Pur considerandosi nazione ortodossa per eccellenza, storicamente la Russia ospita al suo interno una consistente presenza musulmana, un fattore che ha importanti implicazioni sia sul piano interno che su quello internazionale

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:59

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Esiste nella storia della Russia un singolare contrasto tra l’essere al tempo stesso nazione ortodossa per eccellenza, erede dell’Impero bizantino e fondata sull’ideologia della Terza Roma, e impero multietnico che ha dovuto confrontarsi costantemente con numerose popolazioni assoggettate che professano fedi diverse. L’impero russo era in realtà una realtà di incredibile varietà etnica e culturale, che oltre ai russi – i quali, come dimostrò il censimento del 1897 – non arrivavano alla metà della popolazione complessiva – comprendeva centinaia di etnie diversissime per lingua, religione, sviluppo economico e culturale. Oltre a russi, ucraini e bielorussi, di ceppo slavo e religione cristiano-ortodossa, vivevano al suo interno polacchi e lituani cattolici, tedeschi (sia cattolici che protestanti), finlandesi protestanti e romeni ortodossi, calmucchi e buriati di fede buddista, ebrei, popolazioni sciamaniche della Siberia, armeni apostolici e georgiani ortodossi. E soprattutto molti popoli musulmani, insediati soprattutto sulla Volga, nel Caucaso e in Asia Centrale. Si trattava cioè di una struttura estremamente variegata, la cui complessità è stata nel complesso non solo poco studiata, ma persino insufficientemente percepita. L’indicazione dello storico svizzero Andrea Kappeler, secondo cui «La storia della Russia, delle sue regioni e dei suoi popoli, risulta insoddisfacente senza la comprensione di tale contesto multietnico»[1] rimane ancora oggi assolutamente valida. E questo vale anche per le religioni, la cui varietà corrisponde pienamente a quella dei popoli dell’impero russo.

 

Tra integrazione forzata e tolleranza

 

Sin dall’inizio dell’espansione imperiale russa, l’Islam ha avuto un’importanza fondamentale. A partire almeno dalla conquista del khanato tataro e musulmano di Kazan’ nel 1552, quando l’Impero russo fece la sua prima e fondamentale prova di governo di una popolazione etnicamente e culturalmente aliena. Dopo un breve periodo in cui si cercò di convertire con la forza i tatari, la loro accanita resistenza fece desistere le autorità russe, che inaugurarono allora una politica di tolleranza destinata a costituire il modello principale del governo imperiale delle minoranze. Un modello che non fu peraltro seguito in maniera costante, ma conobbe anche alcune rotture importanti, anche se solitamente di durata relativamente breve. Pietro il Grande, per esempio, condusse una politica d’integrazione forzosa delle popolazioni musulmane, che però incontrò di nuovo una tenace resistenza e fu in seguito abbandonata. Ciò avvenne in particolare con Caterina II, che dal 1773 inaugurò una fase di ampia tolleranza di tutte le fedi, con la creazione nel 1788 dell’Assemblea spirituale musulmana. Inoltre, si incoraggiava il reclutamento delle élite musulmane, dando loro l'opportunità di servire l’Impero russo senza rinunciare alla loro religione.

 

Questa politica diede nel complesso buoni risultati non solo tra i Tatari della Volga, ma anche tra quelli del khanato di Crimea (assorbito nel 1783), dal quale peraltro si ebbe una forte emigrazione. Fallì invece tra i popoli musulmani del Caucaso settentrionale, che invece si opposero con forza alla conquista russa sino al 1864, ma ebbe un discreto successo nel Caucaso meridionale, tra gli attuali azeri. E lo stesso può dirsi dell’Asia centrale, abitata quasi esclusivamente da musulmani, la cui conquista – iniziata intorno alla metà del Settecento – si concluse nel 1885. In questa regione, dove peraltro il governo russo attuò per la prima volta politiche di carattere tendenzialmente coloniale, l’Islam non subì infatti particolari vessazioni.

