Raffi Gergian, Les Églises Arméniennes du Liban, Université Saint-Joseph, Beirut, 2011

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:06

Il vasto programma Spazi religiosi del Libano, lanciato dall’università Saint-Joseph di Beirut nel 2003, ha come obiettivo d’indagare la pluralità d’espressione religiosa del Libano, con un’attenzione particolare ai luoghi di culto delle diverse confessioni che lo abitano. Dopo un primo volume introduttivo, il libro di Raffi Gergian, secondo della serie, offre una fotografia della comunità armena nelle sue tre diverse espressioni (gregoriana, cattolica ed evangelica). La prima parte presenta un quadro sintetico dell’architettura armena, essenzialmente religiosa, e delle caratteristiche tipologiche che essa ha sviluppato nella sua storia quasi bimillenaria. L’analisi è seguita da un piccolo repertorio delle tecniche di costruzione e delle tipologie architetturali, sulla scia dei lavori, tra gli altri, del veneziano Adriano Alpago Novello. Viene infine illustrata l’utilizzazione degli spazi nella liturgia. Una seconda parte è dedicata alla presenza armena in Libano. Come è avvenuto che dall’Armenia storica una comunità consistente si sia trasferita nel Paese dei Cedri? Il contatto si è attuato in tre tempi: prima di tutto la fondazione del regno armeno di Cilicia (attuale Turchia sud-orientale), al tempo delle Crociate. Da lì il successivo passo fu compiuto in età ottomana, soprattutto da parte di armeni cattolici che appunto in Libano stabilirono la sede del proprio Patriarcato, a Bzommar, per beneficiare del clima di maggiore libertà assicurato nella regione alle confessioni cattoliche. Infine, il terribile genocidio del 1915, recentemente tornato alla ribalta delle cronache, determinò un consistente flusso di rifugiati che si concentrarono in particolare subito a nord di Beirut, nel quartiere di Bourj Hammoud. L’ampia documentazione fotografica permette di rendersi conto da un lato dell’ampiezza del fenomeno, che determinò un’urbanizzazione selvaggia delle coste, e dall’altro delle tragiche condizioni in cui giunsero i profughi: numerose in particolare le immagini di orfanatrofi. A seguito della cessione del sangiaccato d’Alessandretta da parte della Francia alla Turchia kemalista in cambio della neutralità nella seconda guerra mondiale, si produsse un nuovo esodo di armeni, che trovò rifugio in particolare nella zona di Anjar, nella valle della Bekaa. Nel 1930 del resto il catholicassato di Cilicia, una delle due più alte autorità della chiesa apostolica armena, s’era installato anch’esso in Libano, ad Antélias. L’ultima parte del volume è dedicata all’inventario di tutte le chiese armene presenti nel Paese, dai monasteri alle più modeste cappelle e sale di preghiera, accompagnate ciascuna da una scheda. Una delle caratteristiche più impressionanti dell’architettura armena, a detta di tutti gli studiosi, è la sua capacità di dialogare con il paesaggio, ponendosi in relazione sobria, ma potente, con l’ambiente circostante e in particolare con i monti dell’altopiano anatolico e della catena caucasica. Come illustra eloquentemente la doppia immagine di copertina, questa stessa caratteristica è stata riproposta anche nel Paese dei Cedri: al Monte Ararat si sono sostituite come quinta scenografica le catene dell’Antilibano e del Libano e alle millenarie architetture le più modeste realizzazioni di una comunità in fuga e tuttavia fedele al proprio patrimonio di fede e liturgia, alla lingua e all’espressione architettonica, aperta comunque al contatto con le altre comunità. Il volume, il primo a trattare dell’architettura armena in Libano in modo globale, consente di toccare con mano la ricchezza del pluralismo culturale libanese, spesso decantato, anche in modo acritico, ma non altrettanto conosciuto nelle sue specificità.