco originario di Hehlrath, classe 1955, ultimo di cinque fratelli, lascia gli studi dopo il ginnasio per il mestiere di libraio che svolge tra gli anni ’70 e ’80. Incontra la politica attiva a soli 19 anni ed entra nel Partito Socialdemocratico Tedesco al quale resterà sempre legato. Una brillante carriera in patria lo vede arrivare al seggio di eurodeputato nel 1994, carica che ha rivestito fino all’elezione a Presidente del Parlamento nel 2012. Il suo mandato si conclude con le elezioni europee del maggio 2014. Presidente, uno studioso come Benoît Chantre, allievo di René Girard, parla di crisi delle istituzioni come un fatto ormai evidente. Causata anche dall’accelerazione esasperata dei processi di comunicazione e delle relazioni, tale crisi si starebbe trasformando in una decomposizione delle istituzioni (dallo Stato, alle associazioni e alle famiglie) che lascia il campo libero a una violenza montante. Come valuta questa interpretazione dal cuore dell’Europa? Per quanto riguarda il livello europeo, non mi sento di definire la crisi delle istituzioni come un fatto ormai evidente. Credo però che la crisi economica degli ultimi anni abbia svelato tutte le debolezze di un sistema ancora incapace di garantire una vera solidarietà fra gli Stati europei. Le istituzioni europee non sono state capaci di reagire con coraggio alla crisi arrivata da oltreoceano, non riuscendo a svolgere quel ruolo di motore della ripresa di cui invece si sono mostrate capaci negli Stati Uniti. Ritengo, infatti, che alla base del sentimento di sfiducia forte e di reazioni popolari talvolta anche accese, ci siano una deludente gestione della crisi a livello di Unione e le difficoltà economiche che le famiglie si sono trovate ad affrontare senza il necessario supporto istituzionale. Un sostegno che era invece doveroso e che gli europei si aspettavano da un’Unione che ha fatto dello sviluppo economico il suo primo obiettivo e dell’attenzione alla cittadinanza una sua bandiera. Vedo poi il senso di abbandono percepito dagli europei anche aumentato da una politica troppo verticalizzata e schiava del metodo intergovernativo. Il ruolo preponderante affidato al Consiglio europeo, dove siedono i capi di stato e di governo degli Stati membri, ha marcato una forte distanza istituzionale dai cittadini, ponendo un problema di tenuta democratica del progetto europeo. Un Consiglio Europeo che ha dimostrato la sua incapacità di leadership lasciando troppo spazio a miopi logiche nazionalistiche e dove troppo hanno pesato prepotenti giochi di forza a danno dei Paesi più deboli, con dure ricadute sulla popolazione. Diverso sarebbe stato, invece, se la crisi fosse stata gestita secondo il metodo comunitario, con un maggior coinvolgimento dei parlamenti e dei cittadini dell’Unione e la conseguente adozione di politiche di reazione alla crisi diverse e, probabilmente, migliori. Per continuare a leggere i contenuti della rivista Oasis acquista una copia (digitale o cartacea) oppure abbonati.