 

Nel complesso l’Impero russo diede prova di una buona capacità di gestire i rapporti con le popolazioni musulmane assoggettate. Con l’eccezione di quelle del Caucaso settentrionale, che però avevano una struttura sociale e culturale molto particolare ed erano caratterizzate da uno spirito bellicoso al di fuori della norma, i russi riuscirono a inserire anche i sudditi musulmani nella struttura di un impero che era ampiamente basato sulla collaborazione con le autorità religiose non ortodosse. Da questo punto di vista, pur senza dimenticare i numerosi contrasti che si crearono tra i musulmani e le autorità zariste, appare in effetti opportuno abbandonare la vulgata storiografica che descrive tale rapporto sulla base di una dinamica fatta essenzialmente di resistenza e repressione[2]. Inoltre, le popolazioni musulmane dell’Impero ebbero anche importanti rapporti di interazione con la cultura russa, percepita in diversi contesti come un utile strumento di modernizzazione. Si pensi al caso di Fatali Achundov (1812-1878), figura importante del rinnovamento culturale dei musulmani del Caucaso[3]. O a quello di Ismail Gasprinskij (1851-1914), l’intellettuale tataro di Crimea che ebbe una visione positiva dell’Islam russo (russkoe musul’manstvo) e fondò il movimento di rinnovamento noto come giadidismo, la cui azione fu di particolare rilievo in Asia centrale[4].

 

Il periodo sovietico e post-sovietico

 

Dopo la rivoluzione del 1917, l’Islam subì le stesse politiche repressive applicate nei confronti delle altre religioni dell’URSS. Ciononostante, le autorità sovietiche seppero utilizzare la presenza di numerosi musulmani all’interno del nuovo Stato per stabilire alcune proficue collaborazioni con i Paesi del mondo musulmano. Per esempio, un diplomatico di origine musulmana come Karim Chakimov (che peraltro sarebbe poi stato vittima delle repressioni politiche) ebbe un ruolo importante nel far sì che l’URSS fosse tra i primi Paesi a riconoscere, nel 1926, la nuova dinastia saudita. Più in generale l’URSS ha avuto per decenni relazioni intense con il mondo arabo, soprattutto con i regimi laici e progressisti che si affermarono in Paesi come l’Algeria, l’Egitto, la Siria, l’Iraq e lo Yemen meridionale. Nonostante le persistenti repressioni religiose, la presenza di personale diplomatico di origine musulmana contribuì alla politica estera dell’URSS verso questi Paesi. Inoltre, occorre tener presente che, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, anche l’Islam ricevette un parziale riconoscimento da parte delle autorità sovietiche, sia pure attraverso un rigido controllo delle attività di culto e di istruzione. La politica sovietica distingueva nettamente l’Islam ufficiale, irreggimentato ma tollerato, dall’Islam clandestino, che continuò ad essere represso sino alla fine del regime sovietico[5].

 

Dopo il crollo dell’URSS la situazione dell’Islam all’interno della Federazione Russa ha conosciuto cambiamenti significativi. Ancora una volta, peraltro, il problema maggiore era rappresentato dalle popolazioni musulmane del Caucaso settentrionale, in particolare dai ceceni, che si resero indipendenti de facto già nel 1991. Se la prima fase del movimento indipendentista ceceno ebbe carattere nazionale e non religioso, nel giro di pochi anni la penetrazione di elementi islamici radicali (di solito chiamati wahabiti in Russia) influenzò notevolmente le popolazioni musulmane del Caucaso settentrionale. Neppure dopo la violenta “normalizzazione” della Cecenia, avvenuta a partire dal 1999, si risolse veramente la soluzione.

 

Nel resto della Federazione russa il rapporto con le comunità musulmane è decisamente migliore. Sulla base della normativa federale del 1997, l’Islam è riconosciuto come una delle quattro “religioni tradizionali” del Paese, insieme al Cristianesimo ortodosso, al buddismo e all’ebraismo. In questo modo l’Islam ha nella Russia di oggi non solo una precisa collocazione giuridica, ma anche un riconoscimento ufficiale del suo ruolo culturale e sociale all’interno del Paese.

