Ormai è tempo di rispondere alla tanto citata provocazione di Böckenförde, per il quale «Lo Stato liberale secolare vive di presupposti che non è in grado di garantire» e capire su cosa rifondare e rigenerare uno Stato. Una giurista legge l'ultimo numero di Oasis.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:41

1. Nella cultura giuridica e sociologica dell’Occidente sempre più spesso le istituzioni vengono percepite come lontane, decadenti e corrotte, una questione di cui non val la pena parlare mentre, al contrario, si tratta di una questione fondamentale, che è importante mettere a tema. Una società, infatti, non esiste senza le sue istituzioni e forse la loro decadenza è uno dei segni più evidenti della crisi che ci sta attanagliando, una crisi così profonda che fa sì che il problema istituzionale non venga neppure messo a tema. Oasis invece lo fa, e lo fa in modo propositivo, affrontando la vita dei popoli mediorientali, tra Iraq, Siria e Nord Africa, facendoci prendere coscienza delle istituzioni come punto nevralgico, da non lasciare solo agli addetti ai lavori. Parole come integrazione, libertà, religione e tradizione, e tutti gli altri temi affrontati in questa Rivista, ci riguardano direttamente perché ci spingono a rileggere con intelligenza la nostra situazione. La lettura dell’ultimo numero (19) della stessa mi sembra faccia emergere due sintetici spunti. Il primo è che occorre una rigenerazione. Occorre generare istituzioni più coerenti e più utili, più capaci di accogliere la vita e più generative, come dice Magatti nell’editoriale. Il secondo punto è un pensiero profetico di un giurista tedesco degli anni ’70, Böckenförde, che si è reso conto, quando ancora questa crisi non era scoppiata, che «lo Stato liberale, secolare (le nostre istituzioni) vive di presupposti che non è in grado di garantire». Si tratta di una frase che i costituzionalisti conoscono molto bene ma con cui non è facile confrontarsi a fondo, come fa invece in modo creativo Belardinelli nel suo articolo. Se lo Stato in cui siamo vive di presupposti che esso stesso non può né generare né mantenere, la domanda grande cui la rivista cerca di rispondere con intelligenza e discrezione è: quali sono i presupposti che rendono possibile la generazione e la ri-generazione di uno stato? 2. Il grande pensiero politico occidentale non ha preso sul serio questa frase; l’ha ripetuta infinite volte, ma la questione non è mai stata affrontata fino in fondo. Ora, invece, la crisi è giunta ad un punto tale di gravità che non si può più prescindere dall’interrogarsi su quali siano questi presupposti e per questo Oasis, mettendo a confronto Oriente ed Occidente, è un aiuto prezioso; si dimostra infatti in queste pagine, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema istituzionale e la sua crisi accomunano Oriente ed Occidente: è, infatti, un problema del Medio Oriente per le contraddizioni che le rivoluzioni hanno creato e per la questione aperta del fondamentalismo e della violenza, ma allo stesso tempo è un problema dell’Occidente. Laddove, infatti, la rivista parla di Europa, la questione presenta tratti straordinariamente somiglianti. Domandiamoci, allora, quali sono allora questi presupposti che possono permettere alle istituzioni malate di rigenerarsi. I vari saggi ne lasciano intravvedere qualcuno. Il primo grande presupposto è il senso, il posto della società civile. Che cosa rende una società civile? Forse un ethos? Una moralità? Sicuramente. E, tuttavia, questo ethos e questa moralità devono avere a loro volta delle fondamenta su cui appoggiarsi, poiché non vivono per se stessi, ma si radicano dentro gli uomini che li fanno propri attraverso una consistenza che non deve essere solo morale. In che senso, poi, l’ethos che sorregge il rapporto stato-società è un ethos che ha la possibilità di dare i suoi frutti? Dai contributi emerge una grande risposta: la religio, la religione nel senso più vero e profondo del termine, il quale indica il legarsi, la consapevolezza dell'esistenza di legami con il destino, con i fratelli, con i più deboli, con i lontani e i vicini. Letta in questo senso, la religio fa da collante in una società che tutto propone tranne la profondità, la bellezza e la serietà dei legami, contro qualsiasi esperienza umana che documenta, invece, esattamente il contrario, ovvero che noi senza legami non siamo nessuno. Oltre alla religio c’è al fondo delle istituzioni il grande tema dell’uomo: chi è il soggetto che muove e che si muove dentro la società civile, dentro le istituzioni e si muove per cambiarle? Qui siamo tutti chiamati in causa, volenti o nolenti siamo dentro una struttura istituzionale e tutti facciamo esperienza di come il rapporto con il mondo ci compia. 3. Da questi presupposti muove un percorso che arriva alla grande domanda proposta sia dal primo saggio di attualità che dall’ultimo, ovvero il tema della violenza. Anche da questo si può capire che le istituzioni non sono un orpello che si aggiunge alla società civile perché senza di esse, senza lo stato, il tema della violenza diventa di una drammaticità potentissima. Il saggio sull’Iraq di Redaelli mostra l’impostazione astratta del rapporto che gli Stati Uniti hanno costruito con il popolo iracheno, sia dal punto di vista militare che da quello della ricostruzione di una struttura democratica. Hanno pensato di poter portare in questo paese lo stesso tipo di istituzioni statunitensi, senza rendersi conto che il bisogno era invece quello di costruire uno stato istituzionale sano per arginare la violenza. Sul tema della violenza, questo numero di Oasis fa emergere due importanti posizioni. La prima è che c’è una violenza insita nell’uomo e l’analisi del pensiero di René Girard mostra come l’esperienza cristiana sia stata anche un modo per neutralizzare, in un certo senso, questa spinta della violenza attraverso l’espiazione fatta propria da Cristo, l’Agnello di Dio ma anche, secondo una visione più cruda, il capro espiatorio. L’altra posizione è quella espressa nel saggio di Sequeri, che pone la domanda di fondo: il monoteismo, legittima la violenza? Sequeri pone questa domanda senza pretendere di rispondere sotto forma di dogma, ma come problema reale e ancora aperto. Noi occidentali siamo molto pacifisti a parole, ma in realtà la violenza che si annida in una società non religiosa e materialista come la nostra può essere enorme. 4. Per concludere, qualche parola va spesa sul tema della democrazia, affrontato nella Rivista sull’esempio dell’Iraq, Paese in cui si è cercato di esportare la democrazia secondo logiche fondate su presupposti che lì non esistevano. È evidente che non si può chiudere il discorso della democrazia impartendo lezioni, perché questo non soddisfa nessuno. Interessante è anche l’interrogarsi sulla democrazia dall’interno del pensiero salafita, una cui corrente ritiene che essa sia inaccettabile perché conferisce la sovranità al popolo e non a Dio. Questo argomento non è banale e ci deve provocare; non possiamo eliminarlo come appartenente alla preistoria della democrazia. Quando guardiamo all’Europa, ci rendiamo conto che la questione è tutt’altro che esaurita. La crisi in Oriente e in Occidente si presenta dunque in modo diverso, ma se si va a fondo per cercare i presupposti che stanno alla base del nostro stato liberale e della proposta democratica che si fa a tutti quei Paesi le cui istituzioni non si fondano sul principio democratico, nasce la possibilità di un dialogo che ci aiuta a capire gli altri, ma che soprattutto ci aiuta a capire noi stessi.