 

In effetti la Federazione russa si sforza di collaborare positivamente con l’Islam “tradizionale” e con i suoi rappresentanti, in particolare con il Consiglio dei Mufti della Russia, istituito sin dal 1998. Né potrebbe essere diversamente considerando il numero molto elevato di musulmani che vive nel Paese, tra i 15 e i 20 milioni di persone, ben oltre il 10% della popolazione complessiva. Questa cifra comprende sia i cittadini della Federazione che gli immigrati provenienti da altri Paesi post-sovietici[6]. Si tratta in larghissima maggioranza di sunniti, con l’eccezione principale degli immigrati provenienti dall’Azerbaigian, prevalentemente sciiti.

 

La crescita costante, sia assoluta che percentuale, del numero dei musulmani all’interno della Federazione russa è una delle cause della diffusione di un sentimento di avversione nei loro confronti, soprattutto nei confronti di quelli di origine caucasica e centroasiatica. Le autorità si mantengono però lontane da queste forme di nazionalismo e xenofobia, insistendo invece sul carattere multietnico e multiculturale del Paese. Lo stesso Putin ha espresso molte volte il suo rispetto per l’Islam e ne ha ribadito il ruolo positivo, affermando per esempio che esso «è giustamente definito una componente inalienabile della vita religiosa, sociale e culturale della Russia. Le sue tradizioni sono basate sui valori eterni di bontà, compassione e giustizia»[7].

 

In effetti il Cremlino cerca con insistenza di sviluppare una forte collaborazione con il mondo musulmano. In particolare, sin dal 2003 la Russia ha ottenuto lo status di osservatore all’interno dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica. In quell’occasione Putin affermò il senso non occasionale di questa partecipazione: «Per secoli la Russia come Paese eurasiatico è stata collegata al mondo islamico da legami tradizionali e naturali. Milioni di musulmani vivono storicamente nel nostro Paese e considerano la Russia la loro patria. Sono convinto che la partecipazione della Russia non si limiterà ad ampliare l’orizzonte della dell’Organizzazione, ma le conferirà anche nuove capacità e porterà al suo interno il peso e la voce della grande comunità musulmana della Russia. Una comunità che non è più separata da quella dei musulmani di tutto il mondo ed è pronta a partecipare fruttuosamente alla sua vita spirituale, culturale e politica»[8].

 

L’interesse della Russia per il mondo islamico non deriva però soltanto dal gran numero di musulmani presenti al suo interno, ma anche dagli importanti rapporti politici che il Paese ha con numerosi Paesi musulmani, dalla Turchia all’Iran a sei delle repubbliche post-sovietiche (Azerbaigian, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan). In effetti l’atteggiamento di Mosca nei confronti dell’Islam va inserito nel ruolo specifico che la religione ha assunto in Russia dopo la fine dell’URSS. Per le autorità russe la religione costituisce infatti una componente essenziale dei valori sui quali si vuole fondare il Paese dopo il crollo dell’ideologia comunista. Questo vale naturalmente in primo luogo per la Chiesa ortodossa, ma anche per l’Islam che è di gran lunga la religione più diffusa nel Paese dopo il Cristianesimo ortodosso.

 

La Russia si presenta nel suo discorso ufficiale come una civiltà fondata su una lunga tradizione di coesistenza armoniosa tra il Cristianesimo ortodosso e le altre religioni, l’Islam in particolare. Il dialogo inter-religioso costituisce in questa ottica un elemento non secondario della proiezione internazionale della Russia. Per essere efficace, tuttavia, tale diplomazia religiosa ha bisogno di due elementi fondamentali, vale a dire la fiducia reciproca tra lo Stato e le istituzioni religiose e la capacità di queste ultime di agire in maniera efficace nella scena internazionale.

 

Nel caso dell’Islam, però, la collaborazione “politica” è ostacolata dalla mancanza di una istituzione centrale che rappresenti tutti i musulmani del Paese, benché il Consiglio dei Mufti ambisca a recitare questo ruolo sia all’interno della Russia sia all’esterno. Non a caso il Consiglio si è dotato nel 2007 di un Dipartimento per le Relazioni Internazionali simile a quello della Chiesa Ortodossa Russa. L’importanza di consolidare e proporre con successo l’immagine di una Russia in cui cristiani e musulmani convivono armoniosamente da secoli non deve essere sottovalutata, soprattutto considerando che si tratta di un Paese che si sente particolarmente minacciato dal terrorismo islamico. Queste attività di diplomazia religiosa favoriscono quindi in misura notevole il consolidamento dei rapporti con i Paesi musulmani, consentendo a Mosca di isolare il radicalismo islamico nel Caucaso settentrionale e rendendo così unicamente interna una situazione conflittuale che potrebbe invece internazionalizzarsi. I buoni rapporti con il mondo islamico contribuiscono peraltro anche al rafforzamento della posizione internazionale della Russia in un momento il cui contrasto con l’Occidente è sempre più profondo. In questo modo Mosca può avere una voce autorevole nel Medio Oriente, tra l’altro riuscendo talvolta a porsi come mediatrice tra l’Occidente e l’Iran, come si è visto in occasione del trattato sul nucleare del 2015. Anche dal punto religioso i rapporti tra la Russia e l’Iran sono molto positivi, grazie soprattutto all’azione della Chiesa ortodossa, che con la leadership sciita di questo paese riesce a rapportarsi meglio di quanto possa fare il Consiglio dei Mufti[9].

 

Un nuovo ruolo in Medio Oriente

 

Negli ultimi anni, in effetti, il ruolo della Russia è diventato molto attivo anche nel Medio Oriente, in parte approfittando del crescente disimpegno degli Stati Uniti dalla regione. Questa nuova assertività nel Medio Oriente va da un lato vista nell’ambito delle ambizioni geopolitiche globali di Mosca dopo il tracollo del primo decennio post-sovietico, ma deve naturalmente essere considerata anche in altre prospettive, quali la necessità di mantenere il radicalismo islamico al di fuori della Russia e dei Paesi dell’Asia Centrale, con i quali Mosca mantiene stretti rapporti politici, economici e di sicurezza.

 

Nonostante la normalizzazione della Cecenia – nella quale peraltro il presidente Kadyrov sta rafforzando sempre più il ruolo dell’Islam, almeno teoricamente secondo le linee tradizionali – la Russia continua a essere molto preoccupata dalla minaccia del radicalismo islamico, in particolare nel Caucaso settentrionale. In questo senso l’obbiettivo principale di Mosca è stato quello di evitare che i musulmani della Federazione risentissero negativamente degli eventi esterni. Anche le primavere arabe sono state viste con molta preoccupazione, tanto per la tradizionale diffidenza del Cremlino per i moti di piazza in generale, quanto per il timore che la mobilitazione delle masse musulmane potesse essere controllata da elementi radicali. Il timore del rafforzamento in Russia dell’Islam radicale a spese di quello “ufficiale” è stato comprensibilmente molto forte soprattutto alla luce della nascita dello Stato Islamico nel 2013. Per Mosca la prospettiva che in Siria i jihadisti potessero abbattere il regime degli Assad, alleato storico sin dall’epoca sovietica, era davvero preoccupante in quanto un’evoluzione di questo genere avrebbe accresciuto la minaccia dell’Islam radicale in Russia e negli altri Paesi post-sovietici, da dove in effetti provenivano molti foreign fighters. L’intervento russo in Siria nel settembre del 2015 si spiega anche con questa motivazione oltre che, ovviamente, con la volontà di rivendicare una rilevanza geopolitica apparentemente compromessa dopo la crisi ucraina dell’anno precedente, che aveva portato all’isolamento della Russia, almeno rispetto all’Occidente.

 

Dal punto di vista dei rapporti con la popolazione musulmana interna che, come si è detto, è quasi completamente sunnita, l’intervento di Mosca in appoggio ad Assad – il cui regime si appoggia soprattutto su alawiti e cristiani – è stato piuttosto rischioso. Tuttavia, nonostante l’insoddisfazione di una parte consistente dei musulmani per questa politica in Siria, all’interno della Federazione Russa i buoni rapporti con l’Islam “tradizionale” sono rimasti sostanzialmente positivi, soprattutto per la comune opposizione alle correnti radicali. Proprio nel settembre 2015, tra l’altro, alla presenza di Putin, Erdoğan, Abu Mazen e dei leader musulmani della Federazione Russa era stata inaugurata a Mosca una nuova moschea, considerata la più grande d’Europa. In questa stessa ottica di collaborazione politica va letta anche la conferenza internazionale che nel 2016 ha riunito a Groznyj, capitale della Cecenia, più di 200 studiosi sunniti provenienti da molti Paesi musulmani, ma non dall’Arabia Saudita, per definire le linee guida dell’Islam sunnita e condannare le derive estremiste. Di grande interesse è anche la recente e orgogliosa rivendicazione della specificità di un islam russo moderno e riformista da parte di un acuto intellettuale come Damir Muchetdinov, vice-mufti di Mosca, quindi appartenente all’establishment tradizionale anche se portatore di idee spesso controverse, che fondono il giadidismo con il neo-eurasismo[10].

 

Nel complesso, la politica portata avanti in questi decenni da Mosca, basata da un lato sulla collaborazione con le autorità musulmane tradizionali e dall’altro sulla lotta aperta al radicalismo islamico, può essere considerata relativamente riuscita. Si tratta in effetti di una politica che prosegue con notevole coerenza quelle impostate dall’Impero russo e dall’URSS nel tentativo di mantenere il controllo della vasta comunità musulmana. Al tempo stesso, proprio l’esperienza maturata grazie alla secolare consuetudine con questa comunità è almeno in parte alla base dell’efficace azione che la Russia riesce a sviluppare nei confronti di molti Paesi musulmani.

 

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Bibliografia essenziale

 

Alexandre Bennigsen, Chantal Lemercier Quelquejay, L’islam parallelo. Le confraternite musulmane in Unione Sovietica, Marietti, Genova 1990 (Le soufi et le commissaire, Éditions du Seuil, Paris 1986).

Giovanni Codevilla, Chiesa e impero in Russia. Dalla Rus' di Kiev alla Federazione russa, Jaca Book, Milano 2011.

Andreas Kappeler, La Russia. Storia di un impero multietnico, tr. it. Roma, Edizioni Lavoro, 2006 (Russland als Vielvölkerreich. Entstehung. Geschicht. Zerfall, Verlag C.H. Beck, München 2001).

Sergio Salvi, La mezzaluna con la stella rossa. Origini, storia e destino dell’islam sovietico, Marietti, Genova 1993.

Paul Werth, The Tsar’s foreign faiths. Toleration and the fate of religious freedom in imperial Russia, Oxford University Press, Oxford 2016.

 


[1] Andreas Kappeler, La Russia. Storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, Roma 2006, p. 5.
[2] Paul Werth, The Tsar’s foreign faiths. Toleration and the fate of religious freedom in imperial Russia, Oxford University Press, Oxford 2016, p. 9.
[3] Su questa figura si veda Aldo Ferrari, Quando il Caucaso incontrò la Russia. Cinque storie esemplari, Guerini e Associati, Milano 2015, pp. 77-95.
[4] Cfr. Paolo Sartori, Altro che seta. Corano e progresso In Turkestan (1865-1917), Campanotto, Udine 2003.
[5] Si veda al riguardo lo studio di Alexandre Bennigsen e Chantal Lemercier-Quelquejay, tr. it. L’islam parallelo. Le confraternite musulmane in Unione Sovietica, Mariotti, Genova 1990.
[6][6] Alexey Malashenko, Islam in today’s Russia, https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/russia_2018_web_2.pdf
[7] RIA Novosti, Putin considers Islam indelible part of Russia’s religious life, 30 August 2012, http://ria.ru/religion/20120830/733504906.html#ixzz2ftKGsxZN
[8] Vladimir Putin, Speech by Russian President at the Tenth Summit of Heads of State and Government of the Organization of the Islamic Conference, October 16 2003, http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/22160
[9] Cfr. Alicja Curanović, The religious diplomacy of the Russian Federation, https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/ifrirnr12curanovicreligiousdiplomacyjune2012.pdf
[10] Su questa interessante figura, che riprende alcuni aspetti della visione di Ismail Gasprinskij, si veda il recente articolo di Michael Kemper, Religious political technology: Damir Mukhetdinov’s ‘Russian Islam’, Religious political technology: Damir Mukhetdinov’s ‘Russian Islam’, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/09637494.2019.1571331